Pisa – La Giornata Internazionale dell’ONU per la Riduzione dei Disastri si celebra Il 13 Ottobre di ogni anno ormai dal 1989 e quest’anno cade a pochi giorni dal disastro di Genova. L’ennesima alluvione che ha colpito la città ligure in pochi anni, con il consueto epilogo di morti e feriti, danni, disperazione. Una catastrofe conseguenza delle alterazioni climatiche – una bomba d’acqua come ormai siamo abituati a vederne da alcuni anni, poche settimane fa anche Firenze ha vissuto ore di paura per una precipitazione analoga – che si abbatte su una città fragile ed esposta per la forte urbanizzazione. Ma quel che è peggio è che si abbatte su un inesistente sistema di gestione del territorio e di difesa del suolo, tanto che dopo l’alluvione del 2011 niente era stato fatto per “ridurre” il rischio di disastro, e non erano stati nemmeno spesi i 35 milioni di euro assegnati per le opere di messa in sicurezza delle aree a rischio, a causa di ritardi e contenziosi burocratici al TAR.
I disastri derivanti dal rischio idraulico sono i più seri, frequenti e distruttivi nel nostro Paese, e occorrerebbe sfruttare la Giornata indetta dall’ONU per una riflessione seria e concreta sulle politiche per il settore. “L’esposizione alle catastrofi supera la capacità di resistervi. […] Ridurre il rischio delle calamità deve essere una preoccupazione quotidiana per ciascuno di noi. Dobbiamo investire oggi per un domani più sicuro.” Con queste parole il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon esortava ad un impegno più diretto le comunità locali.
La cosa sulla quale riflettere e che più sorprende in Italia, paese morfologicamente e strutturalmente fragile dal punto di vista idrogeologico, è che non esiste un soggetto deputato alla manutenzione del territorio e dei corsi d’acqua, dotato di competenze, capacità operativa e di spesa autonoma. Esistono soggetti così per le ferrovie (RFI), per le strade (Anas, Autostrade), la rete elettrica (Terna), la rete gas (Snam rete gas), gli acquedotti (gestori idrici), ma non per fiumi, pendici, ruscelli e canali. In questo mondo si sovrappongono una miriade di soggetti: comuni, province, regioni, stato, genio civile, autorità di bacino, consorzi irrigui e di bonifica, comunità montane. Tutti soggetti, da soli, deboli e senza capacità di spesa autonoma per le opere di manutenzione ordinaria e straordinaria. Se crolla un traliccio, si rompe un acquedotto o crolla un ponte si sa subito chi è il soggetto competente; nella difesa del suolo non è così, le responsabilità vengono rimpallate e non si spendono i soldi per questioni burocratiche come per Genova ha ammesso, nelle ore successive al disastro, il Ministro dell’Ambiente.
Allora la prima cosa da fare per “ridurre” il rischio idraulico e i disastri conseguenti è trasferire le competenze oggi frammentate ad un unico soggetto con autonomia di spesa, chiudendo tutto gli altri centri operativi. Un soggetto competente, capace di fare manutenzione e investimenti, responsabile del progetto nazionale di messa in sicurezza del Paese, dotato di un finanziamento stabile, fosse anche solo garantendo gli attuali flussi finanziari pubblici o privati (tassa di bonifica) oggi sparpagliati in mille rivoli.
Se il territorio e il reticolo idrografico sono la nostra infrastruttura più importante e delicata, ne consegue che per gestirla ci deve essere un soggetto chiaro e operativo (ed unico) come per le altre infrastrutture. Il Governo Renzi ha avviato la riforma del settore “difesa del suolo” istituendo uno specifico ufficio presso la Presidenza del Consiglio. La cosa da fare ora è la riforma e la definizione di chi gestisce le nostre più importanti infrastrutture e con quali soldi.
Altrimenti i disastri non si ridurranno, bensì aumenteranno.
Alfredo De Girolamo @degirolamoa
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