Governo: percorso a ostacoli tra manovra, ius scholae e Sangiuliano

Salvini preme, Tajani riscopre la vocazione centrista, Meloni in difesa

Palazzo Chigi ha riaperto le porte alla politica il 30 agosto con un vertice di maggioranza e un Consiglio dei ministri che doveva soprattutto ufficializzare la candidatura  a commissario europeo del ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto, sostenuto con convinzione da tutti i partiti della coalizione. Ma la coesione finisce qui. Il vertice si è reso necessario anche per fare ordine dopo un’estate di fibrillazioni dentro la maggioranza, che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni vuole unita per affrontare una difficile manovra finanziaria, stretta tra i vincoli posti da Bruxelles e le aspettative dei leader della coalizione.

Matteo Salvini è quello che in genere alza il tiro delle richieste, in tempi di manovra riemergono con più vigore le promesse ai suoi elettori su flat tax o dintorni e pensioni a quota 41, entrambi obiettivi difficili da raggiungere in questi tempi di vacche magre.  Più inatteso è stato il protagonismo estivo dell’altro vicepremier, Antonio Tajani. Il ministro degli Esteri, forte del suo ruolo in Europa come sponda fra il PPE e il partito della destra conservatrice di Meloni, ha riscoperto la vocazione centrista e, approfittando del palco compiacente e autorevole del Meeting di Comunione e Liberazione, ha rispolverato una vecchia proposta di Silvio Berlusconi, lo ‘Ius Scholae’, scatenando i leghisti, che lo hanno stoppato senza appello. I Fratelli d’Italia, più moderatamente ma con la stessa fermezza, hanno fatto sapere che non se ne parla proprio, la cittadinanza ai figli degli immigrati resterà fissata al diciottesimo anno di età e non alla fine del primo ciclo scolastico come chiedeva Forza Italia. ‘Non è nel programma di governo’ è l’argomento con cui si mette a tacere quello che è considerato dagli alleati una sorta di velleitarismo estivo di Tajani, appoggiato tra l’altro dalle opposizioni che si sono dette tutte disponibili ad affrontare la battaglia in Parlamento sulla cittadinanza.

Anche se il vertice di maggioranza ha rimesso tutti in riga, e tutti dichiarano di marciare uniti, il fronte non sembra chiuso. Lo stesso Tajani ha annunciato iniziative parlamentari sullo Ius Scholae e ha incaricato i suoi capigruppo di Camera e Senato di presentare una proposta di legge organica entro fine settembre.

Ma la presidente del Consiglio ha richiamato tutti sulla priorità del governo che è la manovra finanziaria, un rebus complicato per fare quadrare i conti. La novità di quest’anno, che turba il sonno del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, è il Piano strutturale di bilancio’ (PSB), un nuovo documento che deve definire gli obiettivi di spesa per i prossimi sette anni, con  l’aggiustamento di 10 miliardi di euro richiesto dalle nuove regole Ue sui conti. Introdotto già nel Def ad aprile, il PSB  va recapitato a Bruxelles il 20 settembre e prima approvato dal Parlamento. 

Un percorso a ostacoli per il governo italiano non solo per l’impegno finanziario ma anche per il posizionamento ambiguo e critico di Giorgia Meloni che ha votato no alla nuova commissione europea presieduta da Ursula Von Der Leyen, nonostante rivendichi il ruolo centrale dell’Italia come paese fondatore. Quindi si naviga con grande prudenza mettendo paletti. La coperta stretta prevede una manovra di 25 miliardi di cui 10 riguardano la riproposizione del taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 35 mila euro e 4 gli sgravi sull’ Irpef, per i redditi più bassi. Resta poco e già si sa che la Lega dovrà rinunciare alle sue storiche richieste sulle pensioni a quota 41. Traballano anche l’Ape sociale e Opzione donna.

 E poi c’è il giallo dell’assegno unico che ha visto scendere in campo Meloni stessa. In un video – sullo sfondo il ministro Giorgetti muto – con la sua solita verve polemica, la presidente rassicurava che i soldi per le famiglie sono intoccabili, quindi invitava a non considerare serie le indiscrezioni giornalistiche su ipotesi di tagli. In realtà, nello stesso video Meloni fa riferimento a Bruxelles che ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia. Ed è questo il punto: ancora una volta si tratta di immigrati: il governo ha ridimensionato – restringendo i requisiti con il vincolo della residenza biennale – l’assegno unico che era previsto per tutti i lavoratori stranieri, i lavoratori in Italia da meno di sei mesi; i lavoratori trans frontalieri, che non risiedono in Italia; i lavoratori italiani o stranieri con i figli all’estero. Questa ampia platea avrebbe significato, per il governo, affossare la misura. Ma per Bruxelles così l’Italia ha violato “il diritto Ue in materia di coordinamento della sicurezza sociale e di libera circolazione”, da qui il procedimento di infrazione.  E Meloni non ci sta: “La Commissione ci dice che dovremmo darlo anche ai lavoratori immigrati che ci sono in Italia, di fatto vorrebbe dire uccidere l’Assegno unico”, dice nel filmato. Le opposizioni ovviamente sostengono la posizione europea e promettono battaglia.  Insomma, alla fine l’assegno unico non sarà cancellato, ma rischia di essere rimodulato anche perché negli ultimi anni ha pesato sempre di più sulle casse dello Stato.

Giorgia Meloni è tornata più volte sulla manovra, dai social ai programmi tv, definendola “ispirata al buon senso e alla serietà”, perché, sottolinea sempre, “la stagione dei soldi gettati dalla finestra e dei bonus è finita e non tornerà fin quando ci saremo noi al governo”. In compenso, aggiunge, “l’Italia sta crescendo più di altre Nazioni europee, nonostante il rallentamento dell’economia mondiale e la delicata situazione internazionale. I dati macroeconomici – dal Pil all’occupazione, dall’export agli investimenti – sono positivi e rappresentano un segnale di grande fiducia. Proprio in questi giorni arriva il dato Istat del tasso di disoccupazione più basso dal 2008: 6,5%”.

 Ma l’Istat stesso ha parzialmente gelato gli entusiasmi, con gli ultimi dati diffusi, che segnalano un rallentamento della crescita dal  +0,3% del primo trimestre al più 0,2% del secondo. Un calo lieve certo, la Germania sta messa peggio, ma Francia e Spagna meglio.  Le previsioni del governo fissavano per il 2024 la crescita all’1% e all’1,2% per il 2025. Non sembra facile arrivare a questo obiettivo. Ma il dato più allarmante segnalato dall’Istat sono gli indici di fiducia. Le famiglie, pur avendo aumentato il loro potere di acquisto (+3,3%) segnalano un crollo della propensione al consumo  (-2,6%) e anche le imprese non vedono prospettive favorevoli.

Questo il quadro generale, con il macigno del debito pubblico che rappresenta il vero cappio al collo dell’Italia: gli ultimi dati di Bankitalia ci danno vicini alla fatidica soglia dei tremila miliardi in termini assoluti, il 138% del Pil, con la previsione di arrivare al 140% nel 2027. E’ il vero giogo dell’Italia, penultima in Europa con, peggio di noi, solo la Grecia.

Si fa fatica in queste condizioni che ci condannano  a rimanere ‘osservati speciali’ (siamo già in procedura d’infrazione per disavanzo eccessivo) , ad apprezzare le piccole concessioni promesse da Meloni sulle pensioni minime o a dare credito alla sarabanda di annunci che si scateneranno nei prossimi mesi  per ammorbidire una manovra che ha confini rigidissimi.

E allora spazio alle sempreverdi polemiche politiche sul ministro di turno: stavolta tocca a quello della Cultura Sangiuliano, convocato a Palazzo Chigi dalla presidente del Consiglio per spiegare le vicende gossippare di una presunta e sedicente collaboratrice ufficiale, Maria Rosaria Boccia, cui – il ministro giura- mai è  stato dato un euro pubblico. Ma lei lo smentisce, carte alla mano e l’opposizione insorge chiedendo le dimissioni del ministro. Meloni ancora attende e sembra coprirlo ma sicuramente non sarà stata tenera in quelle quasi due ore di confronto. 

In foto Antonio Tajani

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