Giardini: bellezza, utilità e anche salvezza per un’umanità nuova

Il libro di Mariella Zoppi: “un’operazione collettiva globale ed etica”

Una storia affascinante che conduce a misurare sulla bellezza della Natura e sulla sua fruizione da parte dell’umanità periodi storici e pensieri filosofici, estetici a anche politici . “Giardini” di Mariella Zoppi, architetto e professore emerito dell’Università degli Studi di Firenze, è un’indispensabile vademecum e riflessione al contempo sul ruolo e sull’indispensabile presenza del Giardino nella storia (e nel futuro) dell’umanità.

Com’è nata l’idea di dedicare un libro alla storia, evoluzione e significato dei giardini?

” Per la verità avevo già pubblicato per la casa editrice Laterza nel 1995 una storia del giardino in Europa, quindi quando l’editore Carocci mi ha chiesto di tornare su questo tema, ampliando il quadro alla scena orientale, sono stata felice di farlo. L’Oriente è entrato di prepotenza nella narrazione con l’impero Moghul, la Cina e il Giappone, ma la cosa che mi ha appassionato di più è stata la possibilità di dare una visione comparata fra due diverse concezioni etiche ed estetiche quella occidentale e quella orientale, tanto che
questa lettura parallela è diventata uno degli assi portanti del libro. In breve sintesi il volume propone un viaggio attraverso i continenti ei secoli, rispetto ai quali il giardino e le sue mutazioni diventano una “lente” con cui leggere la storia delle donne e degli uomini che li hanno costruiti e vissuti.

Cosa motiva l’umanità a inventarsi il giardino?

Il giardino nasce quando le popolazioni diventano stanziali e cercano utilità (cibo, ombra) e bellezza (colori, profumi). Sono luoghi reali in cui la vita materiale diventa migliore e lo spirito conquista nuovi orizzonti. Nel tempo la figurazione del giardino cambia, così come le sue dimensioni, le piante e gli arredi che può accogliere, ma in esso resta sempre presente la ricerca della bellezza e dell’armonia fra l’uomo e la natura, una sorta di desiderio di riconquista e/o di ritorno ad un paradiso perduto. Un sentimento e un’aspirazione che uniscono Oriente e Occidente: la ricerca dell’armonia è alla base di ogni composizione
anche se differenze formali sono molte. In Cina, ad esempio, l’utilità non gioca alcun ruolo e il giardino si identifica con un mondo poetico e spirituale di cui è la trascrizione tridimensionale. Le sue forme modellate sugli elementi (rocce, acqua) appartengono al continuo svolgersi del tempo e sono rivolte a favorire la riconciliazione del valore della primigenia semplicità dei gesti con la grandezza e la rappresentazione simbolica e vitale della natura e del cosmo. Una visione sofisticata e intellettuale, in cui simboli e realtà si confondono per sverlarsi solo a chi sa comprenderli e goderne con animo sereno e mente
libera.

Cosa differenzia l’hortus dal giardino?

L’hortus è uno spazio dove prevale l’utilità: per molti secoli l’hortus è stato degli uomini e il
giardino/paradiso dei re o degli dei. Pensiamo all’antica Grecia e ai poemi omerici, dove incontriamo Laerte in un orto e Nausica in un giardino. La fatica del coltivare del vecchio padre di Ulisse è contrapposta al dono divino dove una natura rigogliosa promette un’eterna primavera. Molti secoli dopo, Pietro de’ Crescenzi nel suo Liber ruralium commodorum (“Il libro dei benefici in agricoltura”, 1305) parla di come un giardino sia necessario a tutte le persone indipendentemente dal loro censo e di come le piante rendano l’aria “balsamica”. L’etimo di giardino deriva da gart (germanico, che significa recinto) e De’ Crescenzi fa
riferimento a tre modelli (“di piccole erbe”, “delle grandi e medie persone” e “dei re e degli altri ricchi signori”) che si differenziano per complessità e ricchezza, ma che hanno tutti alla base il verziere, recinto di forma quadrata, con una pergola, acqua chiara e corrente, erbe aromatiche ed edibili, e fiori. Dunque possiamo dire che Utilità e Bellezza costituiscano il fondamento del giardino, ma è necessaria un’avvertenza: il concetto di utilità può essere riferito sia al profitto materiale e al sostentamento, sia all’affermazione di uno status e al desiderio di manifestare un potere. Potere politico, economico, culturale,
infatti, inventeranno tutta la gamma delle tipologie e dei modelli, che accompagneranno, connotandoli, i vari periodi storici.

Il giardino come crocevia di cultura ma anche di significati religiosi e filosofici; si può parlare di giardino religioso e di giardino laico?

Non vedo tanto una separazione netta fra il mondo laico e quello religioso o, direi meglio, mistico. I confini fra questi due mondi sono sempre sfumati, fatti di interpretazioni, stati d’animo e suggestioni. Si può dire che vi sia sempre una compresenza di sacro e profano. Certo, nel Medioevo il giardino del convento è altra cosa rispetto a quello dei castelli, e ancor più lo sarà quando la natura entra a far parte della città e si apre alla gente (pensiamo all’Ottocento e alla nascita del parco pubblico), ma l’aspirazione alla bellezza resta il grande motore della sua stessa esistenza, sia quando si pone come mediazione fra la divinità e l’individuo, sia quando fa da cornice ad avventure galanti (es. nei poemi cavallereschi e non solo), sia quando il suo fine diventa la rappresentazione del potere e la glorificazione del sovrano (es. Versailles e il Re Sole o Peterhof e lo zar Pietro il Grande). Il giardino, inteso come espressione dell’arte della natura, è una creazione in cui sono presenti saperi e sentimenti, che si esprimono talvolta con l’essenzialità e il rigore della geometria e altre con assoluta libertà espressiva, ma sempre sottintendono una molteplicità di allusioni, suggestioni e significati che permettono di comprendere ed interpretare le sue infinite trasformazioni. Rispetto al tema religioso, va tenuto presente come il giardino sia identificato come metafora del Paradiso, ovvero rappresenti il luogo dove approderanno le anime di quanti hanno vissuto secondo i comandamenti divini: un mondo di pura spiritualità e luce per il Cristianesimo e un mondo di delizie e di fresche ombre per il Corano. In entrambe le concezioni il significato riporta ad un ambiente di pace, in cui tutto si placa e si esprime in una assoluta perfezione.

I giardini arrivano a parlare la lingua della politica?

I giardini sono lo specchio delle civiltà, quindi raccontano la vita, il cambiamento dei costumi, delle concezioni estetiche e quindi rivelano le concezioni culturali e politiche che li esprimono. Nel Rinascimento, l’Uomo è misura di tutte le cose e definisce il suo giardino attraverso la Ragione e le Regole identificandolo con uno spazio definito e recinto, guidato dalla simmetria e dalla prospettiva, pressoché immutabile nella sua rigorosa compiutezza. Poi i tempi mutano e all’Uomo si sovrappone il Sovrano, il potere si concentra nelle mani di un solo, che investito direttamente da Dio è in grado di indirizzare i gusti e le menti. Nuovi principi s’impongono e le regole vengono sovvertite, la prospettiva non è più contenuta in uno spazio concluso ma corre verso l’infinito, non esistono né limiti né vincoli: lo sfarzo del Barocco invade le corti d’Europa. Il re è il Sole, motore unico della vita del suo popolo. La Francia dominerà con i suoi modelli fino alla Rivoluzione, quando un diverso rapporto fra gli individui e la natura definisce, in Occidente, ambiti nuovi che si aprono alla campagna, capace di offrire scenari e paesaggi in cui l’arte filtra la quotidianità della fatica.

Come impatta la modernità sul concetto di giardino?

Proseguendo il ragionamento, possiamo dire che l’idillio con un paesaggio artificialmente ricreato (giardino all’inglese, per intenderci) finisce a causa di un’altra rivoluzione, quella industriale, che impone il passaggio dagli incanti privati e agresti alla necessità sociale di disporre di un verde pubblico fruibile e accessibile a tutti. La concentrazione di popolazione nelle città, l’inquinamento prodotto dalle lavorazioni industriali e le condizioni sociali delle classi lavoratrici obbligano ad un radicale cambiamento: gli spazi verdi sono una necessità per la sopravvivenza stessa della vita nelle città. Viali, piazze alberate, giardini pubblici e
parchi caratterizzano il XIX secolo: la città compatta, eredità dei secoli precedenti, abbatte le sue mura e si espande all’esterno. Purtroppo nessuna lezione vale per sempre e, alle soglie di questo Millennio, ci troviamo a combattere, su una scala di gran lunga maggiore, i mali urbani presenti in nuce nella prima fase dell’industrializzazione. Megalopoli gigantesche, migrazioni non più di persone ma di popoli, si uniscono alla consapevolezza di vivere in un pianeta malato e ci riportano alla necessità e all’urgenza di un ripensamento dei modelli complessivi comportamentali, sociali ed economici.

Il rapporto fra giardini e città è forse il tratto più evidente del ripensamento e forse della rifondazione dell’arte del giardino nella contemporaneità. Ma fra la tematica del paesaggio, del verde urbano, del rispetto della tradizione senza immobilizzare il verde, può sopravvivere il concetto di giardino come fruizione del bello in forma privata, ma soprattutto pubblica?

Oggi il tema principale del rapporto umanità-natura va aldilà delle soluzioni formali che si possono proporre e realizzare, che ammettono una gamma sterminata di soluzioni e rispondono ad un’estetica che non ha più i confini definiti di uno stato o di un continente, ma che deve rispondere a due presupposti progettuali: la necessità di disporre di una molteplicità di aree fra loro in continuità ovvero di un sistema coerente di aree verdi (trama verde, corridoi ecologici ecc.) e la consapevolezza che non possiamo permetterci di perdere nemmeno il più piccolo ambito di natura in quanto ogni spazio va ricercato,
mantenuto e curato indipendentemente dalle sue dimensioni e dall’apparenza della sua configurazione. Tutto è parte dell’immenso della Terra che accoglie le innumerevoli rappresentazioni e manifestazioni della natura e si pone come terreno comune di civiltà, di democrazia e di uguaglianza fra i popoli. In questo quadro il giardino non è più appannaggio di pochi o per pochi, ma un frammento che è parte di un organismo complesso a relazioni multiple che ha il compito di contribuire ad una generale riqualificazione ecologica del nostro pianeta. Il giardino si identifica, cioè, con un’operazione collettiva globale a forte
valenza etica, in cui la ricerca dell’armonia e dell’equilibrio fra l’umanità e la natura acquista un significato universale, in quanto assume la “bellezza”, cui tutti hanno uguale diritto, come misuratore e mediatore estetico di equità.

Foto di , Sailko, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2671669

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