Parma – Lo sconquasso emotivo conseguente alla guerra in Ucraina lascia in ombra le altre guerre che insanguinano il pianeta. Le migrazioni in e dall’Ucraina ci fanno dimenticare altre imponenti migrazioni da zone di guerra e di fame, le carrette del mare e i morti annegati.
La giusta, generosa e pronta accoglienza a chi fugge dall’Ucraina ci fa vergognare di fronte alle difficoltà che il ricco Occidente continua a opporre agli africani e agli asiatici che cercano asilo da noi. Ancor oggi una nave di Medici Senza Frontiere, con rifugiati a bordo, dopo giorni di attesa, non ha il permesso di attraccare in un porto.
Due pesi, due misure. Solo su un punto le diverse situazioni convergono: la fornitura di armi. Vari stati oggi forniscono generosamente l’Ucraina, perché si difenda dall’aggressione russa, così come hanno armato e armano le fazioni che si combattono in molti Paesi dell’Africa e dell’Asia. Le vendite dei 100 maggiori produttori mondiali ammontano a 530 miliardi di dollari¸ dominano il mercato le aziende statunitensi, che occupano i primi 5 posti in classifica.
Non credo che la spiegazione di questa asimmetria di comportamenti sia semplicemente che il colore della pelle degli ucraini è chiara come la nostra, anche se un sentimento, anche se inconscio, di razzismo può avere la sua importanza. Più verosimilmente si tratta di una vicinanza storica, politica e culturale, vicinanza che manca con i popoli dell’Africa e con il mondo musulmano.
Non che questo giustifichi comportamenti tanto dissimili come quelli a cui stiamo assistendo. La fine della Seconda guerra mondiale, e poi della guerra fredda, se si eccettua la guerra, dei Balcani degli anni Novanta ha avviato un lungo periodo di pace per noi europei. Ma, se guardiamo al mondo intero, le guerre, infatti, non sono mai cessate.
A cambiare, assieme ai principali attori, è stata anche la natura dei conflitti armati, che si sono rivelati più estesi nel tempo; inoltre l’evoluzione tecnologica ha favorito l’utilizzo di armamenti robotizzati, come nel caso dei droni, o i “cyberattacchi”.
Secondo i dati riportati dalla Ong, Armed conflict location & event data project, sono 59 i conflitti in corso nel mondo: dalla Siria al Mali, dalla Palestina al Pakistan, dalla Colombia alle Filippine. Di molti di essi non abbiamo mai sentito, coinvolgono Paesi che non sapremmo neanche collocare su una carta geografica.
Alcune di queste guerre vanno avanti da decenni. Una delle possibili cause è la lotta per il possesso di risorse strategiche, come molti dei conflitti in Africa; altre sono dovute ai giochi geopolitici delle grandi potenze (Afghanistan e Libia), altre ancora nei commerci di sostanze illegali, come la guerra dei Narcos in Messico.
Ma vediamo i casi più rilevanti.
Yemen
Lo Yemen,si trova nel sud-ovest della Penisola Arabica; la sua estensione è quasi il doppio di quella italiana. E’ un antico centro di civilizzazione; i romani lo chiamavano Araba Felix. Oggi è uno dei paesi più poveri del mondo arabo.
Dal 2014 convive con una guerra civile tra i ribelli Houthi (Ansar Allah) appoggiati dall’Iran e la coalizione governativa guidata dall’Arabia Saudita. Dall’inizio del conflitto i morti sono oltre 100 mila (secondo altre fonti 250mila, o addirittura 400mila, Il 60% vittime indirette, persone che hanno perso la propria vita per fame e malattie). Circa 4 milioni hanno dovuto abbandonare la propria abitazione; la maggior parte vive in condizioni di estrema miseria. Il parziale blocco saudita dello Yemen ha portato alla più grave catastrofe umanitaria del secolo, secondo l’Onu; 5 milioni di persone sono a rischio di morire di fame (settembre 2021).
I combattimenti sono iniziati quando il movimento ribelle musulmano sciita Houthi ha preso il controllo della provincia settentrionale di Saada ed è arrivato a prendere la capitale Sanaa, costringendo il presidente Hadi all’esilio. Nel marzo 2015 l’Arabia Saudita e altri otto stati – per lo più arabi sunniti – sostenuti dalla comunità internazionale – hanno lanciato attacchi aerei contro gli Houthi: circa 25mila raid aerei in sette anni. Le forze di terra saudite sono sostenute da mercenari pakistani, indiani, centroamericani e sudanesi.
L’Arabia Saudita ha giustificato il proprio intervento in Yemen affermando che l’Iran sostiene gli Houthi con armi e supporto logistico – un’accusa che l’Iran nega. Nel 2015 Amnesty International ha accusato l’Arabia Saudita di crimini di guerra.
Dal novembre 2021 l’amministrazione Biden ha approvato la vendita all’Arabia Saudita di missili per un valore di 560 milioni di dollari, ha confermato l’impegno a vendere aerei da combattimento, bombe e altre munizioni agli Emirati arabi uniti per un valore di 23 miliardi di dollari e ha assegnato alle aziende statunitensi contratti per il valore di 28 milioni di dollari per la manutenzione degli aerei da combattimento sauditi.
Oggi la situazione sta invertendosi: gli Houti attaccano l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi entro i loro confini.
Recentemente la coalizione anti-Houthi ha formato una nuova istituzione, il Presidential Council, di otto membri, ciascuno dei quali rappresenta una delle forze presenti sul campo; Il Council gode della protezione del Gulf Cooperation Council e potrebbe essere lo strumento per avviare trattative di pace con gli Houti.
L’intervento saudita in Yemen ha alcune somiglianze con l’invasione russa dell’Ucraina. Come i russi, i sauditi hanno molto sottovalutato i loro oppositori. La missione di Riyad era inizialmente denominata in codice Operazione Decisive Storm, ma è stata tutt’altro che decisiva.
La “piccola” differenza è che alcune delle nostre democrazie occidentali non appoggiano gli aggrediti, ma gli aggressori.
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Kurdistan
I curdi rappresentano il quarto gruppo etnico più popoloso del Medio Oriente, dopo i turchi, i persiani e gli arabi: circa 30 milioni, per lo più islamici sunniti. Sono dislocati prevalentemente in cinque Paesi: Iraq, Iran, Turchia, Siria e Armenia, nell’area che prende il nome di Kurdistan.
Dopo la sconfitta dell’impero ottomano le aspirazioni nazionali dei Curdi vennero completamente ignorate e il loro territorio diviso tra Turchia, Iran (il Kurdistan settentrionale), Siria e Iraq (il Kurdistan meridionale). Oggi lo status dei Curdi è quello di una minoranza nei rispettivi Paesi che abitano.
Tra il 2015 e il 2016 i guerriglieri curdi, in particolare il Partito dell’Unione Democratica (PYD) e il PKK che condividono l’obiettivo finale di un Kurdistan indipendente, riuscirono a fermare l’avanzata dell’ISIS.
Nel marzo 2016 ufficiali curdi, arabi, assiri e turcomanni proclamarono la nascita, nei territori da loro controllati, della Federazione Democratica del Rojava – Siria del Nord. Contro la neo-costituita Federazione, all’inizio del 2018, è stata avviata una pesante operazione militare appoggiata dalla Turchia, denominata Operazione ramoscello d’ulivo (!); secondo le fonti curde, vi sarebbero stati impiegati ex combattenti dell’ISIS. l’invasione di terra ha l’obiettivo di creare ai confini della Turchia una zona cuscinetto di circa 30 chilometri. Inoltre si intende indebolire il popolo e le milizie curde, da sempre viste come una minaccia alla sicurezza nazionale, e di impedire la creazione di una regione autonoma curda nel cosiddetto Rojava.
La Turchia ha lanciato anche una offensiva nel Kurdistan iracheno, una delle cinque regione abitate dall’etnia curda Yazida che gode di una certa autonomia politica dal 2012, quando venne riconosciuta come regione federale del Paese.
Entrambe le regioni sono vittime delle offensive turche perché rappresentano delle esperienze di autonomia e confederalismo democratico che alimentano la volontà di indipendenza da parte dei curdi-turchi. Secondo “L’Espresso” del 22 maggio, alla Turchia fa gola il Nord Iraq e il Nord-Est siriano.
La comunità internazionale è praticamente assente dallo scenario dell’aggressione, abbandonando la popolazione curda, che ha avuto un ruolo fondamentale nel contenimento e nella sconfitta di Daesh. Non deve stupirci: anche se Erdogan è un dittatore, è nostro partner nella NATO, nella quale possiede il secondo esercito.
https://it.wikipedia.org/wiki/Conflitto_curdo-turco
Siria
Nel 2011, la guerra, iniziata con la protesta contro il duro regime del presidente Bashar al-Assad, si mescola alla guerra per procura tra potenze regionali e non. Le manifestazioni sono presto degenerate in veri e propri scontri, con la formazione di milizie che hanno cominciato a combattere l’esercito regolare del governo siriano. L’avvento dell’ISIS si inserì nel già drammatico quadro di morte. A oltre 10 anni dall’inizio della guerra il presidente Bashar Al-Assad, sostenuto dalla Russia, resta saldo alla guida del paese. I morti sarebbero quasi mezzo milione (secondo altre valutazioni 350 000); quasi 7 milioni di siriani sono fuggiti dalle loro case; l’Unione Europea si è preoccupata soprattutto di evitare che questi raggiungessero i loro paesi; nel 2015 la Germania annunciò di voler accogliere i rifugiati, ma gli altri Paesi si rifiutarono. Chi fugge trascorre anni nelle tendopoli ai confini d’Europa; si stima che in Turchia vivano circa due milioni di curdi siriani.
Il Paese sprofonda in una crisi umanitaria devastante. La guerra è ancora lontana dal suo epilogo.
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Vediamo alcune delle altre guerre in corso. https://www.italiachecambia.org/2022/04/guerre-nel-mondo
Afghanistan
Il conflitto si è riacutizzato con l’abbandono improvviso del paese da parte delle truppe americane e la riconquista del potere da parte dei talebani. Attualmente la guerra è combattuta fra un fronte espressione del vecchio governo assieme ad altre forze anti-talebani, e lo stato governato dai talibani. Il gruppo armato Panjshi, continua ad opporsi al nuovo Governo.
La guerra risale al 1978, supportata prima dai russi, poi dagli americani,a contendersi il controllo del Paese. Le vittime si contano a milioni.
Oggi il problema è la fame; le sanzioni statunitensi colpiscono la popolazione già stremata; la carestia sta mettendo in ginocchio il paese e lasciando milioni di persone senza cibo. Più della metà della popolazione dell’Afghanistan vive al di sotto della soglia di sopravvivenza.
Guerra civile in Myanmar
Lo stato asiatico del Myanmar, la ex-Birmania, nel 1948 ottenne l’indipendenza dall’Impero coloniale inglese.
Nel 1962 un colpo di Stato del 1962 portò al potere il generale Ne Wi. Da allora e per decenni alcune regioni del Paese sono teatro di attentati e battaglie tra forze locali e governative.
La guerra civile attuale ha avuto inizio con il colpo di stato del febbraio 2021, in cui Min Aung Hlaing, il comandante in capo delle forze armate del paese, ha cacciato il governo democratico birmano. Le proteste che ne sono seguite, conosciute come Rivoluzione di Primavera, hanno causato almeno 1500 morti fra i manifestanti e e l’arresto di 8.800 oppositori della giunta militare che ha preso il potere.
La guerriglia portata avanti da una coalizione chiamata Forza di difesa del popolo, la frangia armata del Governo di unità nazionale in esilio. Solo nel 2022 sono già più di 4.000 le vittime militari e civili.
Kashmir
Il Kashmir è situato all’estremità nord-occidentale della catena dell’Himalaya e attualmente diviso tra India e Pakistan, e un pezzetto alla Cina; è l’unico stato indiano a maggioranza musulmana ed è al centro di una delle dispute territoriali più longeve al mondo. India e Pakistan hanno a lungo combattuto per il controllo della regione.
Nella lotta armata di stampo separatista i civili sono vittime del fuoco incrociato dei militanti – la cui causa è sostenuta dalla popolazione e foraggiata dal Pakistan – e delle forze di sicurezza indiane, percepite come una forza occupante.
Africa
L’Africa è il continente più martoriato, in cui a volte è difficile definire i confini dei vari conflitti e isolarli gli uni dagli altri. Ci sono almeno una ventina di aree di crisi. 12 Paesi dal 1° gennaio 2021 all’8 aprile marzo 2022 hanno superato la soglia dei mille morti per le violenze armate: Nigeria (10.584), Etiopia (8.786), Rd Congo (5.725), Somalia (3.523), Burkina Faso (2.943), Mali (2.344), Sud Sudan (2.160), Repubblica Centrafricana (1.801), Sudan (1.342), Niger (1.324), Mozambico (1.276), Camerun (1.141).
Complessivamente, nel continente ci sono state oltre 46 mila le vittime di conflitti di varia natura e decine di milioni i profughi.
Secondo un rapporto dell’Istituto per l’economia e la pace, il Medioriente e il Nordafrica hanno rappresentato il 39% delle morti legate al terrorismo in tutto il mondo tra il 2007 e il 2021. E il Sahel sta diventando il nuovo epicentro del terrorismo.
Etiopia
Il conflitto dal novembre 2020 devasta una parte dell’Etiopia, con centinaia di migliaia di sfollati e frequenti massacri nei confronti della popolazione civile. Il governo etiope combatte senza esclusioni di colpi i ribelli della regione del Tigray, nell’Etiopia settentrionale, al confine con l’Eritrea. Il Tigray People’s Liberation Front (TPLF) rifiuta i tentativi di accentramento del potere da parte di Addis Abeba e chiede l’indipendenza della regione.
Il primo ministro, etiope Abiy Ahmed aveva ricevuto il Nobel per la Pace nel 2019 per aver messo fine al conflitto con l’Eritrea, ma ora è in prima linea nella guerra.
Entrambi gli schieramenti si sono macchiati di crimini di guerra e atrocità contro intere comunità civili (fonte: ISPI). Inoltre, nella parte Centro-Sud dell’Etiopia l’etnia Oro con il suo Fronte di liberazione, ha iniziato combattere a sua volta l’esercito etiope.
La fame sta aumentando nel nord e i combattimenti stanno bloccando la produzione alimentare.
Nigeria
Con oltre 200 milioni di abitanti, la Nigeria è lo stato più popoloso dell’Africa e la struttura federale – 36 Stati che godono di una certa indipendenza e circa 250 gruppi etnici – unitamente a una difficile situazione economica, nel periodo post-coloniale ha dato adito a conflitti e guerriglie. Nell’ultimo decennio, il fronte più drammatico è situato nel Nord-Est del Paese, dove il gruppo terroristico di Boko Haram , composto da estremisti islamici, organizza attentati e sortite per sterminare gli uomini e rapire donne e bambini. Alto è il numero di migranti che fuggono dai massacri verso la popolazioni civile.
Seguire questo interminabile, drammatico elenco di orrori e umana sofferenza, oltre che rammarico per le responsabilità anche nostre, di Paesi ricchi e democratici, suscita un senso di angoscia e di impotenza.
Nel grafico: le vendite dei 100 maggiori produttori mondiali ammontano a 530 miliardi di dollari¸dominano il mercato le aziende statunitensi, che occupano i primi 5 posti in classifica. Gli Usa nel 2020 hanno esportato quasi la metà della propria produzione in Medio Oriente. Sono aumentate le esportazioni della Francia (44%) e della Germania (21%), mentre sono diminuite quelle della Russia (-22%) e della Cina (-7,8%) (fonte SIPRI 2020)
Gli Usa hanno speso 780 miliardi di dollari per produrre armi, a Cina 250, l’India 73, la Russia 62.