Biche parola francese che significa cerbiatta, ma sicuramente la parola italiana biscia deriva dalla stessa radice. Immaginatevi dunque quale effetto poteva avere sui fiorentini il pamphlet satirico scritto da Marie Laetitia Bonaparte Wyse (i cognomi aumenteranno ancora), cugina di Napoleone III, nata in Irlanda, molto chiacchierata a Parigi, andata in sposa al secondo Presidente del Consiglio dell’Italia Unita Urbano Rattazzi. Un’esponente di spicco della grande comitiva di piemontesi e aggregati che calarono nella Città del Giglio diventata capitale del Regno di Vittorio Emanuele II.
“Bicheville”, il titolo del pamphlet, era una feroce caricatura di Firenze e dei suoi personaggi che avevano messo nel mirino la bella straniera che esercitava con successo tutto il suo fascino e la sua intelligenza per creare un salotto (il Salotto azzurro dove si parlava francese) nel Palazzo Guadagni di piazza Santo Spirito, residenza dei Rattazzi. Nel richiamare la crème de la crème della nuova capitale era entrata evidentemente in competizione con le altre grandes dames della città e soprattutto con Emilia Peruzzi, sposa del deputato del Parlamento Ubaldino, che riceveva notabili e intellettuali, della politica e delle arti, da De Amicis e Collodi a Silvio Spaventa, nel Salotto rosso.
Del resto la cifra principale del carattere e della personalità di Marie Laetitia, nipote del fratello di Napoleone I, figlia di un Wyse sposata Rattazzi, dopo la morte del primo marito Frédéric Joseph de Solme preso a 15 anni, era proprio l’umorismo e la caricatura. Marie era stata allieva di Honoré Daumier maturando un segno abile e sicuro per tratteggiare personaggi politici del governo Ricasoli nell’Italia post-unitaria e dame di società còlti in situazioni umoristiche e satiriche. I suoi disegni sono altrettanti testimoni dello spirito libero di una donna che non aveva alcuna remora nel trasgredire le ferree regole della seconda metà dell’Ottocento.
Bicheville scatenò perciò un grande polverone nella Firenze promossa a capitale. Sugli strascichi dello scandalo si concentra il libro che le ha dedicato Caterina Perrone, artista e scrittrice di saggi e romanzi che hanno donne per protagoniste. Titolo: “Marie Laetitia Bonaparte WyseRattazzi a Firenze – La principessa internazionale” (Angelo Pontecorboli Editore).
I fiorentini, si sa, anche quelli dell’ottocento, amano la battuta graffiante e non riescono a trattenersi dal prendere in giro persone dall’ego straripante. Ma vedersi messi alla berlina pubblicamente (sia pure con nomi inventati, ma riconoscibili, prima di tutto da loro stessi)… e da chi? Da una signora straniera potente e sussiegosa dai costumi non troppo morigerati…e dove? Addirittura sul loro territorio… Una cosa intollerabile. Quella Rattazzi neanche piemontese ama organizzare Tableaux vivants, che erano uno dei divertimenti colti del tempo, ai quali partecipa in abiti discinti: come quando si è presentata come Diana cacciatrice vestita solo con una pelle di pantera, lasciando vedere più del lecito (di allora).
Lo scandalo non si spegne. Il re consiglia al suo primo ministro di convincere la moglie a lasciare la città. Marie ritorna a Parigi, nella villa al Bois de Boulogne, la città che aveva vissuto intensamente attraverso i grandi letterati, scrittori, poeti e artisti che frequentavano la sua casa, come Hugo, Ponsard, Balzac, Dumas, Ponson du Terrail, Banville, Sainte-Beuve, e che scrivevano sulle riviste letterarie che l’intraprendente Bonaparte non ha mai smesso di inventare e pubblicare. Alla morte di Rattazzi si trasferisce a Madrid dove sposa un deputato delle Cortes. Seguono vicende personali e giudiziarie tutt’altro che esaltanti (“Noi l’avevamo detto”, avranno pensato le rivali fiorentine), fino a che Marie nuore a Parigi nel 1902 all’età di 71 anni.
Sono tanti gli episodi gustosi e le circostanze che racconta l’autrice della biografia che non nasconde la simpatia per il suo personaggio: “Marie è bella, seduttiva, vitale, curiosa, raffinata”. Quello di Caterina Perrone è il libro giusto per conoscere uno spaccato della vita della grande società in una città bella e provinciale che si era improvvisamente trovata al centro di una nuova grande nazione: “Viene il dubbio – scrive – che i fiorentini di allora non l’abbiano conosciuta nella giusta luce, accecati dal bagliore della ribalta su cui si era presentata. Assordati dai luoghi comuni che non perdeva occasione di alimentare, i più non compresero la sua complessità di donna, sia nella dimensione pubblica, sia in quella privata”.