Walter Ganapini , tra i fondatori di Legambiente ed ex presidente di Greenpeace Italia, è stato assessore all’Ambiente della Regione Campania tra il 2008 e il 2010, in piena emergenza rifiuti. Qualche giorno fa la Corte dei Conti l’ha condannato a risarcire un milione di euro alla Regione per non aver riscosso delle multe per irregolarità ambientali formalizzate in 1023 verbali tra il 2002 e il 2005. Una «sentenza paradossale», spiega Ganapini al Corriere del Mezzogiorno.
La accusano di non aver fatto riscuotere le sanzioni dovute alla Regione dai gestori dei depuratori e dai titolari degli scarichi abusivi. Come commenta?
La sentenza in sé è paradossale. Non mi viene un termine diverso. Il motivo è semplice: la legge Bassanini attribuisce la gestione delle sanzioni amministrative al dirigente pubblico, che opera direttamente. La materia quindi non arriva mai sul tavolo dell’assessore. Ma comunque, sapendo di arrivare in una regione con problemi, chiesi immediatamente al direttore del mio assessorato di fare subito una verifica su tutti i procedimenti amministrativi, sia in tema di acque che di rifiuti. Mi rispose che i procedimenti risultavano sotto controllo. Il Consiglio di Stato quindi sono certo ripristinerà il senso della legge. Mi sento oggetto di un’attenzione un po’ particolare. Ho sempre lavorato direttamente a contatto con la procura di Napoli e di Santa Maria Capua Vetere, e relazionato alla Dda quando c’era ancora il dottor Cafiero De Raho.
Qual è quindi il punto secondo lei?
Vengo citato negli atti della Corte dei Conti in poche righe per una «omissione in vigilando» sulle sanzioni, che io rigetto totalmente. Lottai sette o otto mesi affinché il dirigente responsabile delle acque si dimettesse, e fui io a sostituirlo con l’ing. Fontana, che secondo la Corte dei Conti stessa ha poi ripristinato la procedura. Si poteva fare di più? Può darsi. Ma io credo di essere stato proprio quello che ha fatto di più: sono arrivato a intervenire pesantemente per cambiare i vertici dell’Arpac che ancora non si occupavano di questi temi. Dichiarai persino: “Non mi bagnerei nel golfo di Napoli”, ed è facile capire cosa comporta dire una cosa del genere per uno che fa l’assessore regionale all’Ambiente.
Quando è arrivato in Campania quale situazione ha trovato?
L’assessorato all’Ambiente aveva 600 dipendenti. Una struttura bizzarra, che veniva da 15 anni di emergenza. Nel campo specifico dei rifiuti – che è il motivo per cui arrivai a Napoli – non c’era nessuno che ne sapesse qualcosa. E c’era un blocco totale delle pratiche in un altro settore strategico, quello delle Via (la Valutazione di impatto ambientale, ndr) per cui c’erano oltre 4mila pratiche ferme: un ostacolo pesantissimo per l’economia campana. In un anno e qualche mese s’è cercato di fare tutto quello che si poteva. Avevamo tutti i terreni d’interesse coperti da commissari terzi. Riuscimmo comunque far sì che oltre 400 comuni sui 551 della Campania passassero alla raccolta differenziata. Quando venni via, al 31 dicembre 2009, facevano il 29% di differenziata e superavano quella della Toscana.
Che rapporto ha avuto con i commissari all’emergenza?
Io e Gianni De Gennaro ci mettemmo la faccia insieme, nella prima missione della commissione Ue, per spiegare su cosa stavamo lavorando. Elaborai una pianificazione della gestione dei rifiuti, che alla fine – di fatto – mi venne impedito di portare a Bruxelles. La situazione era ben chiara alla commissione europea: la regione Campania produceva 5550 tonnellate di rifiuti, e c’erano otto impianti tedeschi di selezione dei rifiuti con una capacità di 8550 tonnellate. Quindi si potevano persino importare 3mila tonnellate di rifiuti.
Dov’era l’emergenza?
Ma con il commissariamento si pose un unico tema: quello dei cinque inceneritori da realizzare in Campania. In particolare mi colpiva quello di Santa Maria Della Fossa, impianto che mi risultò sempre incomprensibile fino a che lessi le dichiarazioni del pentito Vassallo: diceva che quell’inceneritore era roba degli Schiavone. Mi colpiva molto che si continuasse a metterlo in ordinanze e decreti.
Le sono arrivati messaggi «particolari» quando era assessore?
Ho subito almeno due aggressioni. Una da quattro persone con il casco integrale su due moto, in una via divenuta improvvisamente deserta, mentre andavo nel bed & breakfast che mi ospitava. E anche uno strano tamponamento in autostrada. Mi capitò di arrivare involontariamente, facendo un sopralluogo, in località Parco Saurino: a Parco Saurino 3, nel sito della Baschi – che poi Maurizio Torrealta evidenziò significare Bardellino-Schiavone – trovai una discarica completamente vuota, strutturata, pronta, con tanto di vasca del percolato e mai utilizzata. Da lì cominciai a porre il tema: perché allora abbiamo fatto l’emergenza rifiuti in Campania? Perché siamo finiti su tutti i giornali?
Lei è stato assessore all’ambiente anche nella Milano sommersa dai rifiuti nel ’95. Come fu quell’esperienza rispetto a quella di Napoli?
La sete di un ambiente pulito e sano è la stessa che c’era nella Milano di allora. A questo però deve corrispondere il ripristino con forza dei principi di legalità. Cominciando a recidere situazioni note e gestite con efficacia dalla Dda di Napoli e dalla procura di Santa Maria Capua Vetere. Quello che funzionò a Milano allora fu, accanto a una forte volontà politica, la risposta industriale anche dei privati. In Campania ce la si può fare a uscire dall’emergenza. A Milano, nel ’96 ce la facemmo, contro un’emergenza rifiuti altrettanto inventata, e si sconfissero interessi potenti. Anche lì ci furono code di vendetta, ma finirono nel nulla.