Una vittoria annunciata che sembra a sua volta annunciare un Oscar, anzi tre, almeno tre, pregano a migliaia sulle loro pagine FB gli iraniani fuori e dentro l'Iran. “Grazie, Asghar” – scrivono tutti – “grazie di aver ridato voce all'Iran, grazie di aver fatto parlare dell'Iran per un giorno come di un paese dove si fanno bei film, più belli di quelli del mostro sacro Almodavar, di quello di Angelina Jolie. Grazie perché per un giorno la parola 'Iran' non è stata associata alla parola 'guerra'. Grazie perché ovunque siamo stiamo dicendo 'noi', 'noi iraniani'. E in questo momento vorremmo essere tutti in Iran, per strada a Tehran, a Tabriz, a Isfahan, a Shiraz per gridare la nostra gioia. Kash man ham Iran budam! Come vorrei essere in Iran anch'io!” Emozionato e felice, consapevole di essere il primo iraniano ad aver raggiunto questo risultato e di stringere tra le mani l'orgoglio di un'intera nazione, Farhadi ha pronunciato solo poche parole, subito divenute uno slogan e una speranza: “Non so chi ringraziare … ma voglio dire qualcosa sul mio popolo. Penso che sia un popolo che ama veramente la pace”.
Nel giorno del suo trionfo, Asghar Farhadi ha voluto lanciare un messaggio a chi le sorti del popolo iraniano le decide, in Iran, certo, ma soprattutto a Washington e a Tel Aviv. Gli iraniani lo sanno e aspettano con trepidazione l'annuncio degli Oscar. A volte, un film può cambiare il destino.
Felicetta Ferraro