“Gli ultimi saranno gli ultimi”: la prima volta monologante di Gaia Nanni

Il teatro deve essere d’impegno civile, di certe cose bisogna parlare”, con queste parole Gaia Nanni saluta il suo pubblico (foltissimo) del Teatro di Cestello dopo uno spettacolo intenso e travolgente. L’attrice fiorentina non si è di certo risparmiata questa stagione teatrale interpretando molteplici ruoli sempre con grande energia ed entusiasmo, ma in “Gli ultimi saranno gli ultimi” di Massimiliano Bruno per la regia di Marco Contè si è decisamente superata. La ricordiamo nelle ultime due produzioni di Kimera Teatro come la professoressa isterica in “Sottobanco” e la madre disperata del bimbo mulatto de “Il Dubbio”. Ora affronta l’impresa non facile di essere contemporaneamente la disperata donna incinta e la fredda dirigente che l’ha appena licenziata, e ancora la saggia signora delle pulizie dell’azienda, la sciocca poliziotta e l’avvenente trans. Cinque personaggi nel solo volto di Gaia, classe 1981, un vero portento. Dialetti e posture diverse non sarebbero bastati a distinguere le parti interpretate, questa prova d’attrice mette a nudo anche l’interiorità delle donne coinvolte nella vicenda.

Tesse la tela della storia Teresa, domestica elevata a narratrice, che lavora nella grande azienda in cui Luciana farà irruzione con una pistola per rivendicare ciò che le hanno tolto alla vigilia del parto: il suo lavoro. Teresa racconta come sono andati i fatti, con una saggezza tipica delle “donne del popolo”, che guarda la realtà così com’è e la comprende senza bisogno di avere una grande istruzione per farlo, mentre qua e là si lascia andare a digressioni che fanno sorridere. L’amarezza fa capolino tra una situazione comica e l’altra: si intrecciano le esistenze di Raffaella, poliziotta ingenua di provincia, e la transessuale Manuela, sarcastica e disillusa. Risulta a tratti divertente anche la rigida e indisponente Carola, dirigente amministratore delegato della ditta, donna insensibile e altezzosa. Il pubblico non potrà fare a meno di osservare tristemente questa vetrina di donne sconfitte, intrappolate nelle loro solitudini, insoddisfatte, bisognose di affetto, destinate a un futuro incerto, a una precarietà (sentimentale o economica) di cui non tutte sono realmente consapevoli.

La regia di Contè è essenziale: Gaia Nanni si sposta da un angolo all’altro del palco, ognuno deputato a un personaggio, fin quando queste giovani non si riuniscono tutte in un solo spazio, quello dove si consuma la tragedia. Dopo una breve carrellata in cui vengono presentate le cinque protagoniste, queste si alternano in un ritmo continuo scandito dalle luci e le musiche a cura di Marco Ricci. Il passaggio da un ruolo all’altro è caratterizzato semplicemente dall’utilizzo di piccoli elementi scenici e dalla variazione linguistica. La Nanni in abito neutro ci mostra con grande vigore queste donne, le loro debolezze e i loro segreti. Una bella sfida. Soprattutto perché, lo ricordiamo solo per onor di cronaca, questo monologo è il “pezzo forte” di Paola Cortellesi e spesso accade che in teatro vengano fatti confronti. In questo caso no. Perché uno spettacolo che affronta temi del genere merita di essere replicato più e più volte, non è mai ripetitivo: bisognerebbe riflettere continuamente sulla realtà che ci circonda. C’era un detto che affermava che “gli ultimi saranno i primi”, ma nella società odierna, purtroppo, accade che spesso gli ultimi restino tali, o magari è come dice Teresa: «ci hanno detto che gli ultimi saranno i primi, ma non ci hanno detto quando».

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