Guerra in Ucraina: Putin, la Russia e l’Europa

Firenze – La Russia non poteva e non doveva aggredire un Paese indipendente riconosciuto a livello internazionale in possesso legittimo del diritto a scegliere i propri alleati e la propria politica. Vladimir Putin avrà sulla coscienza ogni singola vita umana distrutta in nome di interessi nazionali e di una sicurezza che per ora non era messa in pericolo. Gli europei hanno tutte le ragioni per reagire nel modo più duro possibile stigmatizzano le scelte di Mosca

Detto questo mettiamoci sulla testa il velo del lutto e preghiamo che il conflitto sia il più breve possibile ma riflettiamo perché  il nazionalismo (“le nationalisme c’est la guerre”, ripeteva Mitterrand) mette ancora a repentaglio la sicurezza europea. Soprattutto perché l’Europa per la seconda drammatica volta dopo il terribile conflitto nella ex Jugoslavia non è riuscita a evitare un evento che, se solo fossero state utilizzate le categorie della geo-politica e geo-strategia, in una parola la logica dei rapporti di forza, forse avrebbe potuto essere prevenuto. Magari con l’apertura dell’Unione europea all’Ucraina senza dover parlare dell’alleanza militare.

Il punto essenziale è che l’Ucraina per la Russia non è omologabile ai Paesi Baltici entrati nella Nato, dunque usciti dalla sfera di influenza di Mosca, fa parte dell’identità storica delle etnie fondatrici della Russia e Kiev ne è stata la prima importante capitale. Dopo la fine dell’Unione sovietica e la nascita della Confederazione, senza alcun approfondimento sui confini territoriali e le divisioni amministrative funzionali al vecchio ordinamento bolscevico, l’Ucraina è diventata uno stato con un’eredità strategica fondamentale per la Russia dopo che i paesi dell’Europa orientale erano tornati nel novero delle democrazie occidentali. Mostrando una forte deriva nazionalista.

E’ evidente che era nell’interesse europeo conquistarla ai valori democratici e al sistema dell’Unione europea. Ma era necessario coltivarne l’ambizione di aderire anche all’alleanza militare incentivando così lo spirito anti-russo e creando pertanto una situazione quanto meno di instabilità rispetto all’assetto della sicurezza europea? Poteva Putin accettare in via definitiva financo la remota possibilità di trovarsi ai confini un paese potenzialmente ostile e inserito organicamente in un’alleanza strategico-militare a suo tempo costruita proprio contro la Russia? Il che intendiamoci non giustifica in nessun modo il riconoscimento unilaterale delle repubbliche separatiste è tanto meno l’aggressione armata.

Così è cominciato lo smontaggio violento del nuovo stato: via la Crimea a maggioranza russa (la base navale storica della flotta russa), via il Donbass a maggioranza russa e ricco di materie prime. L’Europa e gli Usa hanno reagito sempre con l’arma delle sanzioni e lo sta facendo anche in queste ore (“molto dure”, ha detto Ursula von der Leyen), ma non sarebbe stato più ragionevole e previdente in questi anni lavorare con Mosca e Kiev per trovare una soluzione accettabile per tutti, per esempio nel quadro di una nuova CSCE, conferenza europea per la sicurezza e la cooperazione che negli anni 70 avviò un processo che risultò decisivo per il mantenimento della pace in Europa?

In realtà si è preferito puntare sulla debolezza dell’ex impero sovietico, fare affari, comprare il gas, nel mentre si lasciava Putin gettarsi nelle braccia di Xi Jinping, considerandolo (con qualche giustificato motivo) una canaglia con cui è meglio avere poco a che fare. Nessuno ovviamente rimpiange i rapporti privilegiati fra Trump e il presidente sovietico, ma era compito degli europei  farsi carico degli squilibri del continente dall’Atlantico, come si diceva a Helsinki, agli Urali.

Così un equilibrio precario si è rotto e nessuno può dire che cosa accadrà. Quando parlano le armi è come lanciarsi in una stagno senza fondo nel quale si nascondono mostri e tagliole di ogni genere. Con il paradosso che l’ultimo grande regime comunista autoritario che di rapporti di forza se ne intende, la Cina, è l’unico che ricorda che per risolvere il conflitto appena esploso bisogna  “tenere in considerazione le preoccupazioni  della Russia sulla sicurezza”, anche se premette che “va rispettata l’integrità territoriale degli stati”: “La mentalità da Guerra Fredda dovrebbe essere del tutto abbandonata e un meccanismo di sicurezza europeo equilibrato, efficace e sostenibile dovrebbe essere finalmente formato attraverso il dialogo e la negoziazione”, dice Pechino che peraltro parte da un’ottica assai particolare, perché guarda al Donbas e all’Ucraina ma ha in mente la questione Taiwan. Era una frase che nel corso degli anni stava meglio sulla bocca degli europei.

Tocca a loro prendere in mano il filo della diplomazia per far tacere le armi.

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