Firenze – Due approcci diversi significativi delle differenze che separano l’Europa dalla nuova amministrazione americana. Uno è quello americano espressa dall’ambasciatore Bruce Wharton che ha rappresentato Washington al summit del G7 sulla cultura di Firenze, la seconda difesa soprattutto da Maria Böhmer, il ministro aggiunto agli Affari Esteri della Germania.
Durante la tavola rotonda alla quale ha partecipato un rappresentante delle più alte istituzioni culturale per ciascuno dei sette Paesi più industrializzati, Wharton ha sottolineato come la diplomazia culturale possa aprire la strada ad altro rapporti soprattutto economici e come sarebbe bene che le istituzioni culturali si autofinanziassero per essere più indipendenti e dunque più creativi.
L’attenzione di Maria Boehmer è invece più concentrata sul problema del dialogo culturale e della conoscenza reciproca che parte all’interno dei singoli Stati come la Germania che è tra i paesi più aperti nei confronti dell’accoglienza dei rifugiati: “Più che il termine di società multiculturale, mi piace usare quello della società plurale”, ha precisato a Stamp. E’ da qui che maturano le esperienze che servono anche per affrontare il dialogo internazionale che punta ad approfondire il confronto fra le diverse culture.
Un’impostazione che è stata sviluppata nel dibattito fra gli intellettuali europei da Shermin Langhoff, pioniera del teatro port-migrazione, direttrice dal 2013 del Teatro Maxim Gorki di Berlino. Shermin ha mostrato il trailer di un’opera teatrale “Common Ground” (terreno comune) nella quale cinque attori che da bambini sono fuggiti dalla guerra dei Balcani con i genitori. Ora sono diventati attori di lingua tedesca e raccontano la loro storia secondo i punti di vista diversi. “Vogliamo rafforzare la coesione di una società che crescerà in questo modo – ha detto – Sviluppo il mio sguardo soggettivo su questi mondi, prendo atto che abbiamo idee diverse , poi negoziamo e troviamo un terreno comune”.
Se questa è la strada, allora non si pone il dilemma se lo Stato debba o no mettere a disposizione risorse perché esse finanziano una strategia politica sociale di primaria importanza per la crescita di una pacifica società democratica. I governi sono dunque sollecitati a “salvaguardare gli spazi liberi dell’arte alternativa nazionale”.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Serge Lasvignes, direttore del Centre Pompidou di Parigi in prima linea sul fronte della cooperazione internazionale: “Dialogo culturale non vuol dire cancellare le differenze ma valorizzarle, sottolinearne le specificità – ha detto – bisogna invertire le gerarchie culturali e andare a studiare qual è la logica delle altre culture”. Così si intercettano i fili che collegano le diverse culture e si possono far cadere le chiusure fra di loro.
Foto: la rappresentante giapponese Yuko Hasegawa direttrice Museo di arte contemporanea di Tokyo