Gli artisti delle Start-up: parla Steve Blank guru della Silicon Valley

Firenze – Qualcuno ha definito Steve Blank, 65 anni, professore alla Stanford University, il “godfather of the Silicon Valley”, padrino ovviamente nel senso buono di patrono e protettore, e lui si schermisce: “Sono stato solo un imprenditore che ha realizzato start-up perché volevo imparare cose nuove, e penso che questa sia una storia interessante per altri giovani imprenditori”,  dice a Stamp e intanto dispensa i suoi consigli: “Il successo dipende tutto dalla tua passione, segui ciò che ti interessa e qualunque cosa tu faccia, falla bene, così finirai per diventare il godfather di qualcosa”.

Blank è riconosciuto come uno dei massimi studiosi delle aziende innovative allo stato nascente, le start-up. E’ stato lui a sviluppare la definizione di Lean start-up, o start-up leggera (o snella o agile), come “un’organizzazione temporanea, che ha lo scopo di cercare un business model scalabile e ripetibile” e a mettere a fuoco alcuni aspetti fondamentali che la caratterizzano come “minimum viable product“, prodotto minimo commercializzabile (MVP). Le sue teorie oggi sono insegnate in centinaia di università.

Ciò che tuttavia fa di lui non solo un grande teorico ma anche uno dei protagonisti dell’eccezionale fioritura di aziende in quell’area a sud di San Francisco, la Silicon Valley, epicentro della rivoluzione tecnologica mondiale, è la sua esperienza sul campo: come fondatore o come dipendente ha lavorato in otto start-up basate su prodotti ad alta tecnologia.  Alcune idee non hanno funzionato, ma attenzione – dice in questa intervista – “nella Silicon Valley, se fallisci, vai a prendere un caffè con i tuoi amici, e la prima domanda che ti fanno non è se vuoi cambiare nome o città ma: qual è la prossima start-up che farai?”.

Innamorato della Toscana è pronto a mettere a sua disposizione la sua esperienza e intanto offre alcuni consigli dall’altra parte dell’Atlantico: “Il vostro obiettivo è far sì che gente incredibilmente intelligente venga in Toscana a sostenere la sua economia”.

Professor Blank può spiegarci in poche parole che cos’è una lean start-up?

Una Lean Start-up è un metodo per avviare nuove imprese, sia che ciò avvenga all’interno di un’azienda grande o che sia una nuova impresa, per ridurre il rischio andando alla ricerca concreta di tutte le componenti di un modello di business. In passato eravamo abituati a pensare che, se abbiamo buttato giù la nostra idea e una previsione delle vendite, tutto ciò che occorreva fosse realizzare il processo, cioè assumere gente, costruire il prodotto, ingaggiare venditori. La gente poi l’avrebbe comprato. La maggior parte di queste nuove imprese falliva e pensavamo che ciò avvenisse per colpa di gente che non era in gamba. In parte ciò potrebbe essere vero, ma in realtà fallivamo perché stavamo partendo dall’assunto che quelle cose che scrivevamo erano vere, mentre invece erano in realtà ipotesi, il che è una bella parola per dire supposizioni. Così il problema nel ventesimo secolo era che noi stavamo per lo più facendo supposizioni su tutte le componenti di ciò che viene chiamato il “business model”: chi erano i clienti, che cosa volevano, quali le caratteristiche, come si dovrebbe stabilire il prezzo, chi erano i concorrenti, e quale il canale di distribuzione. La lean start-up è stato un modo per ridurre il rischio mettendo preliminarmente alla prova quelle ipotesi. Ci sono tre fasi: in primo luogo, usciamo in strada, parliamo con la gente e ci rivolgiamoci ai canali che regolano e distribuiscono attraverso una procedura chiamata “customer development”.

Questa prima fase è la scoperta del cliente e questa è stata il mio contributo alla Lean. La seconda parte è: bene, mentre siamo fuori, perché non testiamo qualcosa chiamata “minimum viable product”, prodotto minimo commercializzabile. Pensare a prototipi replicabili e interattivi. Eric Reis uscì con l’idea che una progettazione agile è un grande aiuto per l’identificazione del cliente.

La terza parte della Lean riguarda la identificazione precisa delle ipotesi che stiamo mettendo alla prova. Alexander Osterwalder uscì con qualcosa chiamato “la tela (canvas) del modello di business” e questo è un pezzo di carta che contiene nove ipotesi chiave su ciò che costituisce un business realizzabile. E così ora utilizziamo questo schema come una sorta di ruolino di marcia del perché stiamo realizzando prodotti realizzabili, replicabili e sviluppabili. In breve la Lean consiste in tre componenti: sviluppo del cliente, flessibili progettazione e delineazione del modello di business, usando la carta del modello di business.

Quali sono le caratteristiche principali di un imprenditore di successo?

Alla fine è sempre facile immaginarselo: se ha fatto un sacco di soldi. O sono molto fortunati o molto intelligenti. Ma ritengo che stia domandando quali sono le caratteristiche principali all’inizio. Negli ultimi 25 anni c’è stata gente che  ne ha avute di importanti. Una è: sono flessibili e attivi? Sono dotati di buone capacità di ripresa dopo un fallimento? Sono tenaci, il che significa che inseguono qualcosa per un tempo lungo e particolarmente quando altra gente dice loro che l’idea è stupida e che non funzionerà mai?

Uno dei tratti che non viene spesso descritto e che io ho individuato in me e in altri: sono curiosi riguardo a tante cose e non solo al loro settore? Vale a dire, cercano modelli anche in altri settori? E quella che Steve Jobs coniò e che trovo vera, è: hanno un campo di distorsione della realtà (RDF), cioé la capacità di coinvolgere altra gente quando sono solo loro a sedere in un edificio vuoto. Possono farsi dare denaro dagli investitori quando si ha in mano solo delle slide? Possono farsi dare degli ordinativi dai clienti quando c’è solo un pezzo di carta e una stampata di dati?

Così elasticità, tenacia, capacità di ripresa, curiosità, campo di distorsione della realtà, e alla fine una fede profonda in ciò che si sta facendo. Con il danaro che oggi è a disposizione, ci sarà sempre qualcuno che farà start-up come una sorta di lavoro. Da fondatore ho sempre sentito che la strada migliore per avvicinarsi a ciò è considerarla una vocazione, non un lavoro. I fondatori sono più simili agli artisti di ogni altra professione. Vedono cose che altri non vedono. Ascoltano cose che altri non ascoltano. E la loro passione – e ritengo che questa sia un’altra componente  – la loro passione è ciò che li guida attraverso tutte le fatiche di costruire un’impresa nel suo stato nascente. E senza quella passione e visione è un lavoro.

In quali settori industriali le start-up saranno dirompenti?

La vera domanda dovrebbe essere quale settore non sarà colpito e cambiato dalle start-up. Le start-up sono realmente una manifestazione di cambiamento, ma non stanno cambiando l’industria. Sono i cambiamenti disponibili che permettono agli imprenditori intelligenti di dire: la tecnologia è cambiata o il mercato è cambiato o qualcos’altro è cambiato, bene allora facciamo una società e approfittiamo di questi cambiamenti. Uber e Airbnb non sono venute fuori dal nulla. Sono il risultato del fatto che ognuno porta con sé apparecchi intelligenti (mostra lo smart phone, ndr.) che sono in rete fra di loro e quindi si è potuto creare un nuovo modello di business. Amazon è nata non perché hanno inventato tanta nuova tecnologia, ma perché ha compreso il potere di internet è così ha sconvolto i canali di distribuzione.

Guardiamo a ciò che è accaduto nell’industria del petrolio solo negli ultimi dieci anni negli Stati uniti. Un’industria elementare come può essere sconvolta? Fai un buco nel terreno e tiri fuori il petrolio. Il cambiamento c’è stato in qualcosa chiamata “fracking” la nuova tecnica estrattiva. Ora gli Usa pompano più petrolio dell’Arabia Saudita e sono il più grande produttore del mondo. Il cambiamento tecnologico e normativo degli Usa è stato dirompente per l’intera industria del petrolio.

Non penso che ci sia un solo settore o mercato nel 21mo secolo che non stia per essere travolto dai cambiamenti nella tecnologia e nel sistema di regole o in altre parti della tecnologia che rendono possibili altre cose. Fin tanto che le start-up sono in giro e si trovano in un paese che incentiva l’innovazione e non la soffoca. L’innovazione prospera in posti che la rendono possibile e muore nei posti dove viene uccisa. Ci sono paesi dove il tasso di corruzione è abbastanza elevato. Gli innovatori qui sono soffocati nella culla. La risposta alla sua domanda è: il 21mo secolo sarà un periodo stupefacente. Ti farà girare la testa e il mondo non assomiglierà per nulla a quello che era quando eravamo giovani.

Qual è la ricetta per creare una start-up di successo? La tecnologia avanzata, per esempio?

Sì la gente pensa che le start-up siano guidate dalla tecnologia e qualche volta questo è vero. Le invenzioni sono versioni migliori delle vecchie o nuove soluzioni, come microprocessori più veloci etc. Talvolta è solo un’osservazione che il mondo è cambiato attorno a te e che sono avvenuti cambiamenti culturali. L’altra cosa a cui pensare sono le categorie dell’innovazione e queste le ha definite McKinsey circa 30 anni fa. Le hanno categorizzate in tre orizzonti dell’innovazione. L’orizzonte uno essendo l’innovazione incrementale, il due è prendere tecnologia o risorse esistenti e trasferirle altrove, il terzo è l’innovazione dirompente. Io li chiamavo “mercati esistenti ri-segmentati in nuovi”, la novità è che prima la dirompenza esigeva nuove tecnologie. Uber e Airbnb non hanno inventato alcuna nuova tecnologia. E sono state incredibilmente dirompenti perché sono state in grado di capire che c’era qualcosa che cambiava  completamente i mercati esistenti. Hanno dunque inventato un nuovo modello di business. Così l’innovazione di un modello di business può essere altrettanto potente di dieci anni di ricerca di un nuovo farmaco.

Come è cambiato il finanziamento delle start-up negli ultimi anni? Che cosa dovrebbero avere in mente i fondatori quando tentano di ottenerlo?

Lei sta ponendo questa domanda a qualcuno che vive nella più pazza parte del mondo in termini di finanziamenti. Non è la stessa cosa altrove. Nella Silicon Valley potrebbe raccogliere  centinaia di milioni di dollari. La prima cosa è riconoscere che l’innovazione è dappertutto e per la prima volta nella storia del mondo Internet ha messo a disposizione ovunque strumenti e idee di innovazione. Tu puoi stare dovunque a sedere in qualunque paese o città e sapere di più di quello che sapevo io quando ho cominciato la mia carriera di imprenditore. E’ un cambiamento radicale. Quello che non è cambiato è il capitale, cioè il denaro. E’ sempre concentrato in forse non più di dieci aree del mondo. Non voglio dire un giro di finanziamento iniziale per partire. Voglio dire che se vuoi decine o centinaia di milioni di dollari per far crescere la tua azienda, questa, o almeno una parte di essa, deve avere il quartier generale in una di queste dieci aree. Ma forse non è molto diverso da altri settori di business. Ci sono cluster, cioè aree di innovazione concentrata, per aree di tecnologia. Se vuoi produrre automobili, ci sono probabilmente solo dieci luoghi dove dovresti andare nel mondo.  Se tu volessi stare nella pelletteria ci sono solo alcuni posti in Italia dove dovresti andare. La risposta è: tu puoi far partire una start-up probabilmente in qualunque paese o regione e probabilmente nella maggior parte dei paesi ci sono posti dove potresti tirare su capitali per la prima fase: per esempio da Business angel, dai tuoi cugini, dagli amici o anche da professionisti che ti darebbero piccoli assegni. Ma per la grande scala ci sono ancora cluster di innovazione dove è necessario che tu vada.

Quali sono gli ostacoli più importanti che gli imprenditori devono affrontare per avviare una start-up al di fuori degli Stati Uniti? Quanto è importante avere una propensione a rischiare e a fallire?

Nella Silicon Valley abbiamo una parola particolare per definire un imprenditore fallito: esperto. La maggior parte degli imprenditori fallisce. Ma qui se fallisci, se si tratta di fallimento onesto, vai a a prendere il caffè con i tuoi amici, e la prima domanda che ti fanno non è se vuoi cambiare nome o la città. E’: “Qual è la prossima start-up che farai?”. Lavorare in questo contesto ti permette di avere diversi tiri a disposizione per fare goal. Come nel calcio.  Se in una partita tu avessi soltanto una possibilità di fare goal, non andresti da nessuna parte. Noi qui facciamo il gioco che dice che certo c’è stato un fallimento, ma partiamo dall’assunto che tu hai imparato bene qualcosa e che la prossima volta non ripeterai gli stessi errori. In regioni che non hanno quella cultura che sostiene il rischio, tu soffochi l’innovazione riducendo il numero di volte in cui uno farà il suo tentativo. Così otterrai una cultura nella quale la gente alla fine dice: cerchiamoci un lavoro permanente. E l’altra cosa che influenza pesantemente è ciò che pensano i tuoi genitori e quanto vicino a loro vivi.  Se tu stai creando una start-up in una cultura che non apprezza lo spirito imprenditoriale e i genitori abitano vicini, la pressione sociale spingerà un gran numero di quegli imprenditori lontano dall’avventurarsi in operazioni rischiose perché saranno viste male dalla famiglia. Questo è il motivo per il quale è decollata la Silicon Valley, un posto dove non era nata la maggior parte delle persone che ci vivono ora. Molti erano nati nella East Coast e sono andati in California per seguire i loro sogni. E questo è il motivo per il quale l’imprenditorialità per i primi due decenni è fiorita qui e non a Boston che è luogo dove sarebbe dovuta partire

Qual è la strada migliore per formare la gente a creare impresa?

Per lo più l’impresa fallisce perché si basa su un insieme sbagliato di ipotesi. E’ esattamente come fare un esperimento scientifico in laboratorio. E’ come se io permettessi  agli scienziati di fare un unico esperimento e poi li licenziassi. Così la scienza non andrebbe avanti. Creare una start-up è come una specie di esperimento scientifico. Tu  starai facendo diversi esperimenti qualcuno dei quali funzionerà ed altri no. E’ come avere un artista al quale si permettesse di dipingere un solo quadro o di scolpire una sola scultura e se non è l’Ultima cena di Leonardo o il David di Michelangelo lo licenziassimo. Non ci sarebbe l’arte. Questo è molto diverso da business che sono ripetibili  e basati su strutture conosciute. Ma facciamo un cattivo lavoro nell’educare ciascuno a distinguere le due attività. Un cattivo lavoro nell’educare la gente che ha un lavoro su cosa fanno gli altri e viceversa nello spiegare agli artisti come ridurre il rischio e perché è la loro attività è differente dal lavoro.  Nei cluster la gente sa che si trova in uno spazio dove ognuno è un artista e si sente molto più a suo agio.

In Toscana c’è una forte e appassionata discussione sul ruolo di un governo regionale e in generale delle istituzioni pubbliche in modo da accrescere le risorse e gli investimenti per le start-up. Quale dovrebbe essere questo ruolo?

La questione numero uno è se tu puoi progettare un cluster imprenditoriale. Ne puoi costruire uno? E’ possibile farlo o si tratta di casi fortunati? E’ interessante guardare alla storia dei cluster imprenditoriali e capire che Silicon Valley e Boston sono stati casuali. Ci sono stati nel mondo cluster progettati, costruiti in base a un piano. Herzliya, che si trova vicino a Tel Aviv in Israele per esempio è stata progettata brillantemente dal governo israeliano. Pechino e i cluster vicino a Shenzhen e altri posti in Cina sono stati progettati dal governo cinese e Singapore si è continuamente reinventata in forme non solo tecnologiche. Altri luoghi hanno tentato e fallito. Il Cile ci ha provato molto, anche la Finlandia. L’ultimo esempio negli USA è il sindaco di New York Michael Bloomberg che ha trasformato dal nulla  un cluster che lui stesso e la città hanno progettato, in un periodo di tempo estremamente breve.

Dunque la prima cosa che i governanti della Toscana dovrebbero fare è andare a una lavagna e spiegarmi ciò le persone in questi posti hanno fatto, come lo hanno fatto, di quanto denaro hanno avuto bisogno e che cosa hanno investito per farlo funzionare e indicare gli esempi di ciò che non ha funzionato. La seconda cosa di cui hanno bisogno, cosa che però potrebbe mandarli in depressione, è rendersi conto che ciò non può accadere nel periodo di tempo in cui sono al governo. Molti degli amministratori eletti vogliono avere qualcosa da mostrare mentre sono ancora nel loro incarico. Invece  ci potrebbero volere in dieci anni. Chi governa deve dunque capire che potrebbe essere la sua eredità politica, ma che non lo farà rieleggere. E’ possibile progettare un cluster pensando alla risorse che ha la Toscana: un territorio bello certo, ma ci si deve rendere conto che quasi tutti i cluster che hanno successo lo hanno non perché è un programma per dare lavoro alla popolazione locale. Ha successo perché diviene un polo di attrazione per il meglio e il più brillante che c’è nella vostra regione e nel vostro Paese. Questo è ciò che la Toscana deve domandarsi: come ottenere che gente incredibilmente intelligente venga in Toscana a sostenere la sua economia.

Il terzo pilastro dell’innovazione sono i centri di ricerca, quale ruolo dovrebbero avere i centri e le università nel creare e far prosperare un ecosistema di start-up?

E’ una domanda cruciale. Nella Silicon Valley la Stanford University è stata il centro di questa esplosione e la ragione di questo era un certo professore che divenne il rettore dell’università e che trasformò ciò che era una discreta università di ricerca in una università rivolta all’esterno. Molte università guardano all’interno, si concentrano sulla loro ricerca, le loro politiche e considerano quello che accade fuori come qualcosa che non le riguarda. Questo va bene per le università, ma non crea un ecosistema. Che nasce se università e centri di ricerca locali alla fine capiscono che hanno bisogno di collegarsi con le aziende, le istituzioni locali e altre risorse, che agiscono come catalizzatori piuttosto che come giardini circondati da mura. E se ne può vedere la differenza nella storia dei cluster di innovazione. Basta che ci sia una o due persone chiave in una università per far sì che  ciò avvenga.

Quale impatto avrà sul mercato del lavoro il fiorire delle start up?

Partiamo ancora dal luogo dove ho vissuto negli ultimi quaranta anni, la Silicon Valley che, lo si creda o no, era un’area agricola. A sud di san Francisco si coltivavano alberi da frutto. Ora nessuno pensa più a questo posto come la capitale della frutta degli Stati Uniti ma prima lo era. La trasformazione è potuta avvenire perché è diventata un polo di attrazione. Anche a Hollywood c’erano solo aranceti e frutteti.  Ma se volevate realizzare un qualunque film c’era un unico posto dove andare, ed è diventata un cluster per l’intrattenimento. Così si trasforma un territorio. E tu dovrai decidere se questa trasformazione ti piacerebbe. A New York questo non è così evidente perché ha altre specialità di finanza e immobiliare e media ma ora tu puoi aggiungere imprenditorialità dell’innovazione come una delle specialità. Così potrebbe essere per la Toscana che è conosciuta per le cose per cui è già conosciuta, ma sarebbe grandioso se fosse conosciuta come la regione in Italia nella quale si ritrovano imprenditori di statura mondiale.

Una domanda che riguarda questo giornale. Da un certo punto di vista un giornale on line è ancora una start-up perché non ha trovato un modello di business profittevole. Vede una possibilità perché ci sia una svolta in un settore in crisi come quello dell’editoria ?

Negli Stati Uniti ci sono mercati emergenti per l’informazione. Molti dei prodotti sono newsletter on line piuttosto che pubblicazioni stampate e questo è un cambiamento. Ciò che essi tendono a fare è vendere conferenze o dati o risorse per integrare il loro business. Non ho visto le statistiche, ma non sarei sorpreso se questo fosse il settore dove è generata la maggior parte dei loro profitti. E’ buffo, mi ricorda abbastanza l’inizio delle ferrovie negli Usa del 1800. Quando cominciammo a costruire le ferrovie attraverso il paese che era abbastanza grande, la gente pensò che avrebbe fatto soldi trasportando passeggeri e merci. Qualcuno li fece, ma quelli veramente astuti comprarono terreni da una parte e dall’altra dei binari e fecero i soldi vendendo proprietà fondiarie. Talvolta il modello di business è un po’ più complicato del mero “guadagniamo denaro da abbonati e lettori paganti”. Il vecchio modello di business di un quotidiano era che i soldi si facevano non dagli abbonati o dai lettori ma dalla pubblicità. E così la nuova sfida per  chi produce informazione, dal momento che la pubblicità ora è gratis, è trovare quali sono altre fonti di guadagno  per sostenere le mie notizie. La soluzione non c’è ancora, ma ho visto un sacco di gente dare il via a diversi esperimenti.

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