L’italia è un paese di pioggia. Le precipitazioni, sia sotto forma di pioggia che di neve, raggiungono un livello medio negli ultimi venti anni di quasi 1000 mm per mq. Solo per alcuni confronti basta dire che nel Mondo la media è di 969 mm mentre in Europa stiamo intorno agli 856 mm. Quindi si può dire che il paese, nel suo complesso e in media annuale, non ha problemi strutturali di siccità. Basta pensare che il prelievo per usi antropici (agricoltura, industria e civile) si situa intorno ai 35 miliardi di m3 di acqua a fonte di un volume di precipitazioni intorno ai 300 miliardi di m3.Poco più dell’11%. Anche se occorre considerare che non tutta la pioggia e neve diventa acqua disponibile per l’uomo. Il fenomeno della evapotraspirazione ne toglie una bella fetta, crescente in un periodo di innalzamento continuo della temperatura, e un’altra parte importante è destinata a tenere “vivo, bello e in salute” il sistema ecologico che non va depauperato e che dipende per la sua sostenibilità dalla presenza dell’acqua in quantità e qualità adeguate.
La pioggia quindi cade in media a sufficienza ma con caratteri di variabilità per alcuni versi strutturali, tipici di un paese a clima mediterraneo, e per un altro verso crescente a causa degli effetti sul ciclo dell’acqua del cambiamento climatico. Questa variabilità porta con sé una probabilità destinata a crescere della emergenza di fenomeni siccitosi in determinati luoghi , magari non sempre gli stessi, del paese.
La prima variabilità riguarda il livello di precipitazione annuale. Se si guarda agli ultimi venti anni si va da un picco di precipitazione nel 2010 con oltre 375 miliardi di m3 di acqua ad un fondo nel 2022 con appena 210 miliardi di m3. Si tratta di una differenza notevole di oltre 160 miliardi di m3 di risorsa. Negli ultimi venti anni si sono registrati nel paese 7 eventi di siccità, più o meno diffusi nel territorio nazionale e a diversa gravità. E anche l’anno in corso, il 2023, non sembra promettere niente di buono. Sarebbe il primo caso di un evento siccitoso che si ripete in due anni successivi. Con un effetto “a cascata” destinato a provocare danni all’agricoltura ma anche alla produzione idroelettrica e all’uso civile. La siccità del 2022 si calcola sia costata alla collettività oltre 11 miliardi di euro: 6 in agricoltura, 5 nella produzione elettrica e 500 milioni nell’emergenza civile.
La seconda variabilità riguarda il differenziale fra territori. Nelle regioni non piove allo stesso modo. Si va dai 1650 mm del Friuli Venezia Giulia ai poco più di 600 della Puglia. Una differenza molto elevata che ci parla già oggi, in attesa di maggiori effetti legati al cambiamento climatico, di criticità strutturali in periodi normali nell’area meridionale del paese. Dove in effetti si ha una agricoltura meno legata alle pratiche irrigue del Nord Italia.
La terza variabilità riguarda il differenziale fra stagioni e quindi fra i diversi mesi dell’anno. Anche qui si registra un picco nel mese di novembre con 125 mmm e un fondo a luglio con 48 mm a dimostrazione della struttura tipica dell’Italia legata al clima mediterraneo con forti differenze fra il clima dell’estate e quello dell’autunno-inverno.
Che fare di fronte a questo fenomeno e alla probabilità di eventi critici di questa natura? Occorre un’opera di prevenzione e mitigazione che può essere affrontata con quattro tipi di intervento.
Il primo è la crescita delle infrastrutture per l’accumulo di acqua. Si tratta di portare l’acqua che risulta abbondante e sufficiente nella stagione umida verso la stagione secca. Ed allora costruzione di nuove dighe e invasi, disinterramento delle attuali dighe, completamento e messa in funzione di dighe non ancora in opera (spesso da decine di anni!) e riempimento gestito delle falde acquifere che possono funzionare da invasi naturali. In Italia abbiamo un accumulo di risorsa effettivo non oltre i 10 miliardi di m3 di acqua, occorre arrivare nei prossimi vent’anni ad almeno 15 miliardi di m3.
Il secondo intervento deve puntare a far diminuire le perdite nella fase di distribuzione dell’acqua nel settore civile (acquedotti) e nella irrigazione (condotte e canali). Oggi in Italia, nei diversi settori, si perdono circa 7,6 miliardi di m3 di acqua prelevata da fiumi, torrenti, falde, dighe e invasi. E’ una situazione inaccettabile anche laddove quest’acqua persa poi rifluisce in qualche modo in qualche contenitore naturale. Sia perché lo fa in tempi diversi, sia perché è una forma di spreco economico a fronte di trattamenti dell’acqua immessa, sia perché spesso grava sui fiumi proprio in un momento in cui occorre garantire a questi un deflusso minimo vitale.
Il terzo intervento spinge verso una maggiore efficienza nell’uso sia incrementando metodologie e tecniche di irrigazione di precisione o guidate da informazioni satellitari sia sviluppando colture a minore intensità idrica in aree dove più alta è la probabilità di fenomeni siccitosi.
Il quarto intervento è quello di aumentare la disponibilità alternativa di acqua attraverso tecniche di utilizzo e riutilizzo di risorsa altrimenti non disponibile per l’uso antropico. E allora si va dal riuso delle acque reflue, che sono circa 9 miliardi di m3 in Italia, alla produzione di acqua dolce attraverso la desalinizzazione dell’acqua mista o dell’acqua di mare.
Per fare tutti questi interventi occorre una Governance unitaria di un mondo, quello dell’acqua, che annovera decine e decine di soggetti competenti sia a livello istituzionale che amministrativo, sia nella ricerca che nella gestione, sia di tipo pubblico che di tipo privato. Il modello migliore, sperimentato in tema di dissesto idrogeologico dalla struttura di missione Italiasicura negli anni dal 2014 al 2018, è quello relativo ad un centro nazionale e ad un solo centro in periferia col presidente di regione nella duplice veste di Governatore e Commissario di Governo per l’attuazione delle opere.
E poi occorrono tante altre cose come capacità progettuale, risorse finanziarie, piani di lungo periodo e tanto altro ancora. Si sarebbe detto un tempo occorre una volontà politica chiara e forte. E quindi azioni chiare e forti. Nel PNRR sull’acqua è stato investito una cifra di 4 miliardi di euro. E’ tutto. A voi… si diceva nelle trasmissioni sportive radiofoniche.
Mauro Grassi è coautore insieme ad Erasmo D’Angelis del Documento WATER ECONOMY IN ITALY. Primo Report sullo stato della risorsa e delle infrastrutture in Italia. PROGER 2023