Rovesciate, numeri d’alta scuola, gol a grappoli. Si portava le mani alle orecchie, il Pibe di Campi Bisenzio, per sentire meglio, dopo una rete, il ruggito della folla che lo acclamava. Segnava a ripetizione, quel ragazzo che – anche secondo la Curva Fiesole del ‘93 – giocava bene: 112 centri ne facevano il terzo marcatore di sempre della Sampdoria, dopo Vialli e Mancini (avessi detto Santiago Silva e Ljajic). Aveva tutto, “Ciccio”: classe, soldi, celebrità, una bella famiglia e – prendendo spunto da una canzone di Paolo Conte, dedicata proprio alla città in cui si è imposto come calciatore – una faccia un po’ così, un’espressione un po’ così a metà tra il discolo e il bravo ragazzo, che gli faceva guadagnare la simpatia del mondo del calcio. Poi, la caduta manzoniana: dall’altare alla polvere. Positivo all’antidoping. Cocaina. 24 mesi di squalifica. La voglia di ricominciare. Gli allenamenti tra i dilettanti del Marina di Pietrasanta. I rimpianti. L’amarezza. Il dolore. Lo stress di chi è tenuto con la forza lontano dalla sua vita, il pallone. Poi un nuovo inizio con Empoli e Brescia. La favola del bambino fenomeno della Scuola Calcio Isolotto – quello che a dodici anni attirava l’attenzione di club come Fiorentina e Napoli – che sembra ricominciare, pare avere sviluppi disneyani. Ma – per usare una frase di polistirolo – la vita non è un film, spesso è amara e piena di delusioni. Un altro controllo antidoping nel 2009, a distanza di due anni dal primo fatale errore. Ancora positivo alla cocaina. Recidivo. 12 anni di squalifica la sentenza. Una condanna a morte calcistica.
“Quando una persona sbaglia è giusto che paghi – ci dice Francesco Flachi –, ma non due anni, come nel mio primo caso. Un uomo che commette un errore va anche aiutato, non solo punito. Un giocatore può prendersi pure una squalifica ma va comunque sostenuto. E’ meglio fargli fare lavori socialmente utili che non farlo giocare, questo almeno è quello che penso”. Francesco Flachi, adesso, è lontano da quel brutto periodo. Si presenta cordialmente, dà confidenza, è una persona alla mano. Mentre ci parla si raggomitola le maniche della camicia e mostra inconsciamente gli avambracci pieni di tatuaggi; la sua pelle è segnata dall’inchiostro come la sua vita è stata segnata dalle esperienze, sia positive che negative. Oggi Francesco gestisce Panino di categoria insieme al padre Giampaolo e alla mamma Silva, un locale dove – difficile pensare il contrario vista la cabala – si mangiano schiacciatine e primi da 10. “Mi diverto un casino con questa nuova attività – ci racconta Flachi. Stare in mezzo alla gente per me è bellissimo. Amo essere a contatto con le persone, perché sono un genuino e una cosa di cui mi vanto è non aver mai cambiato il mio atteggiamento anche quando le cose andavano bene nel calcio ed ero pieno di ‘amici’”. Proprio mentre stava a contatto con la gente è nata la conoscenza con Andrea Del Lungo, presidente e bomber del Castello Huelva, squadra di calcio a 7 che milita nel Torneo Midland. “L’anno scorso ci siamo laureati campioni provinciali ed io ho dato il mio contributo con 41 reti in stagione – ci dice Del Lungo. Poi purtroppo mi sono infortunato, la squadra aveva bisogno di un sostituto all’altezza e così…”.
E così Flachi, senza nemmeno insistere troppo, è diventato il numero 10 del Castello Huelva ed è regolarmente tesserato. “Quando i ragazzi che frequentavano il locale mi hanno offerto questa possibilità ho accettato – ci spiega Francesco. Loro non se lo aspettavano e sono rimasti contenti. Devo dire che mi sono molto divertito. Ho trovato una squadra piena di buoni giocatori e, nonostante il freddo, ho iniziato bene l’avventura vincendo all’esordio 11 a 1 (poker di reti per lui, ndr) contro i primi in classifica. E’ stata una grande serata e le belle parole di questi ragazzi nei miei confronti mi hanno fatto davvero piacere”. “Flachi è un campione sia fuori che dentro il campo – afferma Del Lungo. E’ veramente una persona molto umile. Con noi scherza negli spogliatoi, si ride e si chiacchiera, partono sketch su sketch. Ha mandato in estasi i nostri ultras e per i ragazzi è un onore giocarci insieme”. Un onore per i giocatori dello Huelva, ma anche per gli avversari, che grazie all’ok del Presidente del Midland Luca Maré, si trovano a cimentarsi con un fuoriclasse di altra categoria. Da Toldo a Paolo Briganti – studente universitario. Da Batistuta a Marco Mazzarrini – rappresentante. Da Bazzani ad Alessandro Mignani – impiegato. Da Rui Costa a Matteo Bianchini – operaio. Il salto è di quelli mortali, almeno a livello calcistico (tranne forse per il Bidone d’Oro Bazzani), ma non per Francesco. “Nella mia carriera probabilmente ho raccolto qualcosa in meno rispetto alle mie potenzialità, perché fondamentalmente non sono un ruffiano. Sono sempre stato la solita persona, ho sempre frequentato i soliti amici, quelli veri. Non mi è mai interessato fino in fondo essere al top, preferisco avere l’affetto e la riconoscenza delle persone a cui voglio bene.
Il calcio per me è sempre stato prima di tutto un gioco. Anche nella Fiorentina avrei voluto essere il ‘Francesco Totti viola’, ma non è andata così e allora rimango un semplice tifoso”. Già. Francesco Totti. Ma anche Alessandro Del Piero. Christian Vieri. Marco Di Vaio. Vincenzo Montella. Filippo Inzaghi. Tanti fenomeni nati negli anni ’70, che hanno chiuso Francesco in Nazionale. Eppure… “In Under 21 sembravo essere io quello più promettente, ma rispetto a questi grandi campioni mi è mancata la mentalità giusta, la concentrazione massima, la maturazione per arrivare a certi livelli. Lippi, nel 2004, mi aveva anche convocato e per questo gli devo dire grazie. Poi però, nell’anno dei 14 gol, non mi considerò e vedevo convocare gente come Coppola del Messina. Poco tempo dopo scoppiò Calciopoli. Lì ho capito diverse cose. Forse non dipendeva solo da me, il mio futuro in azzurro”. Impossibile non chiedergli qualcosa sui suoi anni giovanili, quando giravano tante voci infondate sul suo conto, e quando Francesco pagava pure – in termini di immagine – una dichiarazione di apprezzamento su Ricky Le Roy, DJ di musica techno in tempi in cui la musica techno veniva automaticamente collegata al consumo di ecstasy: “Un giornalista mi chiese quale fosse il mio idolo – risponde Flachi – e io dissi Ricky Le Roy, ma senza alcuna intenzione di fare ‘il fenomeno’ o quello ‘irriverente’. Ero un ragazzino, un ragazzino impulsivo e risposi così. Ma in carriera sono sempre stato un professionista ed il resto sono solo bugie. Non sono mai uscito fuori la sera prima di una partita. Mai saltato un allenamento perché non ero in condizioni presentabili per andare al campo di gioco”. Arriviamo ad una domanda non troppo originale, che tanti giornalisti – forse troppi – gli hanno fatto. “Per la squalifica c’è poco da dire. Ho sbagliato ed ho pagato. Più si va avanti, però, è più vengono fuori cose nel mondo del calcio che sono peggiori, ad esempio quest’ultima delle scommesse. Per l’uso di cocaina ho pagato sulla mia vita. Ho perso la possibilità di fare il lavoro che mi è sempre piaciuto. Ho perso – e questo è un grande rimpianto – la possibilità di giocare per dei tifosi straordinari come quelli della Samp. Ho fatto male a me stesso, ma soprattutto a mia moglie Valentina, alla mia famiglia. A loro ho chiesto scusa e a nessun altro. Sono stati importantissimi, fondamentali per riprendermi. Quando le cose girano hai tanta gente intorno, poi quando va male ti rendi conto veramente di chi tiene a te”. A proposito di questo. Il mondo del calcio dopo la squalifica definitiva del 2009, come si è comportato? “Una persona a cui sono legatissimo nel calcio è Walter Novellino. Un grande”. E in negativo, hai qualche sassolino da toglierti dalla scarpa? “Lasciamo perdere”.
Nemmeno un commento sull’attuale DG della Juve Marotta, tuo direttore ai tempi della Samp? Flachi sorride e fa un “augurio” a Beppe Marotta. Impossibile trascrivere l’auspicio, ma non si tratta certo di una dedica zuccherosa. E’ arrivato il momento di salutarci. Francesco fa la borsa per andare a giocare a calcetto con gli amici. Non ci sono più Manuel Rui Costa o Angelo Palombo ad aspettarlo negli spogliatoi, ma bensì i difensori Bruni e Crisafulli, i centrocampisti Basteri e Raugei; gli attaccanti Innocenti e Flavio Falcone; e il leader e capitano della squadra Delio Falcone. Tutti pronti per assistere a qualche magia, a qualche colpo di biliardo che puntualmente arriva, perché il talento nessuno può portartelo via. Questo è nel 2012 Francesco Flachi. Un lavoratore, un figlio, un marito, un padre affettuoso per Benedetta e Tommaso – “guardo i miei figli sempre negli occhi, è bello vederli crescere e se Tommy vorrà fare il calciatore di sicuro saprò dargli consigli importanti, visti i miei errori –, un ragazzo che ha giocato tanti anni in Serie A e che ora calca i sintetici del Midland. Con il sorriso sulle labbra di quando era solo il bimbo prodigio dell’Isolotto.
Foto: la squadra del Castello Huelva
Lorenzo Sarra