Giornalisti: il nostro ethos per 10 punti

OLYMPUS DIGITAL CAMERADi una cosa dobbiamo comunque essere grati all’Ordine: averci fatto tornare sui banchi di scuola anche solo per un giorno. D’accordo, stipati come sardine, OLYMPUS DIGITAL CAMERAinsofferenti al pigia-pigia, accaldati dalle finestre rigorosamente chiuse volute dai perfettini della prima fila che denunciavano, con sguardi irati, lo svolazzamento del block-notes con relativa impossibilità di prendere appunti ma almeno tornati indietro nel tempo. Chi venti, chi trenta, chi quarant’anni. E poi il clima da revival studentesco: chi faceva finta di copiare, chi mandava messaggini alla reporter bellona agognata da sempre e mai avvicinata fisicamente, chi leggeva patinate riviste di moda, chi infine si sollazzava con iPod e iPad facendo scorrere più in fretta le nove ore di permanenza forzata all’università per il corso obbligatorio d’aggiornamento, pena (?) sanzioni economiche e disciplinari fino allo sputtanamento pubblico e l’impossibilità a continuare nell’esercizio della professione. Infine le marachelle: la più classica delle marinate. Firmi all’ingresso, poi scappi magari alla conferenza stampa sull’ultima inchiesta (che qualcuno il giornale lo deve fare, corso o non corso) e torni giusto in tempo per firmare all’uscita. Prendendo due piccioni con una penna: gli ambiti 10 punti e la tua porca figura nel pezzo d’apertura all’indomani. Che tanto non controlleranno mai le singolari coincidenze omonime. Anzi, ortonime.                                                                                                                                                           OLYMPUS DIGITAL CAMERA OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Dei 160 prodi o stoici che hanno presenziato al corso di formazione “I giornalisti e la deontologia”, grazie all’impegno dell’Associazione provinciale stampa reggiana “G.Bedeschi”, un buon due terzi poco o nulla avrebbe formalmente a che fare col giornalismo in senso lato. Molti almeno ruotano nell’ambito della comunicazione generica, altri invece cosa non farebbero per restare iscritti all’albo dei pubblicisti, che resta pur sempre quel limbo aperto a tutti. Quella zona grigia di chi è qualcosina in più dello scrivente per passione ma qualcosina in meno dello scrivente “professionale”. Strana gilda quella dell’Ordo giornalisticarum: l’unico a non necessitare di una laurea, l’unico suddiviso in due albi, tipo gemelli separati alla nascita (qui sarebbe meglio dire alla crescita), l’unico ad avere più d’una strada, più di un cursus honorum per giungere alla stessa meta, la categoria di serie A. La crisi ha mietuto molte vittime nel settore, mediamente più che in molti altri e la trasformazione tecnologica (oltre all’incedere biologico) ha costretto molti altri al palo. Di corsi d’aggiornamento ce ne sarebbe anche bisogno; magari un tantinello diversi di quello andato in scena all’università reggiana. Meno nozioni e più riflessioni; meno slider e più sostanza alle domande che stanno alla base di un mestiere. Per qualcuno addirittura, una “vocazione”. Anche se, va detto, i poveri cristi che sgobbano spesso al desk, ce l’hanno già il loro piccolo corso d’aggiornamento quotidiano.

La full immersion sulla necessità di tornare alle radici deontologiche pur declinata sui nuovi problemi innescati da medium e velocità, è servita anche a smussare tante incomprensioni tra colleghi che si vedono distrattamente alle conferenze o si punzecchiano sui social giammai senza citarsi. E far ricadere quella luce di normalità e umanità sul corpus redazionale delle testate nostrane. Insomma ‘sto corso al limite dell’utilità, ha avuto comunque un suo senso esistenziale. Dieci punti per il pathos più che per l’ethos. Che tanto lo sappiamo, etici si nasce. Non c’è aggiornamento che tenga se sei un po’ figlio di buona donna.

 

 

 

 

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