La mostra è godibile anche per i non abitués alle manifestazioni del contemporaneo , non sempre di facile impatto e comprensione . Ma quello che si svolge sui grandi schermi montati nella penombra della cripta del museo Marini è talmente affascinante da un punto di vista visivo, che non si può non fermarsi come ipnotizzati davanti ai giochi di luce e di colore che scorrono ininterrottamente sui cinque grandi video. I quali hanno come elemento centrale il flusso delle acque e i passaggi della materia da uno stato all’altro, suscettibile di continue variazioni, ovviamente controllate dall’artista. L’osservatore è totalmente coinvolto in questo scorrimento e nella fantasmagoria delle luci e dei riflessi in cui la materia si scioglie e si scontra senza posa. Se si potesse fermare il video – ma sarebbe un imperdonabile tradimento – verrebbe fatto di ricordare certe composizioni di Jorn o di qualcuno del gruppo Cobra. Ma è solo la tentazione per bloccare un coinvolgimento quasi eccessivo , un gorgo e un mulinello che ci attrae troppo, fatto soprattutto di movimento e di luce, per noi bipedi ancorati a terra. In questo processo, comunque, l’uomo è inteso come colui che conduce la dinamica delle azioni , il protagonista capace di plasmare la materia , di rendere comprensibile la natura e mettersi in relazione con essa.
Perciò Trevisani appare un artista maturo , costruttivo ,non immerso in quella corrente del cupio dissolvi di tanti suoi coetanei incapaci di un vero messaggio partendo dalla ‘conversazione’ con le cose e la bellezza.
L’artista vive fra l’Italia e Berlino e ha esposto a Rovereto, al Maxxi di Roma , alla Biennale di Venezia e in altri prestigiosi centri .