Firenze – Avrebbe dovuto essere straordinario, il 2020, che si è appena chiuso. Almeno, secondo le previsioni di certi oroscopi. E un anno fuori dall’ordinario, non c’è che dire, lo è stato. Ma in modo imprevedibile. E pesantemente negativo. Viene ancora alla mente quel giorno in cui i telegiornali comunicarono che un caso di Coronavirus era stato rilevato nelle vicinanze di Lodi. Dunque, qui, da noi. Un problema che sembrava relegato nella dimensione, un po’ esotica, della lontana Cina, veniva a toccarci da vicino.
C’è una novità che si è rivelata nelle vicende di questo tormentato 2020. Le epidemie ci sono sempre state. Come ricorda Sergio Givone (autore di un bel libro sulla Metafisica della peste) nel volume della rivista “Testimonianze” dedicato all’Antropologia di un mondo in cambiamento, il «virus è natura». Non sempre la natura è benigna, come Leopardi e Schopenhauer ci avevano pur insegnato. Ma il dato di novità sta nel fatto che questa volta il virus ha viaggiato ai ritmi e con i tempi accelerati della globalizzazione. Si è spostato su treni superveloci e su aerei, E’ stato avvantaggiato, nella sua rapida diffusione, dalla mescolanza e dalla vicinanza di persone di provenienza diversa e della densità delle grandi aree metropolitane.
Abbiamo dovuto affrontare una dura scuola: quella, quotidiana, in cui ognuno di noi ha dovuto imparare a stare in guardia e ad evitare comportamenti, fino a ieri naturali e ora rivelatisi, improvvisamente, pericolosi per se stessi e per gli altri. C’è chi, in questa lotta si è impegnato in prima linea, in ambito sanitario. I medici, gli infermieri, gli scienziati. Prima esaltati come benefattori ed eroi. E adesso guardati talora e percepiti quasi con fastidio perché ci ricordano che il pericolo non è passato e che non bisogna abbassare la guardia.
E’ stato un anno in cui siamo vissuti in una condizione di perenne emergenza. Grande è l’esigenza di voltare pagina, con l’anno nuovo che è iniziato. Ci sono stati (molto) dolore, timore, preoccupazione. E all’emergenza sanitaria si sono aggiunti, in una combinazione perversa, il disagio e la sofferenza del tessuto produttivo ed economico di una società già messa alla prova, in precedenza, da anni di crisi, ristagno, difficoltà, Un anno nero, dunque. Che come tale rimarrà nei ricordi e verrà segnato nei libri della storia.
Ma, così inquadrata, la situazione dei difficili mesi che ci stanno alle spalle, non è forse adeguatamente rappresentata. Perché dall’annus horribilis 2020 (come lo possiamo legittimamente definire) abbiamo anche imparato qualcosa. Anche dalle difficoltà, dalle traversie e dal disagio si può apprendere (anzi, proprio nell’affrontare gli ostacoli si è portati, talvolta, a sperimentare il nuovo). E’ Mauro Ceruti (nel già citato volume di “Testimonianze”) a far notare che milioni di esseri umani sono stati accomunati dallo stesso destino e che si sono trovati insieme a valutare come, nelle condizioni date e nelle contraddizioni del nostro «mondo globale», il tema all’ordine del giorno fosse ormai diventato quello di passare dal «rischio della certezza all’opportunità dell’incertezza».
E di mettersi a sperimentare nuove vie. Di fronte ad una crisi e in un contesto che ha messo a rischio l’incolumità personale e il consueto modo di vivere, in tanti hanno, comunque, cercato di non arrendersi. Nel tempo delle restrizioni, sono cresciute in maniera esponenziale le relazioni virtuali. Con le videoconferenze, il lavoro in smart working, la didattica a distanza. Che, certo, non equivale ad una scuola condotta faccia a faccia e corpo a corpo come è spesso la vita quotidiana in classe, ma che ha impedito, in tantissime situazioni (purtroppo non ovunque), che si rompesse il filo del collegamento fra insegnanti e studenti.
Tra l’altro, a quel che sembra, l’insegnamento on line, che presenta più problemi con gli studenti delle superiori, sembra funzionare molto bene all’università, contribuendo ad abbattere le tradizionali disparità di condizioni fra studenti frequentanti e studenti lavoratori, fra coloro che possono seguire più regolarmente le lezioni in presenza e i fuori sede (che hanno, in questo senso, non poche difficoltà). Il fatto che i video delle lezioni on line rimangano, spesso, registrati, rappresenta un’ulteriore facilitazione in questo senso.
Naturalmente, soprattutto in una situazione di emergenza, non tutto è oro quel che riluce. Lo smart working alleggerisce la pressione sui mezzi pubblici, diminuisce il traffico ed elimina le scomodità dei quotidiani spostamenti, ma crea naturalmente anche una tendenza all’atomizzazione ed all’isolamento dei lavoratori. Il che potrebbe avere risvolti problematici anche dal punto di vista dell’organizzazione sindacale e della difesa dei propri diritti da parte dei dipendenti.
C’è tutto un mondo e un modo di essere che sono, comunque, da ripensare. Una questione di fondo che andrà tenuta presente anche quando la pandemia non sarà (speriamo, quanto prima) che un triste ricordo. Forse, è il modello stesso della città e della vita urbana che è da rivedere. E’ quanto (su «Testimonianze») sostengono Pietro Bucciarelli e Giacomo Trentanovi, in linea con un contributo dell’Ordine degli Architetti di Firenze. Per le amministrazioni pubbliche si presenterà, tra l’altro, l’opportunità di usare il flusso di denaro che dovrebbe arrivare dall’Europa per progettare nuove forme di organizzazione del territorio, all’insegna dell’idea di una «città policentrica», capace di superare le conflittualità, di misurarsi con i linguaggi del contemporaneo e di riqualificare le periferie.
Forse, è all’ordine del giorno, una nuova «civilizzazione», basata su un diverso rapporto fra città e campagna. Naturalmente, è complicato progettare e operare nel pieno di una crisi, che già ha prodotto cambiamenti e conseguenze assai pesanti (con la sostanziale sparizione del turismo così come da anni lo conoscevamo, con la limitazione delle attività di bar, ristoranti, caffetterie, ecc..). Ma forse è proprio questa la scommessa che politica e società dovranno attrezzarsi ad affrontare. E in questa direzione va e con questa impostazione si presenta tutta l’operazione Next Generation dell’Unione Europea.
E’ il mondo intero che si trova a vivere in uno scenario nuovo. La globalizzazione stessa, che non verrà messa in discussione come tendenza di fondo della nostra epoca, forse cambia verso e cambia segno. Quali le dinamiche e quali gli equilibri che si andranno delineando a livello internazionale? Oggi è complicato dirlo e sarebbe azzardato tentare previsioni. Ma una cosa è certa. Che la difficile situazione attuale (che, per contenere il contagio ha portato a chiudere le frontiere, a limitare drasticamente gli spostamenti e i viaggi e a rinserrarsi nel proprio stato-nazione) fa ancora di più risaltare l’interdipendenza fra i diversi comparti della comunità umana. Che è una comunità di destini.
Solo unendo gli sforzi, collaborando, cooperando ad individuare soluzioni, ne usciremo. Non è una considerazione retorica. E’ la constatazione della verità delle cose. Quella che, per tempo, avevano intuito don Lorenzo Milani, che sul poggio isolato di Barbiana faceva scuola con il planisfero ed Ernesto Balducci, che ad essa alludeva con l’idea e l’immagine dell’uomo planetario. Ed è anche quello che, in fondo, suggerisce papa Francesco con un’enciclica (che qui richiamiamo in spirito di laicità) che ha per titolo Fratelli tutti.
E’ con questo spirito che dovremmo e potremmo cercare una via d’uscita dal tunnel che, da un anno, ci ha rinchiusi. La campagna vaccinale (con buona pace di scettici, complottisti e no vax) rappresenta uno spiraglio in questa direzione. Ma, come ha detto proprio Francesco, bisogna allora che il vaccino sia per tutti. E non solo per un principio di carattere umanitario, ma perché bisogna prendere atto compiutamente che è necessario remare insieme se non vogliamo che la barca comune su cui tutti siamo comunemente collocati faccia naufragio e si rovesci.
E si dovranno curare insieme alle ferite prodotte dalla grave situazione sanitaria, anche le lacerazioni, le divisioni e i conflitti, antichi e di nuovo segno, che sono visibili nel tessuto sociale. L’anno che è ormai alle nostre spalle, insieme alle molte sofferenze che ha prodotto, e forse proprio a partire da queste, ci ha forse, in qualche modo, impartito anche degli insegnamenti. Dovremo tenerli a mente perché l’anno che è appena iniziato possa predisporre (sia pure in tempi e in modi che ancora non sappiamo) all’inaugurazione di un tempo nuovo.
Il volume di «Testimonianze» sull’ Antropologia di un mondo in cambiamento verrà presentato in diretta on line (sulla pagina Facebook e sul Canale You Tube della rivista «Testimonianze» e sul sito www.testimonianzeonline.com) il prossimo 11 Gennaio, alle ore 18.00.
Introducono e coordinano: Piero Meucci e Severino Saccardi.
Partecipano: dom Bernardo F. Gianni, Mauro Ceruti, Sergio Givone, Cristina Giachi, Sara Mugnaini, Giorgio Federici e Stefano Zani.