L’arte del coreografo israelo-londinese Hofesh Shechter è stupefacente perché unisce una regia magica e coinvolgente ad una tecnica scenica meravigliosa, varia e originalissima.
Lo spettacolo è molto bello per moltissimi aspetti.L’inizio della trilogia è un’esplosione grazie al sapientissimo uso delle strobo e delle luci in genere, capaci di trascinare lo spettatore in scena e di costruire interi paesaggi mentali sul palco. Un mezzo capolavoro insomma prima ancora che i ballerini emergano dalle quinte.
Il ritmo, anzi il gesto ritmico, è la cifra stilistica di questo artista le cui movenze, le cui azioni sceniche sono del tutto caratteristiche, un marchio di fabbrica si direbbe. E nelle tre coreografie, dato questo comune denominatore, si pesca nella cultura classica come nei passi della danza folk e tradizionale fino alla danza jazz e moderna, in un pastiche stilistico mai noioso, sempre colto, raffinato e tribale ad un tempo.
Un coreografo con un senso originalissimo e sorprendente dei tempi e dei contrappunti, un’estetica della danza composita, modernissima e molto celebrale.
Un’esperienza varia e multiforme, quella costruita da Shechter, ma sempre sorprendente, emozionante, stimolante, che regala suggestioni a piene mani.
La “tentazione autobiografica” accennata dal libretto di sala è, però, un eufemismo. L’auto-coinvolgimento all’interno della scena, l’autocitazione, la presenza del regista a didascalia dei fatti scenici risulta ridondante.
Io penso che voler metter in parole – quello che per un coreografo-regista è in fondo un linguaggio estraneo – il senso, il percorso intellettuale, il dubbio eterno dell’artista verso la sua opera realizza, purtroppo, il suo peggiore incubo: la scontatezza.
Ne vogliamo fare una grande metafora dell’esistenza? Che, cioè, tra le grandi passioni, tra l’accanita ricerca di emozioni forti, il leitmotiv sia la banalità, la ripetitività di domande, assunti, temi e questioni? Così è un po’ facile, però. La voce del regista appare insomma il calo di marcia di tutto uno spettacolo che invece trotta, dall’inizio alla fine, forte della modernità della sua carica estetica e dell’innato spirito empatico di questo artista capace come pochi, col linguaggio che meglio conosce, di parlare agli occhi e alla pancia.
Descrivere troppo, cercare di comunicare troppo alla fine, forse, non serve neanche.
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Teatro Ariosto, stagione Danza – Mercoledì 28 settembre 2016 ore 20.30
Hofesh Shechter Company
Barbarians
Una trilogia di Hofesh Shechter
Part I: the barbarians in love
coreografia e musica Hofesh Shechter collaborazione alle luci Lawrie McLennan voci Victoria e Natascha McElhone musica aggiuntiva François Couperin, Les Concerts Royaux, 1722: Jordi Savall & Le Concert Des Nations, (2004)
Part II: tHE bAD
coreografia e musica Hofesh Shechter con il cast originale Maëva Berthelot, Sam Coren, Erion Kruja, Philip Hulford e Kim Kohlmann collaborazione alle luci Lawrie McLennan – realizzazione costumi Amanda Barrow musica aggiuntiva Mystikal, Pussy Crook: Tarantula (2001) Hesperion XX, Jodi Savall, Paavin of Albarti (Alberti): Elizabethan Consort Music 1558 – 1603 (1998)
Part III: two completely different angles of the same fucking thing
coreografia Hofesh Shechter con il cast originale Bruno Karim Guillore, Winifred Burnet-Smith e Hannah Shepherd collaborazione alle luci Lawrie McLennan musica aggiuntiva Abdullah Ibrahim, Maraba Blue: Cape Town Flowers (1997) Hesperion XX, Jordi Savall, In Nomine V a 5 (White): Elizabethan Consort Music 1558-1603 (1998) Bredren e MC Swift, Control: Control (2014) Hofesh Shechter.
Una commissione di Sadler’s Wells London, Les Théâtres de la Ville de Luxembourg, Théâtre de la Ville – Paris, Berliner Festspiele – Foreign Affairs, Maison de la Danse – Lyon, Festival d’Avignon, HOME Manchester, Festspielhaus, St Pölten (in residenza) e Hessisches Staatsballett, Staaststheater Darmstadt / Wiesbaden (in residenza).
*Lo spettacolo contiene alcune sequenze di nudo integrale