Giacomo Costa: “E’ l’uomo, al centro della mia ricerca artistica”

Firenze – Giacomo Costa è uno degli artisti fiorentini tra i più conosciuti a livello internazionale. Sta ultimando i lavori per la prossima fiera di Bologna dopo aver inaugurato  la mostra veneziana a Palazzo Fortuny. Lo incontro in una giornata fredda ma piena di sole che riempie di luce il suo ambiente mozzafiato sul centro storico di Firenze.

D: Che cosa prepara per questo importante appuntamento annuale?

R: “Porterò i video non video che erano poi il nucleo della mostra di Genova finita a novembre 2018”.

D: Sono i pannelli luminosi?

R: “Storicamente ho fatto dei pannelli luminosi, i light box. Questa volta li faccio con dei monitor che però smonto e rincornicio, sembra un vero light box, ma in realtà sono immagini in movimento che si muovono lentamente, un movimento che può raggiungere anche i mille anni, detto in modo molto astratto”.

D: Cosa sono?

R: “Sono delle scene abbastanza semplici. A esempio un palazzo che crolla. Il crollo reale durerebbe 10 – 20 secondi. Però io invio un fotogramma alla volta, intervallato da un tempo che può essere lungo quanto voglio. Per cui non si vede il movimento si vede un’immagine che cambia lentissimamente. I cambiamenti si vedono da un giorno all’altro. Sono come uno slide show. Una serie di immagini intervallate da un tempo che decido io”.    

D: Per esempio?

R: “Immagina la Gioconda che per una generazione è di giorno e per un’altra generazione è di notte. Sto lavorando a questo genere di immagini, che danno l’idea del cambiamento.  Sono delle scene che si trasformano in vari modi; in alcune cambia la luce, in altre i palazzi crollano, in altre ancora le piante crescono. Dei cambiamenti molto, molto lenti. Questo è il senso del mio lavoro come è documentato nella monografia di Norman Foster “The Chronicles of Time”. Il senso ciclico delle immagini per cui una città si distrugge, la natura che ricresce. C’è sempre stata una sorta di sequenza temporale distribuita su tutto il lavoro e non su una singola immagine. Con questa invenzione io riesco a rimanere fotografo, quale io sono, perché si vede una singola immagine, non c’è un montaggio, però con il tempo l’immagine si trasforma. Rimane una foto a cui abbino il tempo all’interno dell’immagine. Alcune di queste opere sono una sorta di riassunto di varie serie realizzate nel passato. Per esempio ci sono dei giardini, i lavori fatti per la Biennale di Venezia, in un divenire, con i palazzi che crollano, la vegetazione che cresce, quindi sono tante immagini unite insieme.  Un giorno magari farò vedere tutto il ciclo delle mie immagini in una mostra”.

D: Torniamo alla Fiera di Bologna.

R: “Per la Fiera di Bologna oltre ai lavori già pronti, sto pensando a un altro video non video ma non so ce la farò per i tempi di renderizzazione. A differenza di un’immagine devo fare una sceneggiatura anche minima, e creare un meccanismo che abbia un senso dove non si vede inizio e fine. Tanto lavoro”.

D: Quanti lavori presenti?

R: “Tanti. Perché con il gallerista  abbiamo deciso di portare tutti video box o light box che sono spesso di piccolo formato, quindi riempire un grande spazio con dei piccoli lavori non è facile”.

D: Alla Biennale di Venezia non erano piccoli…

R: “L’unico caso in cui li ho fatti enormi. I passato i miei light box li facevo piccoli perché dovevano sembrare dei televisori.  Adesso faccio dei televisori che sembrano dei light box! Per l’Arte Fiera di Bologna porterò i lavori che erano in mostra a Genova. I video box sono interessanti anche per la gestione e l’installazione. Essendo i miei lavori legati alla tecnologia penso spesso anche a evoluzioni tecnologiche. A me per esempio piace il quadro appeso al muro. Ora ci sono tante ricerche sulla realtà virtuale che cambiano il modo di fruire l’opera. Tutto ciò non mi convince molto, come l’uso degli occhialini, o come nella video arte, attacchi il registratore  o altro. Cose che fai una volta e via. Io vorrei che l’opera fosse sempre visibile e la sua fruizione molto semplice. Ho creato delle opere che si appendono e si inserisce la spina. Non è stato semplice trovare questo sistema perché ho dovuto inventarmi dei meccanismi che fortunatamente hanno funzionato”.

D: Mi parli della sua poetica

R: “La mia ricerca è una ricerca su l’uomo e sui comportamenti umani che io vado a rappresentare attraverso la metafora della città o comunque l’ambiente dove l’uomo vive. Sostengo che l’architettura è l’abito che fa il monaco nel senso che se si prende Firenze a riferimento, il centro storico, come sono costruite le strade, le piazze, gli spazi, si capisce come in quel periodo era concepito il bene comune e il modo di vivere. Nella periferia di Novoli o le periferie degli anni ‘50 o ‘60 si vede che introducono un’idea diversa. Se si guarda un palazzo si capisce subito come la gente che ci abita vive, come viene pensato l’individuo. Una città siriana bombardata rende bene l’idea della vita e le relazioni lì. Voglio raccontare le scelte che gli uomini fanno, però, invece dell’uomo ci metto il palazzo . Questo è il filo conduttore di tutta la mia ricerca fin da l’inizio. Usare la  città in termini metaforici. Non ci sono gli uomini nelle mie immagini perché l’uomo è rappresentato dalle architetture. Nel tempo sono andato ad analizzare l’idea della città con l’occhio rivolto verso l’ambiente o cosa quel mondo fa all’ambiente”.

D: Diverse sue immagini catastrofiche sono state prese in prestito da tante pubblicazioni per tematiche che riguardano i disastri all’ecosistema o per  presagire future calamità…

R: “Il senso del mio lavoro è anche quello di indurre lo spettatore a una riflessione su quello che stiamo facendo e sulle conseguenze. Io sono anche un’ottimista. Si può cercare di invertire la rotta. Non sarà facile. È una sfida. Ma potrebbe anche essere l’ultima sfida”.

D: Ormai la situazione è drammatica…

R: “Quando ho iniziato a fare questi lavori, nel 1996 circa, l’argomento del giorno non era l’ambiente, ora invece basta aprire un qualunque giornale si parla spesso di ecologia e dei disastri causati da l’uomo. Io l’ho pensato tanto tempo fa che le cose non andavano nella giusta direzione. Ora è di moda parlarne. Mi piace pensare che ci sia stato un mio contributo culturale, mio e di tutti quelli che come me hanno usato gli strumenti culturali per porre l’attenzione su questo problema. Poi è giusto che il problema se lo ponga anche chi può fare qualcosa per cambiare il pianeta perché l’artista può suggerire delle idee poi il politico, basandosi sulla sensibilità artistica di più persone ci costruisce un’azione. Per concludere il mio percorso pone accento su vari aspetti. Uno può essere l’urbanistica, l’acqua, altre volte l’ambiente”.

D: Anticipa il futuro…

R: “Ci sono tanti esempi che mi hanno dato ragione. Ci sono degli architetti che hanno costruito realtà molto simili a quelle che io immaginavo. Credo che il ruolo di artista sia quello di assorbire delle informazioni intorno a lui e poi traducendole in immagini, canzoni o film, dipende dal settore. L’artista contemporaneo vive nel mondo con delle antenne sensibili, pronte a captare e capire quello che sta succedendo”.

D: Essere evocativo con delle immagini computerizzate, un medium difficile per essere lirico…

R. “Nel mio caso, all’inizio era la fotografia ad essere manipolata al computer, adesso non c’è più niente di fotografico e di reale ma tutto è fatto con software usati nel cinema per gli effetti speciali. Da bambino ero fissato con la fantascienza e con gli ufo e una volta lasciai stupiti i miei compagni con un fotomontaggio. La fotografia anche quando è chiaramente falsa ha sempre un fondo di verità. Per cui, di fronte a un quadro si sa subito che è una interpretazione, mentre nella fotografia, che è uguale alla pittura perché è ugualmente manipolabile, si è portati a credere che si vede è vero. Nel mio caso, questa idea era perfetta almeno fino al 2000. Adesso costruisco mondi che non esistono ma voglio sembrino veri. Lo strumento migliore è partire dalla fotografia, poi con il computer modifico, sistemo, compongo, taglio, aggiungo etc. il risultato dà sempre l’idea di essere vero. Spessissimo chi guarda il mio lavoro pensa che siano luoghi reali, o che qualcosa di vero ci sia. Invece è tutto fatto al computer come potrebbe fare un pittore, quindi in realtà non c’è nessuna differenza con l’artista tradizionale salvo il fatto che questo tipo di linguaggio fa sembrare tutto vero. E chiunque si sente coinvolto”.
D: Funziona benissimo…

R: “Questo si deve al mezzo fotografico ma anche alla mia capacità di andare verso il surreale  senza esagerare. È mostruoso ma potrebbe sempre succedere. Se facessi i palazzi che volano in aria sarebbero palesemente falsi. Mi capita spesso che la gente chiede dove sono questi luoghi”.

D: Fanno pensare che esistono veramente

R: “Quando uno come me ha gli strumenti per fare veramente quello che vuole, la tentazione è anche quella di alzare troppo il tiro. Infatti la tentazione di aggiungere c’è. Tante volte sarebbe anche bello. Poi riguardo il lavoro e mi dico che è bello ma è troppo. Perde questo rapporto tra il possibile e l’impossibile, tra il lirico e la fantascienza o peggio ancora il fantasy. Io sono un appassionato di fantascienza ma quella dove c’è sempre un collegamento con il possibile. Ci deve essere rigore”.

D: Diventa intrigante…

R: “Deve scattare una magia. Chiunque per un istante non deve capire che cosa ha davanti. Deve rimanere sorpreso”.

D: Lei si ferma un attimo prima di diventare eccessivo

R: “È il problema delle nuove tecnologie. Se non c’è il senso della misura si fanno solo effetti speciali. Quel senso della misura è la sensibilità. Un artista come me deve avere una grande capacità tecnologica per poter creare quei mondi, però anche una sensibilità artistica che ferma la mano al momento giusto per capire quando è lirica o solo esercizio”.

Nato a Firenze, Giacomo Costa abbandona giovanissimo i suoi studi classici per dedicarsi al motocross e a l’alpinismo dove inizia a coltivare la sua passione per la fotografia analogica. Presto unisce insieme la tecnologia digitale, che conosce fin da bambino, con le conoscenze fotografiche. L’incontro con l’arte arriva quando la madre di un suo amico gli fa conoscere un importante gallerista.  Da allora la sua carriera si è arricchita di mostre di successo in tutto il mondo, ricevendo grandi riconoscimenti sia dalla cultura che dalle istituzioni.

 

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