Il piano annunciato a Washington da Trump, durante il vertice con Netanyahu, di “svuotare” Gaza, “evacuare” due milioni di palestinesi, per farla diventare la “Riviera del Medio Oriente” è parte di un disegno geopolitico. Dove il problema del disastro umanitario è traslato nella categoria degli affari. Del resto è lo stesso premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha giudicarlo una soluzione innovativa, diversa, allettante, “che potrebbe cambiare la storia”. In realtà sa molto di una spartizione poco logica, come avvenne negli anni ‘20 dello scorso secolo quando francesi e inglesi, sulle ceneri dell’Impero ottomano, disegnarono con riga e squadra il Medio Oriente. Da allora, ci ricorda lo storico David Fromkin, in “Una pace senza pace”, non ci sarà mai più stata pace nella regione. Vedremo come evolverà, intanto l’ipotesi trumpiana è stata respinta dai paesi arabi, e principali alleati degli USA. Attori protagonisti che non sono disposti a trattare ne il temporaneo e volontario trasferimento dei gazawi, ne tantomeno la loro deportazione o sfollamento fuori dalla Striscia.
Comunque, se Donald Trump voleva stupire dicendo qualcosa senza senso, moralmente criticabile e persino folle, ha colto pienamente nel segno.
L’altro aspetto saliente che possiamo cogliere dall’incontro è che ha ristabilito i rapporti di potere nel binomio con Netanyahu. Ora i due sono sempre più il gatto e la volpe, l’imperatore del mondo occidentale e l’etnarca di Gerusalemme. L’inquilino della Casa Bianca e quello della più modesta residenza in Balfour street. Ecco che tornano protagonisti, indiscussi, del destino del popolo palestinese e delle sorti dell’area. L’ultima volta che si erano visti è stato lo scorso luglio a Mar-a-Lago. In piena guerra, e con le presidenziali statunitensi alla porta, Trump ripeteva che gli elettori ebrei che votano per i democratici “dovrebbero farsi esaminare la testa”.
L’incontro in Florida, e poi da dicembre l’assidua frequenza di Sara alla corte di Trump a Miami, hanno saldato il patto tra i due leader nazionalpopulisti. Tra i due è sbocciato l’idillio dopo il voltafaccia di Bibi all’arrivo di Biden, che non era stato apprezzato da Trump: “La prima persona che si è congratulata con [Biden] è stata Bibi Netanyahu, l’uomo per cui ho fatto più di qualsiasi altra persona… Bibi avrebbe potuto stare zitto”. “Da allora non ho più parlato con lui. Che si fotta”. Erode il Grande d’altronde dovette implorare il perdono di Augusto, dopo averlo tradito per Antonio. La clemenza di Trump verso Bibi, come fu quella del principe di Roma con il re della Giudea, è garanzia di legittimità al potere. Quando Trump ad inizio anno pressava stretto Bibi ad accettare l’accordo con Hamas “casualmente” ha postato sui social il video dell’economista Jeffrey Sachs, il quale accusa Netanyahu di manipolare la politica estera degli Stati Uniti, di orchestrare “guerre senza fine” in Medio Oriente e di essere un “oscuro figlio di puttana”. Beh, se serviva andare giù pesante per convincere il primo ministro israeliano, Trump l’ha fatto. Comunque, in passato Netanyahu ha ottenuto molto in termini diplomatici: il riconoscimento della sovranità israeliana sulle alture del Golan, il sostegno agli accordi di Abramo con gli Stati del Golfo e lo spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme.
Adesso re Bibi il Grande si è messo a disposizione così da avanzare pretese sia sul nodo iraniano con la potenziale evoluzione in un nuovo conflitto nella regione, quanto la sempiterna questione del via libera all’annessione di territori palestinesi, tanto a Gaza oggi, quanto in Cisgiordania domani. Durante la conferenza stampa alla Casa Bianca, che ha suscitato un vespaio di reazioni internazionali, Bibi è apparso con un volto sorpreso, quasi incredulo, mentre il tycoon annunciava la mastodontica operazione immobiliare sulle macerie di Gaza, evitando di spiegare i dettagli. Netanyahu in teoria era volato negli USA con la missione di ottenere un “semplice” via libera a ritardare l’implementazione dell’accordo di tregua e in caso riprendere la guerra. Dietro a tale mossa anche ragioni di politica interna e tenuta del suo esecutivo. Invece, si è visto scavalcato da Trump, dal quale ha ottenuto (forse) più di quello che sperava.
A questo punto in gioco l’accordo di tregua a Gaza, una partita che Bibi vorrebbe giocare a modo suo e nei tempi da lui stabiliti, togliendosi l’assillo dei militari e dei servizi segreti a mettere quello che lui considera un bastone fra le ruote. In ordine: ha silurato il ministro della Difesa Gallant, ha ricevuto le dimissioni del capo di stato maggiore dell’esercito Herzi Halevi, e da tempo valuta la possibilità di rimuovere i vertici dello Shin Bet e del Mossad.
Inseriti gli uomini chiave in ciascuna casella capiremo qual è il vero obiettivo di Netanyahu e se riuscirà a tenersi stretta la sua maggioranza alla Knesset, unico e vero suo obiettivo, evitando il voto anticipato.
Alfredo De Girolamo Enrico Catassi
In foto Benjamin Netanyahu