Firenze – La nuova frontiera dell’editoria ha ormai rivoluzionato il tradizionale sistema della stampa e le case editrici, specie quelle di modeste dimensioni, sono attraversate da una crisi che lascia intravedere ben poche strade in fondo alle quali solo i più forti gruppi editoriali sembrano sopravvivere. In questo contesto sempre più autori, sfidando le ferree leggi del mercato, si affidano all’indipendent publishing. Ovvero la pubblicazione gratuita dei propri lavori attraverso piattaforme di stampa e diffusione a portata di “clic”. Anche chi si muove nell’ambito universitario, considerata l’ormai cronica carenza di fondi che investe anche il mondo delle università, è oggi “costretto” a pubblicare i propri studi seguendo l’offerta di nuovi sistemi e nuove tecnologie.
Il dottor Giancarlo Macchi Jánica, ormai grossetano d’adozione, docente di geografia dell’Università di Siena, propone, per i tipi Create Space, il suo ultimo lavoro “Geografia del post – umano” con la prefazione di Claudio Greppi. Un testo che raccoglie una serie di “osservazioni” di grande attualità che vanno dalla filosofia alle relazioni spaziali ed investono, nel suo complesso, le tematiche sociali più discusse del nostro tempo. Lo incontriamo nel suo studio dell’Università a Grosseto.
Il tuo libro “Geografia del post-umano” è un testo sul quale hai lavorato, se non erro, per molti anni; cosa intendi con questa definizione trattinata?
“Con geografia del post-umano faccio riferimento al momento presente. Ovvero la nuova fase in cui l’umanità ha stabilito con lo spazio e l’ambiente un rapporto completamente distinto da quello dei due milioni di anni precedenti”.
Diciamo subito che il lettore non troverà ricette miracolose nel tuo testo. Tu stesso affermi che “la storia narrata […] è una storia priva di giudizi”, ma l’analisi che viene fatta credo che costituisca un’importante piattaforma di discussione trattata con la sensibilità del geografo. Ha un senso, nella società odierna, la figura del geografo?
“Certamente il geografo è una professione scarsamente conosciuta, ma nella nostra quotidianità, utilizziamo google-maps, i GPS, e inoltre, la globalizzazione, le migrazioni, la popolazione mondiale, la sicurezza alimentare e i conflitti mondiali sono tutte tematiche che coinvolgono lo spazio e quindi lo studio del geografo. Purtroppo mentre in Italia pochissimi considerano rilevante la geografia, in paesi come Gran Bretagna, Cina, Stati Uniti, Francia, Canada o Brasile è una disciplina tenuta in grande considerazione”.
Nel libro, quantunque si specifichi che sia un’affermazione problematica, si legge “la geografia si occupa di tutto”. Potresti chiarirmi il concetto?
“La geografia è per definizione la scienza dello spazio; o se si vuole, delle inter-relazioni spaziali. Ad esempio, la geografia studia la distribuzione delle fabbriche e le relazioni spaziali che intercorrono tra residenza degli operai e luogo di lavoro. Ma parallelamente altri geografi si interessano alla relazione tra la presenza di fabbriche in un territorio e l’insorgenza di certe malattie ad esse connesse. In sintesi,tutto quello che avviene in questa terra avviene dentro uno spazio. Perciò la geografia è l’unica disciplina che “è costretta” ad occuparsi di tutto”.
Uno degli aspetti del libro che mi ha particolarmente coinvolto, e che credo costituisca il leit motiv dell’argomento, è il connubio stringente tra filosofia e geografia. Tra l’altro citi proprio l’antico geografo Strabone che in un suo scritto affermava, a proposito della geografia, che il suo studio ci svela la conoscenza della vita e della felicità. Sei d’accordo che nella realtà attuale questi temi siano un poco trascurati?
“A mio parere proprio l’indifferenza di fronte a questi temi è il segnale della post-umanità. Il problema è che oggi si è finito per scambiare i mezzi con i fini. Il lavoro ne è un esempio lampante: di solito viene visto come un mezzo per ottenere le risorse per vivere bene (il fine). Senza peraltro rendersi conto che il luogo di lavoro e la stessa attività sono parte importante della nostra vita. In questo sistema si giunge al paradosso dell’operaio all’ILVA di Taranto, ma l’esempio riguarda più o meno tutto il nostro sistema del lavoro: pur di lavorare sono pronto ad accettare il compromesso con le mie necessità minime, e in ultimo ammalarmi e morire. E quindi è evidente la confusione tra mezzi e fini che riguarda anche l’aspetto della nutrizione, il possesso delle nostre case o i rapporti interpersonali”.
Quello che dici credo sia la traccia delle propaggini estreme della grande rivoluzione industriale. La globalizzazione troneggia in quella che tu chiami la post-umanità, che peraltro mostri come un insieme di “equilibrio o squilibrio”. Altri studiosi come Latouche intravedono nei complessi meccanismi economici attuali altre soluzioni come la decrescita. Che ne pensi? Potrebbe essere la strada da percorrere?
“Sono fra quelli che pensano che la decrescita sia già nei fatti. Mi spiego: la popolazione mondiale cresce sempre a un ritmo minore. In Europa invece la popolazione sembra stabile, ma in realtà si tratta di una compensazione demografica determinata dall’immigrazione. Nuove persone significano nuovi matrimoni, nuovi pannolini, nuovi tubetti di dentifricio, nuovi quaderni per la scuola, nuove necessità, A meno di grandi rivoluzioni tecnologiche, una popolazione che decresce determina una economia che si contrae, e non necessariamente ciò rappresenta qualcosa di negativo. Prepariamoci alla decrescita, tanto per citare il titolo di un testo di Luca Mercalli. Infatti è un anacronismo volere far crescere la popolazione per far crescere l’economia. Corrisponde a un altro caso in cui si confondono i mezzi con le finalità”.
La tua analisi della realtà, stretta tra catena di produzione e ciclo di vita di un prodotto mi ha ricordato una vecchia poesia di Gianni Rodari che parlava di un bambino intento a descrivere una mucca pur non avendone mai vista una. La descrizione diventava paradossale. Oggi i supermercati, le catene di distribuzione di alimentari, sono l’ultimo anello di una catena produttiva che nasconde tutto il resto. È questo il vero volto della post-umanità?
“Il supermercato è un luogo tipico della post-umanità. Però bisogna fare chiarezza. In primo luogo il discorso che faccio non è una critica ma un dato di fatto. Entriamo nei supermercati, afferriamo dei contenitori di plastica e cartone e questa immediatezza nel procacciamento del cibo è diventata sempre più inconsapevole. Sappiamo quello che mangiamo perché c’è un’etichetta che ci ‘informa’ sul contenuto. Per gli ultimi 20.000 anni della storia dell’umanità, se avevi intenzione di mangiare dovevi darti da fare e coltivare con le tue mani. Post-umanità fa riferimento a questa fase di smarrimento del legame con l’ambiente e con lo spazio. L’augurio è che questa sia solo una fase di transizione e che oggi si stiano formando generazioni di bambini che prima o poi inizieranno a porsi una serie di domande sulla propria esistenza e sulla propria relazione con l’ambiente. Questo segnerà la fine della post-umanità e contestualmente l’inizio della neo-umanità”.
Questa affermazione, bene augurante per il futuro, lascia trasparire che le nuove generazioni, opereranno necessariamente una inversione di tendenza nei rapporti con il proprio spazio. Dovrà esserci, sottolinea infine Giancarlo Macchi Janica, un cambiamento di relazioni perché, come il libro pone in chiara evidenza, il mondo contemporaneo è immerso in tante e tali macroscopiche incongruenze per cui si è arrivati al culmine della sostenibilità. Il cambiamento non è un augurio ma un obiettivo da centrare, oggi più di ieri, la specie umana dovrà procedere in armonia con l’ecosistema terrestre se non vuole autodistruggersi.
“Geografia del post-umano”, disponibile in libreria e su molti siti di distribuzione internet, è un libro di grande efficacia narrativa e ci consente, con la lucida dialettica dello studioso, di riflettere sulla nostra civiltà, le nostre conquiste, i nostri disagi, ed il complesso dei rapporti tra l’uomo e il proprio spazio vitale.