A dieci anni dalla retrospettiva dedicata ad Antonio Ligabue da Palazzo Magnani, permanendo Sandro Parmiggiani e Sergio Negri a curarne la proposta e il taglio critico, la mostra realizzata a Gualtieri celebra un personaggio e un mito che esercita un fascino indiscutibile non solo per i suoi conterranei. L’architetto Mario Botta ne ha curato l’allestimento e la suggestiva sala dei giganti di Palazzo Bentivoglio, che da sola merita una visita alla bassa, vive degli sguardi tesi, dolenti e indagatori del matto “Toni”, dei suoi paesaggi esotici, delle sue scene selvagge, del suo immaginario commisto di arte, cinema e vita quotidiana.
La coincidenza con gli stessi curatori della mostra del 2005 ospitata a Palazzo Magnani dà, in effetti, un leggero senso di deja vu ma, passati dieci anni, progrediti gli studi e la conoscenza, rimane molto interessante poter riguardare e riscoprire con occhio nuovo un pittore come Antonio Ligabue, divenuto simbolo del territorio reggiano tanto da essere ritratto nei cartelloni autostradali a segnalare che tra le bellezze per cui vale bene uscire a Reggio Emilia ci sono i paesaggi di questo straordinario pittore. Aperta fino all’8 novembre 2015 la mostra sembra raccogliere con grande sistematicità le tracce lasciate nel territorio d’adozione dal pittore Ligabue.
Le “collezioni private” di Gualtieri, Guastalla, Luzzara e Reggio Emilia sono infatti le principali fonti di questa ampissima retrospettiva, che raccogliendo specialmente opere degli anni Quaranta e Cinquanta (senza tuttavia escludere gli esordi e alcune tele della notorietà, compresa quella a cui stava lavorando il pittore alla sua morte, comprensiva dello stesso cavalletto di appoggio) propone un ampissimo esempio del repertorio ripetitivo ma fantasiosissimo del Pitùr.
La mostra di Ligabue a Gualtieri va vista -e rivista – per quell’ascendente che la follia esercita sulla mente di tutti noi, per la curiosità che suscita quell’occhio un po’ opaco, ma anche estremamente lucido, che è quello del pittore disturbato ma naturalmente capace, che a dispetto della sua esistenza di sofferenze e fatica ha in sé la consapevolezza della sua capacità e del suo estro. Quella sicurezza è data non certo da un approccio naif -come si rischia di circoscrivere l’esperienza prendendo a riferimento solamente lo stile pittorico – ma da un lungo e paziente apprendistato manuale e visivo. Come in certa arte antica, ma anche come in certi atteggiamenti puerili, che tendono all’ossessiva coazione a ripetere delle azioni e dei suoni, la pittura di Ligabue è fatta di autoritratti, di tigri ruggenti, di barocci con cavalli imbizzarriti, di paesaggi svizzeri che in ripetute versioni, in minime variazioni ripropongono la prolifica produzione della fantasia pittorica di Ligabue in centinaia di versioni e varianti. Nella pittura di Ligabue semplicità e pensiero si fondono e anzi si con-fondono in una esperienza visiva toccante.
La mostra propone una lunga biografia iniziale, che inquadra gli anni e le vicissitudini del Toni, ma lascia la visita completamente sprovvista di un percorso conoscitivo -o anche solo informativo – e tematico scritto. Tuttavia, proprio per quanto detto prima, ovvero per la capacità di Ligabue di parlare senza filtri ad un livello intuitivo, sognante e, in qualche modo, prelogico, la carrellata si gode comunque. Per coloro che vogliano invece approfondire la vicenda artistica, tutt’altro che ingenua e incolta come il personaggio potrebbe far credere, non resta che affidarsi al catalogo della mostra edito da Skirà e corredato da ricche riproduzioni che meglio potranno accompagnare una lettura critica della mostra che, per diverse Gualtieri, si è scelto di non approfondire lungo il percorso espositivo.
Valutazione:☺☺☺ Consiglio di visione: Per vedere alcuni dei grandi e stranoti autoritratti di Ligabue. Per vederli all’interno di palazzo Bentivoglio a Gualtieri. Per vedere la piazza di Gualtieri dentro ad un autoritratto di Ligabue. Per quelli che vogliono fare una di quelle che cose che poi potranno raccontare ai nipoti.