A spiegare il rapporto che c’è tra gli italiani e lo Stato ci pensa… un rapporto. Un rapporto duraturo e rodato, non occasionale, visto che la ricerca curata da LaPolis-Università di Urbino e Demos, dal titolo “Gli italiani e lo Stato”, è giunta alla venticinquesima edizione. Insomma, siamo alle nozze d’argento, segno che il ménage funziona. Ci sono alti e bassi, certo, come in tutti i rapporti, sia fisici sia mentali, ed è uno sforzo non da poco tenere insieme i riferimenti della tradizione e le insidie (o lusinghe) del postmoderno avanzato. Dall’Antropocene all’Apotropaicocene, dove tutto è appeso a un feeling (quando c’è), con poche certezze e poche ebbrezze, dove si vive alla giornata e attaccati ai social, col futuro inteso come saldo tra fortune e sfighe e un presente fatto di scongiuri e ritualità apotropaiche.
Demoscopìa, quasi un’autopsia nazionale. Mi sovviene il celebre “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani” del 26enne Giacomino Leopardi, che l’anno prossimo compie 200 anni tondi tondi (il Discorso, non Leopardi). Rimasto inedito fino al 1906, è un breve trattato dove il poeta-filosofo analizza le peculiarità che contraddistinguono la società italiana, e le compara con il carattere, la mentalità e la moralità delle altre nazioni d’Europa. Alla fine dell’opera Leopardi giunge all’amara conclusione che l’Italia, dilaniata da un esasperato individualismo, è troppo poco civile per godere dei benefici del progresso (come in Francia, Germania e Inghilterra), ma troppo civile per godere dei benefici dello «stato di natura», come accadeva nelle nazioni meno sviluppate, quali Portogallo, Spagna e Russia. Bingo! Diagnosi azzeccata, potremmo dire: ma non lo diciamo, per non incorrere nel solito vizio italiota (a ragion veduta?) di dare addosso al nostro Paese. Del Discorso ne abbiamo una copia, o meglio, il suo testo integrale è contenuto in un libro del giurista Franco Cordero, che poi glossa e alza il tiro aggiungendo una lunga ricostruzione, molto critica, degli “ultimi due secoli della malata” (dove la malata è appunto l’Italia: Bollati Boringhieri 2011).
Dopo circa tre anni di pandemia e di varie piaghe (tra cui la guerra in Ucraina, l’aumento dei costi dell’energia, la crescita della povertà assoluta, il reddito di cittadinanza e gli stipendi – caso unico in Europa – che sono gli stessi da 30 anni, la Brexit, le morti della Regina Elisabetta e di papa Ratzinger, nonché di Maradona e di Pelé, il combo inflazione e recessione, o stagflazione, l’Italia pallonara esclusa dal Mondiale del Qatar, le trovate futuristiche del bilionario Musk etc), questo “sondaggione” realizzato su e giù per la Penisola ci permette di valutare con cura cosa sia cambiato e stia cambiando. Nella nostra democrazia e nelle attività che la accompagnano, con un focus sulla partecipazione sociale, l’accesso ai servizi pubblici, la relazione dei cittadini con i partiti e con le reti associative e via curiosando (insomma, ‘na botta de vita…).
Primo dato: c’è voglia di ritornare alla normalità, e quindi di essere un “paese normale” (titolo di un libro di D’Alema del 1995). Tuttavia, e non potrebbe essere altrimenti, si confermano alcune “abitudini” antiche del sentimento nazionale. Il distacco nei confronti dello Stato, anzitutto, verso il quale dimostra fiducia il 36% degli italiani. Una “minoranza”. Molto “maggiore”, tuttavia, rispetto a dieci anni fa, nel 2012, quando questo atteggiamento era condiviso dal 22%. Lo stesso discorso vale per le istituzioni territoriali, Comune e Regione. E, a maggior ragione, per il Parlamento e gli stessi partiti. Oggi sono guardati con “distacco”. Ma dieci anni fa suscitavano “sospetto”. Erano, infatti, riconosciuti da meno del 10% dei cittadini. La diffidenza verso i partiti, comunque, riflette “un passato che non è passato”, visto che si celebra il 30° anniversario di Tangentopoli e, secondo l’80% dei cittadini (intervistati), da allora «non è cambiato niente». Anzi, si è allargato oltre confine, alla Ue, se pensiamo all’inchiesta Qatargate, appena partita.
Tuttavia, è migliorato il grado di soddisfazione rispetto ai servizi. Alla sanità, anzitutto. E alla scuola. Privata ma anche pubblica. In altri termini, il mondo intorno a noi appare meno distante e distinto. È divenuto un ambiente più familiare. Amico. Per reazione alle tensioni e all’inquietudine provocate dai cambiamenti “esterni”. Sul piano sanitario e geo-politico.
Si sta consolidando, dunque, quella che viene definita una “democrazia sospesa”, perché la minaccia del virus ha reso difficile progettare e perfino immaginare il futuro. Nonostante il ridimensionamento della pandemia e della minaccia virale. Infatti, nel frattempo, come abbiamo detto, sono subentrate altre minacce, altre paure. Per prima, la guerra in Ucraina. Cioè: non lontano dai nostri confini. Tuttavia, l’inquietudine suscitata da questi eventi ha contribuito a rendere più stabili i nostri rapporti con le istituzioni. In particolare, con lo Stato. Perché i cittadini hanno bisogno di riferimenti condivisi. Per sentirsi “uniti”, non “divisi”.
Tra l’altro, il minore impatto delle paure ha favorito la ripresa della partecipazione e dell’impegno associativo presenti sul territorio. Ci ha permesso di allentare il senso di solitudine e di vulnerabilità, alimentato dall’insicurezza.
Oggi il nostro tempo appare meno “sospeso”, rispetto a un anno fa. Perché riusciamo a guardare avanti. Insieme agli altri. Anche per questo è migliorato il giudizio degli italiani nei confronti dello “stato della (nostra) democrazia”. Apprezzato da oltre metà dei cittadini. La “democrazia”, peraltro, continua ad essere considerata la migliore forma di governo da oltre 7 italiani su 10.
Tuttavia, va sottolineato come si guardi, sempre più, a un modello di “democrazia impolitica”. Affidata ai tecnici. E “personalizzata”. Anzi: “presidenziale”. Una larga maggioranza dei cittadini (62%), infatti, afferma che il Paese dovrebbe essere guidato da un “leader forte”. E oltre due terzi dei cittadini esprimono apertamente il proprio favore verso l’elezione diretta del Presidente.
Va chiarito che la “personalizzazione” della politica ha una storia lunga, anche nel nostro Paese. Avviata negli anni Novanta, quando Silvio Berlusconi ha fondato Forza Italia, una sorta di “partito personale”. Da allora la figura del leader è divenuta fondamentale. Tanto più dopo che i partiti hanno perduto le radici ideologiche e territoriali. E sono divenuti “provvisori”, come i loro leader. Che cercano consenso e riconoscimento attraverso i media. Canali che non possono garantire stabilità.
Lo stesso percorso ha coinvolto il governo. Infatti, negli ultimi dieci anni si sono succeduti una sfilza di presidenti del Consiglio non eletti.
Alla guida di una maggioranza che comprendeva “quasi” tutti. Un “governo personalizzato” che, spesso, ha agito “per decreto”. Attraverso i Dpcm. Quindi, “saltando” il Parlamento. D’altronde, all’opposizione c’era un solo partito. I Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Non per caso, forse, il partito e la (o il) leader che hanno vinto le elezioni recenti. E oggi governano. Prendendosi molti rischi. Perché principale, se non unico, riferimento per il consenso e il dissenso dei cittadini.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è, a sua volta, la figura istituzionale che ottiene maggior grado di consenso. Ma non di potere. Perché siamo una democrazia rappresentativa. È il paradosso di questo “presidenzialismo implicito”. Nel quale i cittadini vorrebbero eleggere direttamente il presidente della Repubblica, che, invece, è eletto dai loro rappresentanti, in Parlamento.
Le prime tre posizioni nel gradimento degli italiani verso le istituzioni sono occupate da forze dell’ordine (70%), Papa e presidente della Repubblica (entrambi 68%). È la fiducia verso le istituzioni nel suo complesso, però, ad apparire ferma: escludendo i segni negativi registrati dai sindacati (-5 punti percentuali), dalla scuola e dalla Chiesa (entrambe -3), e quello positivo del Comune (+3), per tutte le altre istituzioni analizzate si conferma sostanzialmente il gradimento rilevato lo scorso anno. Un discorso a parte lo merita il capo dello Stato: tra Covid e rielezione, i dieci punti di maggiore fiducia che sono tributati a Mattarella dal 2020 a oggi appaiono un nuovo riconoscimento della centralità del Quirinale, centralità che il 69% , come dicevamo, vorrebbe ulteriormente accentuare attraverso l’elezione diretta del suo successore.
Ad essersi fatto più severo, invece, in questi dodici mesi, è il giudizio sui servizi: è in calo sia la soddisfazione verso quelli privati (-4 punti percentuali per la sanità e -2 per la scuola) che pubblici (entrambe -4), mentre fanno eccezione le ferrovie (+3 punti percentuali) e i trasporti urbani (+6).
Ma nel trade-off tra tasse e servizi, come si orientano gli italiani? Il 45% vorrebbe diminuire le tasse, ma senza ridurre i servizi; il 25% pensa che debbano essere potenziati i servizi, ma senza aumentare le tasse. Nel complesso, il 70% vuole qualcosa, ma senza essere disposto ad accettarne le possibili conseguenze: un cortocircuito di questa entità appare di difficile soluzione.
Gli ultimi trent’anni sono stati scanditi, in Italia, da passaggi memorabili. Dallo scandalo di Tangentopoli, nel 1992, all’introduzione dell’euro, nel 2002, il pendolo della storia è oscillato in direzioni diverse. Dieci anni fa, nel 2012, il Paese faceva i conti con gli effetti di una nuova tempesta economico-finanziaria. Più di recente, lo ribadiamo, sono arrivate la pandemia e, nel 2022, il conflitto ucraino a disorientare i cittadini, modificandone il (complicato) rapporto con le istituzioni.
Nonostante tutto, la soddisfazione sul funzionamento della democrazia è cresciuta, negli ultimi anni. Per la prima volta diventa maggioranza (53%) la quota di intervistati che si esprime positivamente. Un po’ perché, nei momenti di crisi, ci si stringe attorno alle istituzioni. Un po’ perché il ritorno del centro-destra al governo ha fatto aumentare la fiducia in quella parte del Paese che, ancora un anno fa, si diceva più insoddisfatta.
Analizzando i dati del rapporto, sembra comunque mancare una definizione comune di cosa intendiamo, quando pensiamo alla democrazia. C’è chi (47%), ad esempio, pensa a un governo di tecnici competenti; la stessa percentuale, tuttavia, di chi preferisce essere rappresentato dagli “eletti”. È significativo notare come il favore per il governo tecnico cresca soprattutto fra gli under 30. Sono gli stessi giovani a dichiararsi, in percentuale più ampia, a favore di un “leader forte”. Opzione comunque maggioritaria in tutta la popolazione (62%).
Si intiepidiscono, per contro, i sentimenti di orgoglio nazionale. Tanti gli intervistati che passano dal dirsi “molto” (44%) orgogliosi di essere italiani al più incerto “abbastanza” (39%). Il rapporto era di 65 a 29 all’ingresso nel nuovo millennio. Segno che, anche ai tempi della destra di governo, l’identità italiana non risulta ancora così solida. È opportuno sottolineare, ancora una volta, la relazione con l’età, visto che il sentimento nazionale si fa via via più freddo passando dai più anziani ai più giovani. Su una cosa, però, le persone interpellate sembrano essere d’accordo: siamo un Paese dalla corruzione politica endemica, tenace. I cittadini che la percepiscono come più (o ugualmente) diffusa rispetto a Tangentopoli non sono mai scesi sotto l’80% in tutti gli anni di rilevazione. E, all’epoca del sondaggio, non si parlava ancora di “italian job” all’Europarlamento.
Il Rapporto su Gli Italiani e lo Stato, giunto alla XXV edizione, è realizzato dal LaPolis – Laboratorio di Studi Politici e Sociali dell’Università di Urbino. La rilevazione è stata condotta da Demetra con metodo MIXED MODE (Cati – Cami – Cawi). Periodo 22-30 novembre 2022. Il campione (N=1.305, rifiuti/sostituzioni/inviti: 10.333) è rappresentativo della popolazione italiana con 18 anni e oltre, per genere, età, titolo di studio e area (margine di errore 2.7%).
I dati sono arrotondati all’unità e questo può portare ad avere un totale diverso da 100. Documentazione completa su www.sondaggipoliticoelettorali.it.
Guarda qui il documento completo in Pdf: http://www.demos.it/2022/pdf/6290itasta_xxv_2022_20221224.pdf
Foto. Sergio Mattarella, la figura istituzionale che ottiene maggior grado di consenso