Palermo – Fotografi, artisti italiani si misurano con il dramma dell’immigrazione che si consuma a pochi chilometri di distanza. Il capoluogo siciliano dà il via al dibattito culturale che si snoderà per tutto il 2018 in previsione di Palermo Capitale italiana della cultura con un tema aspro, difficile, che vede la Sicilia in prima linea da sempre.
La mostra Io sono persona, storie di emigrazioni e immigrazioni raccontate da fotografi italiani è stata inaugurata in occasione dell’apetrura del Centro internazionale di fotografia palermitano di Letizia Battaglia ed è curata da Giovanna Calvenzi, Kitti Bolognesi e Marta Posani.
Per ognuno degli artisti presenti all’evento, la testimonianza su questo tema che scassa gli animi e divide l’opinione pubblica è un impegno etico, ma anche molto di più. Con il loro occhio penetrano nei meandri più nascosti di un dramma. Ne captano i simboli e ce li restituiscono talvolta spietatamente, talvolta in un’aura rarefatta che ne moltiplica la potenza. Le loro foto si stampano nei nostri occhi e ci impediscono di distoglierli.
In queste immagini compaiono i volti delle etnie più disparate e le testimonianze più terribili. Come quella di Isabella Balena, giunta a Lampedusa due giorni dopo il naufragio in cui avevano perso la vita 360 migranti: “Al porto, una processione interminabile di bare veniva accatastata e caricata sulle navi in partenza per l’Italia. Bare numerate, molte quelle bianche. Lo strazio dei parenti era palpabile ma composto, nonostante la rabbia”.
Compare il lavoro quasi sociologico di Valentino Bellini/Eileen Quinn: “Il nostro lavoro è un’analisi di quanto un Paese come la Tunisia, con la sua crisi socio-politica, la sua gioventù disillusa, la sua paura per il terrorismo di Daesh e la sua incapacità di gestire gli immigrati, sia una componente forte, seppur indiretta, della più ampia crisi migratoria moderna”.
Passano i volti inquietanti, i piedi e le mani in bianco e nero di Antonio Biasiucci, gli arti che vengono esibiti per trovare eventuali tracce di scabbia. “Molti pensavano che le mie foto delle mani fossero delle foto segnaletiche e le persone del campo avevano cominciato a guardarmi con sospetto…”
Alessandro Grassani fotografa in Bangladesh un dramma destinato a diventare gigantesco negli anni a venire, quello dei migranti “ambientali” dovuti ai cambiamenti del clima. Mentre Francesco Malavolta documenta la speranza, nella bella foto di un barcone di migranti che saluta la vicinanza della libertà con un ampio gesto di gioia. Non mancano le grandi migrazioni che interessarono l’Italia negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso con la testimonianza di Uliano Lucas: “Nel corso della mia attività ho cercato di documentare e capire due grandi processi migratori: la migrazione interna che ha portato milioni di contadini del sud a lavorare come manovali e operai nelle città industriali del nord, e quella in Europa, che ha coinvolto altri popoli insieme agli italiani”.
Sui documenti strazianti di questa tragedia resta, irrisolto, l’interrogativo del fotografo Francesco Radino: “Un vasto mare, mostrando la sua struggente bellezza, nasconde altri corpi cullandoli nei fondali per non offendere lo sguardo di un’umanità che s’è fatta cieca e sorda. Ma che Europa è mai questa che dopo aver depredato il mondo per costruire i suoi imperi oggi rifiuta i frutti avvelenati delle sue rapine?”
Foto: Alessandro Penso