Guerra in Ucraina: il ritorno dell’America, le debolezze degli europei

Il saggio del giornalista Giuseppe Sarcina

La guerra scompiglia strategie e buone intenzioni. Travolge equilibri e certezze considerate incontrovertibili. Tiene in sospensione, per un tempo impossibile da prevedere, popoli e governi, i rappresentanti di una comunità così come i portatori di interessi materiali, quelli che hanno tutto da perdere o tutto da guadagnare. Ogni giorno e ogni notte l’aggressione russa all’Ucraina aggiunge nuovi fatti spaventosi e nuove iniziative e prese di posizione al livello globale, mentre i tavoli delle cancellerie cercano di trovare un filo per mettere in moto un negoziato. 

La rottura dell’equilibrio non coinvolge solo lo scacchiere europeo e nemmeno solo il mutare dei rapporti di forza fra le grandi potenze con la crescita tumultuosa del gigante cinese, arrivato a un passo dal confronto a tutto campo con il leader mondiale. Fino a 24 febbraio 2022 gli americani gestivano le sfere di influenza con la saggezza di un vecchio impero senza reali concorrenti e i russi cercavano di recuperare uno status di interlocutore alla pari ricostituendo progressivamente la vecchia eredità sovietica. La crisi dell’assetto mondiale post guerra fredda,  l’epoca della globalizzazione, era già in gestazione quando Vladimir Putin ha deciso di scommettere sulla forza delle armi.

Viviamo dunque in un “mondo sospeso” come avverte il titolo del libro di Giuseppe Sarcina uscito in libreria e sulle piattaforme web nei mesi appena scorsi tra i saggi della casa editrice Solferino del Gruppo Rcs. Il volume reca il sottotitolo “la guerra e l’egemonia americana in Europa” ed è il racconto rigoroso e documentato di ciò che è accaduto nel primo anno di guerra in Ucraina. Delle aspettative delle prime settimane (sbagliate) dell’aggressore e di chi voleva fermarlo e delle svolte successive collegate all’escalation dello spargimento di sangue. Putin avrebbe voluto chiudere rapidamente la cosiddetta “operazione speciale” con la cacciata del presidente democraticamente eletto e la sua sostituzione con un governo fantoccio ed è caduto nella trappola della guerra di posizione. Voleva  limitare la presenza del sistema Nato ai confini della Russia, ora armi e soldati occidentali sono schierati lungo una linea di 2.600 chilometri.

Perfino la  Finlandia e  la Svezia, sono entrate nello schieramento che gli si oppone. Per una generazione che ha sentito risuonare nella testa il termine di “finlandizzazione”, dichiarazione di neutralità,  come una situazione virtuosa per garantire la pace, il contraccolpo psicologico è notevole. Nello stesso modo quella generazione è rimasta a bocca aperta di fronte alla decisione della Germania di destinare 100 miliardi alla difesa, quando per decenni il riarmo tedesco è stato al centro delle preoccupazioni e delle diffidenze dei partner europei.

Sarcina, giornalista di lungo corso del Corriere della Sera, prima corrispondente da Bruxelles, poi inviato speciale a Kiev e nel Donbass tra il 2013 e il 2014, corrispondente dagli Stati Uniti dal 2015 al 2022, ripercorre questi mesi indicando alcuni punti fermi che sono al centro del dibattito sulle origini di questa guerra  che attraversa orizzontalmente gli schieramenti politici italiani e divide analisti e commentatori. Fra tutti la tesi che gli ucraini stiano combattendo una “proxy war”, una guerra per procura contro la Russia e che questa sia stata fin dall’inizio l’intenzione di Washington.

Il presidente Joe Biden in realtà, spiega Sarcina, avrebbe voluto proseguire la linea dei predecessori di un disimpegno dalla presenza in Europa, offrendo a Putin trattative per un disarmo a tutto campo anche per allentare la minaccia proveniente dall’occupazione illegittima della Crimea e dalla rivolta filorussa del Donbass. Il suo intento era soprattutto quello di “concentrarsi sulla sfida epocale con la Cina”.

Dopo una prima fase di “ambiguità costruttiva”, la svolta della strategia del presidente  (e dei suoi consiglieri e ministri Jack Sullivan, Antony Blinken e Lloyd Austin), in termini di impegno militare in difesa dell’Ucraina e di rafforzamento dell’Alleanza Atlantica, è arrivata di fronte ai ripetuti bombardamenti sulla popolazione civile e la scoperta dei corpi torturati di Bucha: “Putin è un criminale e deve essere sconfitto”.

Nel coordinamento dell’invio di armi e materiale bellico a Kiev e nella riorganizzazione dei presidi militari ai confini con la Russia, gli Stati Uniti hanno ripreso in mano la leadership della Nato. “Siamo tornati per restare”, ha dichiarato Biden. “All’espansione nell’Indo-Pacifico si aggiunge anche il ritorno massiccio e strutturale in Europa, specie su fianco Est”, chiosa Sarcina. Sempre mantenendo grande attenzione a non arrivare allo scontro diretto con Mosca come si è visto negli ultimi episodi, l’attacco di frange russe anti-Putin a Belgorod (l’America non vuole che si usino le sue armi in territorio russo) e le ripetute provocazioni di Dimitri Medvedev, controfigura del capo del Cremlino, che continua a ventilare la possibilità di usare armi di distruzione di massa (Biden, generico: “ci saranno severe conseguenze”).

America is back, l’America è tornata in Europa, soprattutto nella sua parte orientale. E gli alleati europei preoccupati per la loro sicurezza (“scrocconi” li aveva definiti Barack Obama) sono costretti da una parte a onorare gli impegni che avevano preso in ambito Nato (il 2% del Pil alla difesa) e dall’altra a riconsiderare i piani, sempre falliti, di mettere insieme una difesa comune. Dopo anni nei quali hanno pensato che la pace l’equilibrio si poteva mantenere facendo affari con la Russia, il cosiddetto “Teorema  Merkel”, ora come ha detto l’alto rappresentante per la politica estera e la difesa comune Josep Borrell, “l’Europa deve imparare il linguaggio della forza”. Consapevolezza che non si traduce in decisioni efficaci in grado di dare libertà di azione all’Europa nei confronti dell’alleato. Fa venire i brividi la decisione di predisporre una forza di intervento rapida di 5mila uomini entro il 2030, quando la Nato ne ha già 40mila sul campo e può in breve tempo arrivare a 300mila.

Il mondo si sta riconfigurando e, nel caos imposto dalla guerra, è impossibile prevedere come sarà nel prossimi futuro. Le ultime notizie parlano di un possibile riavvicinamento dell’America alla Cina, una mossa caldeggiata ampiamente da Henry Kissinger per il quale è “un trend pericoloso l’avvicinamento fra Mosca e Pechino”. Dopo aver rafforzato l’Alleanza, forse la soluzione alla guerra in Ucraina può arrivare dagli sviluppi dei rapporto con la Cina. Anche questo è una conferma della capacità mostrata finora da Biden di muoversi con la flessibilità necessaria a ritrovare un equilibrio pacifico. Del resto è nella tradizione della Nato prendere “doppie decisioni”, come fu nel caso degli euromissili del 1981: rafforzarsi militarmente e offrire nello stesso tempo il negoziato. Allora il “linguaggio della forza” associato a quello della diplomazia ebbe successo. Come finirà questa sanguinosa crisi è ancora un “enigma avvolto in un mistero”.

Il saggio di Sarcina verrà presentato lunedì 29 maggio alle ore 18 presso la libreria Feltrinelli Red a Firenze in Piazza della Repubblica 18 rosso. Ne discuteranno insieme all’autore il sindaco di Firenze Dario Nardella, il giornalista del Corriere della Sera Claudio Bozza e il presidente dell’Associazione AACUPI Fabrizio Ricciardelli. Modera il direttore di Thedotcultura Piero Meucci. L’evento è stato organizzato dal Chapter di Amerigo Firenze, da Fair e dal magazine online Thedotcultura

In foto Henry Kissinger

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