Green Deal: dopo la rivolta dei trattori l’Europa segna il passo

Elisa Meloni, economista ecologica, spiega il ritorno “allo status quo”
Val d’Orcia, Luca Grillandini

Green Deal, transizione ecologica, agricoltura. l’Europa è sotto tiro. Ed è sotto tiro proprio nella parte che dovrebbe essere quella fondamentale, nell’attuale momento storico in cui l’umanità sta sperimentando le prime avvisaglie, già disastrose, di un mutamento climatico le cui conseguenze, fino in fondo, restano inimmaginabili alla maggior parte della popolazione mondiale. Un tema che l’Europa ha preso di petto, con qualche ambizione di guidare facendo da esempio, le leadership mondiali. eppure, i primi tentativi concreti di mettere un limite a pratiche responsabili del depauperamento dei terreni, dell’utilizzo dell’acqua come “cosa privata”, della terra coltivabile come oggetto di solo profitto (non per i contadini, beninteso, come abbiamo richiamato su queste pagine) hanno scatenato il finimondo proprio fra coloro che dovrebbero essere i principali attori e sostenitori della rivoluzione verde dell’agricoltura, gli agricoltori stessi. Sul tema, abbiamo interpellato l’economista ecologica Elisa Meloni, attivista di Volt ( movimento paneuropeo e progressista che sottolinea l’importanza di creare una voce europea unitaria e federale)  e già funzionaria della Commissione europea.

Quali sono i motivi, secondo la sua analisi, che hanno provocato la cosiddetta “rivolta dei trattori”, quando sono state rese pubbliche le linee della nuova legislazione UE in merito al tema dell’agricoltura “pulita”?

“Le proteste che hanno animato il mondo degli agricoltori negli ultimi mesi hanno interessato tutta l’Unione europea. Andando ad esaminare più da vicino la questione, è emerso che le motivazioni delle proteste sono molto diversificate fra Paesi e Paesi, un dato intanto molto importante. In particolare, le motivazioni principali emerse, sono in primis le proteste contro la pressione burocratica che gli agricoltori subiscono, seguite dalla marcata perdita di potere contrattuale da parte degli agricoltori rispetto all’agroindustria, dalla grande distribuzione organizzata alle multinazionali, e la concorrenza sleale di paesi terzi (non UE).  Accanto a queste due criticità primarie, è molto forte anche l’incidenza dei costi in aumento, sia per l’inflazione sia per l’aumento ad esempio del prezzo dei combustibili fossili (il prezzo dei carburanti per i mezzi agricoli), sia da una serie di concause che spesso configurano situazioni in cui l’agricoltore si trova con dei grossi vincoli rispetto alle aziende che comprano i prodotti, strozzato dai prestiti che ho contratto con le banche, dai contratti stabiliti dai grandi operatori di mercato, e dall’altro lato l’UE che stabilisce che, dal 2023 al 2027, l’agricoltore già in sofferenza deve mettere in campo più misure per rispettare l’ambiente. Ad esempio, per il ripristino degli ecosistemi, l’Europa chiede di lasciare  una parte di terreni, di lasciare a riposo una porzione di terreni, ridurre l’uso di pesticidi e fertilizzanti, e così via. Di fronte a tutto questo, l’agricoltore (in particolare il piccolo e medio agricoltore, ndr), può sentirsi schiacciato e senza scampo, specialmente se grandi produttori e gruppi di interesse dell’agroindustria diffondono informazioni fuorvianti per fare dell’Europea e della PAC “verde” il capro espiatorio di una crisi che ha radici e ragioni ben più ampie. Il gruppo politico che fa capo alla presidente Von der Leyen, quindi il PPE, insieme all’ala conservatrice del Parlamento europeo, ha accarezzato e strumentalizzato questo malcontento, dovuto anche una comunicazione non certo brillante da parte della UE”.

Da ciò deriva secondo lei un certo uso a fini elettorali di un malcontento che comunque poggia su preoccupazioni reali da parte dei produttori agricoli?

“Senz’altro non possiamo ignorare l’avvicinamento che è in corso fra il Ppe e le formazioni più dichiaratamente di destra dell’arco parlamentare europeo come quella dell’ECR (gruppo dei conservatori e dei riformisti, testimoniato d’altro canto anche dalla vicinanza espressa in varie occasioni fra la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen e la nostra presidente del consiglio. Ma anche i membri del gruppo liberale Renew euroope e quelli del gruppo Socialisti e Democratici (S&D) hanno flirtato con le critiche alla nuova PAC provenienti dai ranghi del PPE, in quanto parti del loro elettorato rurale e agricolo hanno fatto pressione per bloccare o indebolire la legge. Ritengo che, mentre le preoccupazioni legittime degli agricoltori devono essere messe sul tavolo, comprese e affrontate, l’utilizzo di queste per fini elettorali o peggio per cercare di svuotare la necessaria azione legislativa di contrasto alla crisi climatica , sia un’operazione da smascherare”-

Quali sono, se ci sono, i mezzi per riuscire a comunicare con gli agricoltori la necessità di una svolta nelle forme dell’agricoltura, per il bene collettivo della salute e dell’ambiente?

“Comunicazione più efficiente, senz’altro, per non veicolare cattive informazioni, ma soprattutto coinvolgere davvero gli agricoltori in un processo partecipato, per capire meglio le necessità reali di chi protesta e mettere in campo strumenti adeguati.  Se chiedo di seguire pratiche che permettono di tutelare meglio il paesaggio, la biodiversità e contrastare il cambiamento climatico, devo anche dare incentivi economici adeguati. E quelli in campo ora sono francamente insufficienti. Il sacrificio non è adeguatamente  compensato. Inoltre, affrontare il nodo, come Unione europea, del potere contrattuale degli agricoltori, irrisorio nei confronti dei grandi soggetti dell’agroindustria. E’ questo un aspetto fondamentale su cui L’UE deve agire. Invece, il modo in cui parte della stampa e la politica si sono concentrate per spiegare le proteste è stato fuorviante e pretestuoso, cavalcando un sentimento populista anti-ambientalista quando il tema centrale è garantire un trattamento equo e un futuro economico stabile agli agricoltori, senza che ciò implichi sacrificare le misure di ripristino della natura e di contrasto alla crisi ambientale e climatica.  Perché sarebbe miope e controproducente – infatti, senza natura non c’è agricoltura. E l’agricoltura è la prima “vittima” dei cambiamenti climatici e dei conseguenti eventi metereologici estremi. che tutto sommato è lo squilibrio contrattuale che determina lo squilibrio dei prezzi”.

L’Unione europea ha preso coscienza di questo problema?

“La Commissione europea nel marzo scorso ha dichiarato che, consapevole della forte criticità, si sarebbe attrezzata, attraverso il lancio di un osservatorio dei costi di produzione, dei margini e delle pratiche commerciali nella catena di approvvigionamento agroalimentare – con i rappresentanti di tutti i settori della filiera alimentare e i rappresentanti degli Stati membri e della Commissione.  Tuttavia, non si può dire che il problema sia sconosciuto ai Paesi che compongono l’Unione europea, anzi. Purtroppo, alcuni Paesi hanno accarezzato i grandi produttori , grandi lobbisti che ovviamente non sono i piccoli agricoltori, che muovono consistenti risorse che vanno a finanziare campagne elettorali, come quella per le europee di giugno e campagne per le elezioni nazionali. Un dato facilmente reperibile è il fatto che storicamente circa l’80% delle risorse destinate all’agricoltura europea sia andato ai grandi soggetti agroindustriali”.

Quali sono i punti salienti che l’Europa ha messo in campo, con le proposte di riforma sul tema della sostenibilità e della transizione ecologica?

“Se parliamo della politica agricola comunitaria, premetto che si tratta di un’architettura molto complessa, che conosce vari regolamenti. Il. meccanismo è il seguente: per accedere agli aiuti europei, l’agricoltore deve dimostrare di rispettare delle condizionalità, In altre parole, i benefici economici sono vincolati al fatto che l’agricoltore faccia ciò che è richiesto dall’Unione, che sono criteri di tutela ambientale, Nella revisione iniziale della politica agricola europea, era prevista una impostazione molto più ampia, che la collegava direttamente al Green Deal, il quale si riflette su tutti i vari aspetti economici europei, a partire dalla politica industriale per giungere a quella agricola, Sotto la pressione delle forze cui abbiamo accennato, via via questa buona intenzione iniziale è stata indebolita, per cui è stata approvata una prima sistemazione giuridica di politica agricola comune in cui principi fondanti, per fare qualche esempio le modalità di tutela del suolo, l’uso dei pesticidi e dei fertilizzanti ecc., sono risultati già annacquati. Per quanto riguarda i passaggi, un primo annacquamento è avvenuto nel momento intercorso fra la proposta della Commissione europea e il voto del Parlamento, Dal Parlamento europeo è dunque uscita, grazie a un saldarsi dei partiti intorno alla necessità di abbassare le “richieste”. Ma il colpo d grazia è avvenuto dal passaggio della proposta uscita dal Parlamento europeo al Consiglio europeo, dove hanno molta forza gli interessi nazionali”.

Una svolta, dunque, che forse si potrebbe sintetizzare nel fatto che lo spirito iniziale di riforma delle politiche agricole europee sia virato nel tentativo di mantenere lo status quo. Che ne pensa?

“Diciamo che in un certo senso s’è mantenuta la forma ma si è svuotata la sostanza. Si è lasciata grande discrezionalità ai singoli Paesi, quindi anche all’Italia, presentando le “riforme” in forma di raccomandazioni o obblighi più o meno derogabili. Un risultato molto diverso da ciò da cui si era partiti, che non garantisce quella uniformità di effetti necessaria per incidere davvero”.

Di fatto, la sensazione è che in qualche modo ciò appaia all’opinione pubblica come il risultato delle pressioni di piazza, che avrebbero fatto fare “un passo indietro” agli arcigni burocrati dell’Europa. Ma per andare sul concreto, cosa rischiamo se non si attua il Green Deal?

“Parlando semplice: per quanto riguarda le politiche agricole, senza natura non c’è più agricoltura. E’ di queste settimane un report di esperti europei che dice che gli eventi climatici estremi legati al cambiamento climatico, colpiscono pesantemente l’agricoltura, sono una minaccia per la nostra sicurezza alimentare. Se noi non agiamo sulla qualità del suolo, i livelli di inquinamento e tutto quello che costituisce una minaccia per l’ambiente in cui siamo calati e di cui facciamo parte, l’agricoltura non verrà protetta ma rimarrà sempre in balia degli eventi. In realtà non stiamo dando una mano agli agricoltori, diminuendo le ambizioni con cui si era partiti nella riforma delle politiche agricole comunitarie; stiamo solo rinviando il problema, E temo che stiamo chiudendoci alle spalle la finestra temporale di opportunità per agire. Negli altri ambiti, ridimensionando il Green Deal, ci indeboliamo come Unione europea, dal momento che abbiamo dichiarato la nostra finalità di essere capofila in questa direzione rispetto a tutti gli altri Paesi”. .

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