Firenze – Se n’è andato, il grande vecchio delle due ruote. Con un sorriso e un rammarico, ne siamo certi. Il sorriso: esser riuscito ad arrivare ai Mondiali su strada in casa, il circuito fiorentino sognato per decenni che lo scorso anno ha incoronato il portoghese Rui Costa – ironia del destino? – lasciano l’amaro in bocca al nostro Vincenzo Nibali, quarto. Il rammarico, chissà, forse l’ultimo pensiero, non poter assistere alla prima da Commissario Tecnico azzurro di Davide Cassani, a un mese dal debutto di uno dei suoi uomini più fidati: sotto la sua gestione Cassani collezionò infatti ben dieci maglie azzurre (nove da titolare e una da riserva), contribuendo da grandissimo gregario e stratega qual’era alla vittoria di tre maglie iridate (Maurizio Fondriest nel 1988 e la doppietta di Gianni Bugno nel ’91 e ’92), un argento e tre bronzi.
Stiamo parlando del più grande tecnico della storia del ciclismo. Di tutti i tempi. Alfredo Martini si è spento il 25 agosto, a 93 anni e mezzo, nella sua casa di Sesto Fiorentino, a due passi da Firenze. Se n’è andato, chissà se ci pensava, nell’anniversario di uno dei suoi grandi successi: 25 agosto 1991, circuito di Stoccarda, Gianni Bugno, astro nascente del ciclismo italiano, già bronzo iridato a Utsonomya l’anno precedente, si prende la maglia iridata battendo in uno sprint forsennato l’olandese Rooks e quel Miguel Indurain sul quale si prende la rivincita per averlo relegato al secondo posto del Tour de France nemmeno un mese prima.
Alfredo Martini non è stato solo il grande saggio del ciclismo mondiale, ma per l’Italia sportiva è stato il grande saggio dei tecnici in generale. Mai nessuno come lui ha saputo impersonare il maestro in grado di gestire le individualità. Per di più in un contesto di squadra, dove per vincere sono necessari tutti ma dove a vincere, in sostanza, è uno solo.
Alfredo Martini ha gestito alcuni dei dualismi più grandi negli oltre 20 anni da CT del ciclismo azzurro. Ha mantenuto l’equilibrio tra il tramonto di Gimondi e l’esplosione di Moser, ed è stato in grado di bilanciare gli anni d’oro di quest’ultimo con la sortita di Saronni. Negli anni in cui il nostro ciclismo faticava a creare campioni ha pescato dal cilindro gli innati talenti di Argentin e Fondriest, per poi costruire quello che forse, pur in parte sprecato, è stato il ciclista italiano più completo e talentuoso degli ultimi trentacinque anni, Gianni Bugno.
Infine gli ultimi anni, tradito da grandi incompiuti della prova iridata come i conterranei Bartoli e Tafi, e una delle delusioni maggiori, il bronzo di Marco Pantani a Duitama, in Colombia, nel 1995: stretto nella morsa spagnola del duo Olano/Indurain, lo scalatore di Cesenatico non riesce in un’impresa che si sarebbe ampiamente meritato di portare a termine vittoriosamente, pagando una squadra dove troppe punte – Casagrande, Chiappucci reduce dall’argento di Agrigento 1994, Gotti – hanno finito per punzecchiarsi a vicenda lasciando solo l’uomo più in forma.
Ma più delle storie, come spesso accade, raccontano i numeri. In 23 edizioni dei Mondiali di ciclismo su strada da Commissario Tecnico azzurro, Alfredo Martini ha vinto sei maglie iridate (Francesco Moser, San Cristobal ’77; Giuseppe Saronni, Goodwood 1982; Moreno Argentin, Colorado Spring 1986; Maurizio Fondriest, Renaix 1988; Gianni Bugno, Stoccarda ’91 e Benidorm ’92), oltre a sette argenti e sette bronzi. Mai più di un’edizione senza medaglie: le uniche volte che la sua Italia ha bucato il podio sono stati all’esordio, nel 1975, e poi ’79, ’83, ’89, ’93 e ’97. Tra Barcellona ’84 e Renaix ’88 un filotto incredibile, cinque edizioni consecutive a medaglia: inizia Corti con l’argento di Barcellona, l’anno successivo a Giavera del Montello Argentin è di bronzo, nel 1986 lo stesso Argentin trionfa con Saronni bronzo, a Villach ’87 sempre e solo Argentin completa il suo personalissimo podio con l’argento, a Renaix l’appena ventitreenne Fondriest veste l’iride.
E non inganni lo stop di Chambery ’89, è solo la quiete prima della tempesta-Bugno, bronzo nel ’90 e poi due volte consecutive campione…
Abbandonata la guida della Nazionale ciclistica per sopraggiunti limiti di età – e viene da ridere: da allora a oggi sono passati 17 anni… – Alfredo il saggio ha continuato a consigliare i suoi successori, con alterne fortune. Antonio Fusi, suo successore, era inadatto al ruolo. Per far capire chi di ciclismo mastica il giusto, è come se il Real Madrid dopo un ciclo vincente di Ancelotti chiamasse Stramaccioni, ecco. Poi venne Ballerini. Il suo figlioccio prediletto. Un confronto continuo, l’ultima parola è di Franco ma il grande saggio viene consultato dal CT fino a un minuto prima di fare le scelte. Un sodalizio “unofficial” che diventa, nei numeri, un Martini-bis: quattro ori (Cipollini nel 2002 e la storica tripletta Bettini-Bettini-Ballan dal ’06 al ’08), due argenti e un bronzo, oltre a un oro e un argento olimpico.
Poi il dramma: il Ballero perde la vita sulle strade di casa durante un rally automobilistico, e per Alfredo i suoi 89 anni diventano il doppio. Sull’ammiraglia, a gran voce, sale lo stesso Bettini, ma il Grillo non ha la sagacia tecnica di chi lo ha preceduto. Sarà un buco nell’acqua: con grande dispiacere anche del grande vecchio, in quattro Mondiali e un Olimpiade l’Italia di Bettini non racimola nulla, e l’esperienza si chiude amaramente con il quarto posto dello Squalo a Firenze un anno fa.
Poi le voci sul successore, e il presidente federale Renato Di Rocco non può non consultare il Maestro, con il quale giunge alla conclusione più logica: Davide Cassani, il gregario più fedele dell’era Martini. Un cerchio che si chiude. Con la piccola grande crepa dell’assenza del grande vecchio al debutto del suo discepolo, in programma domenica 28 settembre nella cittadina spagnola di Ponferrada.
La Spagna. Alfredo Martini ha guidato la Nazionale in tre Mondiali spagnoli: a Barcellona ’84 Corti fu argento, a Benidorm ’92 Bugno si prese l’iride, l’ultimo della gestione Martini, a San Sebastian ’97 il Nostro terminò la sua pluriennale esperienza. Cassani riparte da lì. Una nuova era che comincia, e un cerchio che si chiude. Con una crepa. Senza di te, Alfredo, lo sport italiano non sarà mai più lo stesso.
Niccolò Bagnoli (@NiccoBagnoli)