Fusione nucleare: dagli Usa una promessa per il futuro

Ci vorranno cinquanta anni per la messa in opera di una centrale
epa10363516 US Secretary of Energy Jennifer Granholm participates in the announcement of a major scientific breakthrough in fusion energy by researchers at National Nuclear Security Administration’s (NNSA) Lawrence Livermore National Laboratory, at the Department of Energy in Washington, DC, USA, 13 December 2022. EPA/MICHAEL REYNOLDS

L’Ansa di Martedi 13 alle 16.18 annuncia la “svolta storica” dagli Usa sulla fusione nucleare. Già i giornali quotidiani sono pieni di titoli che inneggiano alla “svolta”. Per cui nulla di nuovo. Che svolta sia. Almeno a livello comunicativo è passata così.

Ma di cosa si tratta in verità. Più che di una svolta si tratta di un “segnale positivo” in una “marcia di avvicinamento” verso un obiettivo stabilito da tempo. La fusione nucleare è l’obiettivo dei prossimi trent’anni. Forse cinquanta se si intende la messa in opera commerciale di una centrale. Il risultato di questi giorni è un “primo passo” verso il raggiungimento di quell’obiettivo. Nessuna svolta, anzi un incentivo a continuare la ricerca e lo sviluppo tecnologico in questo campo.

Le due tecnologie che si stanno cimentando in questa fase della ricerca sono la fusione a confinamento magnetico e quella a confinamento inerziale. Inutile cercare di addentrarsi, per noi profani e per chi, altrettanto profano ci legge, in un tentativo di approfondimento scientifico dei due sistemi tecnologici.  Si può solo rilevare, come elemento interessante, che la prima tecnologia vede tutti i paesi avanzati interagire in uno sforzo collettivo con il progetto ITER che si sta realizzando in Francia a Cadarache con un prototipo di centrale sperimentale che darà risultati, si spera, nei prossimi dieci anni. La seconda tecnologia è invece sviluppata da singoli Stati, con gli Usa in testa, in maniera isolata non collettiva in quanto ha legami chiari e specifici con la ricerca in campo militare. Ma ambedue le “sperimentazioni” convergono nel dare al mondo e alla scienza materiali, intuizioni e risultati utili al raggiungimento dell’obiettivo della produzione di energia a mezzo di  fusione nucleare.

In questo caso il risultato raggiunto è da ascrivere alla tecnologia a confinamento inerziale, sviluppata in casa Usa, per mezzo dell’ausilio di  tecnologia laser. Un risultato interessante che non indica però, come detto in precedenza, alcuna svolta e che non taglia fuori gli sforzi che si stanno producendo sia in termini di ricerca che di applicazione prototipale (il progetto ITER) dai “followers” della tecnologia alternativa a confinamento magnetico.

Ma il risultato in cosa consiste? Consiste nella possibilità, tipica di ogni tecnologia applicativa nel campo della produzione energetica, di realizzare un sistema e una procedura che produce più energia di quanta ne consuma  per sostenere il processo. E in questo caso, pur parlando di quantità veramente limitate, il processo ha prodotto energia pari a una volta e mezzo di quella immessa nel processo. Siamo di fronte a moltiplicatori di bassa entità e a valori assoluti appena apprezzabili. Ma il segnale è positivo. Il risultato raggiunto ci dice che occorre andare avanti e che la prospettiva esiste ed è raggiungibile su moltiplicatori più elevati e su livelli produttivi di più ampia dimensione.

E allora? Che ci viene da questo risultato raggiunto? Nulla di più di una promessa apprezzabile per il futuro. La fusione diventerà, a meno di “strappi” scientifici e tecnologici oggi non prevedibili ma sempre possibili nel percorso scientifico, una tecnologia effettivamente sfruttabile nella seconda metà di questo secolo. E aprirà un campo oggi neppure prevedibile per le prossime generazioni a fronte di energia ad alta disponibilità e a costi fortemente decrescenti. Ci sarà una società energeticamente ricca. Con possibilità di vita oggi neppure pensabili. Ma cosa fare da oggi al 2070?

Gli esperti che abbiamo intervistato nel webinar proposto dalla Fondazione Earth and Water Agenda su questo tema, e cioè Giuseppe Zollino dell’Università di Padova e Marco Ripani dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, ci hanno confermato che se vogliamo tenere assieme la “decarbonizzazione” e “lo sviluppo sostenibile” nei prossimi trenta/cinquanta anni, prima dell’avvento della fusione nucleare, dobbiamo rivolgerci alla energia nucleare da fissione.

Una energia che oggi è producibile con tecnologie innovative, con sistemi di sicurezza più avanzati e con il trattamento delle scorie più adeguato alla sicurezza dei territori e alla salute delle popolazioni. E’ una energia che non può mancare nel mix delle energie rinnovabili e a basso impatto sull’ambiente e sulla produzione di gas climalteranti pena l’abbattimento dello sviluppo mondiale e della crescita dei sistemi economici e sociali che hanno meno disponibilità energetiche.

Le centrali a fissione possono rappresentare nei prossimi cinquanta anni un “ponte” per il passaggio da un mondo energetico fondato sui combustibili fossili ad uno fondato sull’energia da fusione nucleare abbondante e a basso costo.

Altre strade sembrano impraticabili. E prima il mondo, ed in particolare l’Europa e l’Italia, se ne rendono conto e meglio è. I prossimi cinquant’anni senza energia nucleare rischiano di far arretrare il mondo dagli attuali livelli di qualità di vita e da quelli auspicati, in crescita qualitativa e quantitativa, dalle diverse comunità mondiali.  Peraltro in un sistema globale di crescita demografica oltre i 9 miliardi di popolazione che richiederà senz’altro più energia, più cibo e più acqua. La penuria energetica rischierebbe di riportare indietro il mondo con l’innesco di conflitti crescenti. E’ una evenienza che deve essere scongiurata.

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