Gerusalemme-Reggio Emilia, viaggio d’andata. Di ragazzi palestinesi, giovani Amleti e Paolini narranti. Quo Vacis?

07_Amleto-a-Gerusalemme_MG_3142Secondo me ha ragione Vacis. Se c’è una speranza viene dalle storie.

Una speranza di convivenza per israeliani e palestinesi ma anche, in fondo, per questo vecchio mondo che vive questo fase storica di ondate migratorie e di convivenza multietnica con profondo disagio e sospettosità. Ma partiamo dall’inizio.

La settimana scorsa sono andata a teatro, in Ariosto, a vedere “Amleto a Gerusalemme”, con Marco Paolini e per la regia di Gabriele Vacis. La particolarità dello spettacolo non è tanto quella di parlare -o non parlare – della questione israelo-palestinese, quanto il fatto che insieme a Marco Paolini sul palco ci sono otto ragazzi, visibilmente giovani, teneramente inesperti. E lo spettacolo nasce e cresce in un progetto, che è quello di portare il teatro in un contesto difficile come quello di Gerusalemme. In un certo senso, immagino, il tentativo di provare a elaborare con un linguaggio diverso povertà, emarginazione, violenza riportandolo – questo quindi è lo spettacolo – ad un pubblico occidentale.

Sto leggendo proprio in questi giorni un libro di Kapuscinski, nel quale si raccontano storie di palestinesi. La testimonianza di uno di essi e del suo vicino di casa israeliano, più vicino a lui per sensibilità abitudini e pensieri di quanto non lo sia il loro dirimpettaio, un ebreo della city di Londra, nato e cresciuto in Europa e tornato da poco a Gerusalemme, mi ha ha fatto pensare come nel tempo, anche a distanza di molti anni, certe condizioni persistano.

maxresdefault (1)Ragazzi normali, i palestinesi: che vestono, parlano e pensano e sbagliano come tutti i ragazzi della terra, ma che sono anche profondamente diversi dai loro coetanei europei, cresciuti come sono nel mezzo di un conflitto, e che probabilmente sono più vicini di chiunque altro ai ragazzi israeliani, ne respirano quantomeno la stessa aria pesante, lo stesso clima di sfiducia, la lotta con gli ancestrali desideri di vendetta, rivalsa, e l’altrettanto primitivo bisogno di pace.

Dello spettacolo in sé forse non direi di essere entusiasta. Della Gerusalemme di bottiglie di plastica costruita e abbattuta tre volte, metafora e ambientazione scenica, della scelta delle immagini, e della vicenda di Amleto, della chiave di lettura del testo shakespeariano. Ma mi pare non conti nemmeno troppo.

Paolini è il solito affabulatore, perfetto anche in questo caso nella sua capacità di rendere epico e metaforico un incontro casuale. Un gigantesco narratore. Le storie, i ragazzi, la loro voce e le loro espressioni sono invece l’elemento più forte di tutto lo spettacolo, anche per quella sua profonda verità e onestà. “Ho sempre meno fiducia nelle forme curriculari di comprensione della realtà, e soprattutto della sua condivisione. Dal dibattito all’inchiesta, dalla statistica alla stessa informazione. Mi sembrano sempre più strumenti di guerra. Se c’è una speranza, viene dalle storie”.

Ed in effetti la sensazione, alla fine, era esattamente questa.

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