Giorno della Memoria: le donne testimoni della Shoah

Prato – Un incontro con Gabriella Nocentini, docente di italiano e storia e membro del direttivo Associazione Nazionale Ex Deportati nei campi nazisti di Firenze è stato al centro delle manifestazioni per il Giorno della Memoria.  Nel salone della prefettura di Prato c’erano il Sindaco Matteo Biffoni, il Prefetto Maria Laura Simonetti, il Presidente del Consiglio Regionale della Toscana Eugenio Giani. L’evento si è svolto in collaborazione con il Club Soroptimist International di Prato,con la Presidente Anna Tofani Palazzo.
“Se comprendere è impossibile , conoscere è necessario”, così Anna Tofani, ricordando le parole di Primo Levi che sono ancora un monito perché il dramma della Shoah non deve mai essere dimenticato ma narrato alle nuove generazioni.I giovani devono essere consapevoli di quale orrore l’uomo è capace e dunque forte è ancora la commozione del ricordo di tutte quelle donne,uomini e bambini vittime dell’olocausto.

L’importanza della memoria è stata sottolineata dal Sindaco Biffoni che ricorda che la nostra è una generazione a cui si impone il dovere di non dimenticare cosa avvenne nel cuore del nostro continente 72 anni fa quando si consumò una delle più grandi tragedie dell’umanità: ” Un monito sempre presente da tramandare alle future generazioni perché l’obiettivo sia sempre un obiettivo di pace”.
Si parla soprattutto di donne deportate nei lager nazisti nell’intervento della professoressa Nocentini, quelle che hanno fatto la  storia, con i loro silenzi a volte per scelta per cercare di dimenticare o di quelle che, al contrario, hanno sentito il dovere della testimonianza, o di altre donne a cui il silenzio è stato forzatamente imposto, ma che hanno comunque sentito il bisogno di scrivere, per lasciare una traccia visibile al mondo di ciò che avevano vissuto
Comincia così il racconto della deportazione femminile, attraverso l’esperienza di quattro donne rinchiuse a Ravensbruck,  Bergen Belsen e Auschwitz, le cui protagoniste Ada Jerman, deportata a Ravensbruck, Diamantina Salonicchio, a Bergen Belsen, Elisa Springer e Maria Rudolf, ad Auschwitz, che sono state “vittime della guerra, che hanno conosciuto la deportazione, subito violenza, disagio sociale, ma anche sopportato pregiudizi e, nella condivisione della propria esperienza, hanno molto da dare e da insegnare tutti noi”. “Si è aperto il vagone e il ferroviere ci ha detto adesso potete tutti dire amen o alleluya”.. oppure  “arrivati là abbiamo visto che era tutto un’altra cosa..cataste e cataste di morti”…. ,e ancora  “ci toglievano via tutto e ci mettevano degli stracci addosso..non ti chiamavano per nome”… e ancora “siamo rimaste mute..”
In particolare la professoressa ricorda Maria Rudolf, antifascista, arrestata e deportata ad Auschwitz dalle carceri di Trieste, che è diventata  l’immagine  simbolo della vittoria  sul nazismo, in una foto,infatti, porta sul braccio il suo numero tatuato e tra le braccia il suo primo, dei tre figli. Una vittoria per Maria, perché molte donne dopo la deportazione e la “vita” nei campi, dove l’assenza del ciclo mestruale era la regola,  non hanno più potuto avere figli.  Una sterilità, dovuta ai diversi esperimenti che i nazisti compivano sulle donne  deportate.
A Ravensbrück, campo di concentramento destinato, almeno formalmente, alla rieducazione delle prigioniere e poi trasformato in campo di sterminio, morirono circa novantaduemila donne.
Lidia Beccaria Rolfi (che là fu deportata e sopravvisse) e Anna Maria Bruzzone, spiega la professoressa Nocentini, hanno raccolto le testimonianze di alcune prigioniere in un libro in cui Lidia Beccaria Rolfi, Bianca Paganini Mori, Livia Borsi e le due sorelle Lina e Nella Baroncini raccontano la loro esperienza di deportate, coperte di stracci, divorate dai pidocchi, sfinite dalle malattie e dalla fame,dalle botte, dai massacranti turni di lavoro.
I nazisti  hanno commesso qui delle atrocità inaudite nei confronti delle donne,e pochi ancora lo sanno, ma più della metà degli ebrei  uccisi nei campi di concentramento, erano donne e se Auschwitz era la capitale dei crimini contro gli ebrei, Ravensbrück era la capitale dei crimini contro le donne. La prassi erano le sterilizzazioni, gli  aborti forzati, gli stupri e ignorare Ravensbrück significa non comprendere che qui avvenivano non solo crimini contro l’umanità ma crimini contro le donne.  Essere state  prigioniere in questo lager ha voluto dire dover esporre in pubblico i corpi abituati al pudore, subire le violenza per poter sopravvivere, e non potersi mai più riconoscere nella propria immagine fisica.
In chiusura le letture e testimonianze di Silvana Santi Montini,e di Marta Logli studentessa pratese della Consulta degli Studenti di Prato che ha ricordato l’importanza della giornata memoria perchè solo cosí si può mettere la parola fine a qualsiasi forma di presunta diversità che ha portato all’Olocausto durante la seconda guerra mondiale e a veri e propri genocidi e ad azioni violente anche in periodi cronologicamente più vicini a noi e nella nostra stessa epoca.
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