È recente, alla stampa per l’occasione, I poeti del novecento. Nel centenario della nascita di Franco Fortini, a quarant’anni dalla prima edizione, questa antologia da lui curata ci porta nuovamente a posare il pensiero e l’amore su questo immenso poeta toscano, sui testi in cui compare in veste di saggista e critico letterario. Ogni poeta viene salvato dalla morbosa necessità della critica di inserirlo in linee di tendenza. Fortini ne comprende l’unicità del progetto artistico proposto. Evidenzia le dinamiche profonde che hanno segnato le pluralità delle voci poetiche del secolo scorso.
Come negli altri secoli, anche il XX non coincide nella storia di gruppi di artisti e il loro inserimento in tendenze. Al contrario si compone della coerenza di ciascun poeta tra il suo programma letterario e la specifica personale attuazione. Il risultato infatti non è una temporale linea evolutiva della poesia novecentesca, anzi è piuttosto un insieme di tracciati interrotti, di possibilità quasi mai terminate nel loro sviluppo e a tratti riprese da altri poeti perché sempre riaffioranti, come sorgenti carsiche. Il Fortini poeta assume per noi invece il significato di esperienza vissuta, martirio dell’umanesimo, e anche opposizione, alternativa, utopia. È l’insegnamento di un uomo divenuto professore, artista, traduttore, comunque testimone antiborghese e anticonformista dei nostri tempi. Sebbene il linguaggio lo rendesse membro della classe dei colti, e la poesia nascesse come senso di colpa, perché irrazionale emozionale, pazzia letteraria, tuttavia in opposizione convive in Fortini il rigore moralistico del “marxismo critico”, professato con coerenza fin dal dopoguerra.
Se volessi un’altra volta
Se volessi un’altra volta queste minime parole
sulla carta allineare, (sulla carta che non duole)
il dolore che le ossa già comportano
si farebbe troppo acuto, troppo simile all’acuto
degli uccelli che al mattino tutto chiuso, tutto muto
sull’altissima magnolia si contendono.
Ecco scrivo, cari piccoli. Non ho tendine né osso
che non dica in nota acuta <<Più non posso>>
Grande fosforo imperiale, farne cenere.
Ma con la poesia l’uomo trova un’urgente modalità di liberare una straordinaria forza di tensione compagna spesso della disperazione, il merito di esercitare una capacità di lettura anticipatrice, di interpretazione premonitrice che coglie e ci regala, come lui stesso segnala << qualcosa di decisivo per il significato di questo presente>>.