Fondazioni, Zogheri (CdR Pistoia e Pescia): “Agenti in ascolto del territorio”

Pistoia – Lorenzo Zogheri, stimato notaio pistoiese, dal 2020 è alla guida di uno degli istituti più cari alla cittadinanza, la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia. Lo abbiamo incontrato per un informale bilancio di inizio mandato, che le intemperanze della pandemia non sembrano aver scalfito: anzi.

“Valorizzare la comunità” è il titolo del suo programma di candidatura al ruolo che adesso ricopre: porta la data del 10 marzo 2020, e se letto oggi – con gli occhi del “senno di poi” conseguenti all’esperienza Covid – se ne apprezza ancor di più l’incisività propositiva con cui si pone verso la comunità. Non casualmente,  fa preciso riferimento all’articolo 118 comma 4 della nostra Costituzione, per il principio di sussidiarietà che ne deriva.

A seguito del PNRR e delle vicende successive, quanto avevo inserito nel programma è diventato un po’ la parte centrale – proprio dal punto di vista dello sviluppo – di quello che vedo come l’impegno della Fondazione nei prossimi anni, cioè cercare di sfruttare le risorse che dovranno arrivare, e che ci auguriamo ingenti, come supporto ai nostri finanziamenti per realizzare nel territorio le trasformazioni che possano assicurare lo sviluppo futuro.  Vogliamo pensare che possano avere un effetto leva, ovvero che siano strumentali per andarne a intercettare altre, ben più rilevanti. E cerchiamo di farlo essenzialmente aiutando i Comuni e tutti gli enti che dovranno partecipare ai nostri bandi, facendosi trovare pronti con le progettazioni che questi richiedono.

In questo si riassume il ruolo delle fondazioni di origine bancaria oggi, un’opinione che mi trova d’accordo con quanto dichiarato dal Presidente Mattarella nel suo discorso per la Giornata del risparmio, considerandole come ancora della democrazia per il loro un ruolo di “corpo intermedio”, in grado però di attivare tutte le energie che ci sono nelle rispettive comunità.

Rispetto alle attività che la fondazione ha sempre svolto, più orientate a fornire alla cittadinanza cultura diciamo a largo raggio, sembra che il rapporto si stia spostando verso il percorso che prevedeva, di intenzionale coinvolgimento nella vita di comunità. È così?

Sì è proprio un indirizzo che anche con Monica Preti, la nuova direttrice del polo museale, cerchiamo di portare avanti: si tratta di organizzare eventi culturali non tanto fini a se stessi – cosa comunque importante, perché hanno un ruolo di attrazione – ma come strumenti per stimolare la partecipazione attiva. Vogliamo, cioè, fare in modo che le persone vengano alle mostre, ma non per contare i biglietti venduti, bensì per sensibilizzarli e far loro percepire il valore che le iniziative culturali possono avere nel creare quei legami di comunità che sono fondamentali. Un evento culturale deve generare un valore condiviso. L’aspetto preponderante della filantropia oggi non è la beneficienza – che ci deve essere perché purtroppo ci sono situazioni nelle quali è utile e necessario intervenire – ma proprio lo stimolo alla cittadinanza attiva. La crescita – economica e culturale – che lavora sul senso civico, perché se nelle nostre città non esistono legami di comunità, il senso civico si ridurrebbe a cosa? Strade, palazzi, monumenti… dove si può intervenire per renderli il più belli possibile: però sarebbero senza vita. Bisogna lavorare simultaneamente.

Una caratteristica che si riconosce po’ in tutto il movimento delle Fondazioni, essere agenti del territorio nonostante il grande impegno organizzativo che ciò comporta, anche per le nostre strutture, che devono essere ripensate in virtù di questi nuovi obiettivi. In questo, l’ascolto è una delle cose più importanti: se ci pensiamo bene è un aspetto legato un po’ anche all’origine delle fondazioni stesse, chiamate ad amministrare un patrimonio che trova origine proprio nei valori delle comunità dove queste le banche da cui sono nate lavoravano, con le finalità filantropiche da perseguire secondo le richieste di quell’epoca.

A proposito di riforme, quella sul riordino del terzo settore come ha influito sul rapporto fra Fondazione e associazioni interessate?

Questo è stato uno dei primi interventi che abbiamo fatto lo scorso anno, nel nostro documento programmatico triennale. Innanzi tutto si parte dalla constatazione che le organizzazioni del terzo settore – proprio per mantenere quei legami di comunità che si diceva prima – sono essenziali, e la riprova si è avuta anche durante la pandemia: senza tante associazioni di volontariato che assicuravano servizi, la situazione sarebbe stata molto più drammatica. Abbiamo appurato – dopo aver compiuto una ricerca finalizzata a questo – che il nostro territorio si caratterizza per una grande presenza numerica di organizzazioni di volontariato, sia di carattere sociale che culturale. Tante, però separate l’una dall’altra, tutte con finalità meritevoli ma tutte – o quasi tutte – agiscono individualmente. E questo è un problema grosso. Si è anche accertato che in buona parte di queste associazioni mancano le competenze di ordine amministrativo e gestionale che il nuovo testo unico invece presuppone e vuole.

Di conseguenza abbiamo rimodulato il nostro bando, quello destinato alle associazioni del terzo settore, prevedendo – come requisito per accedere poi al finanziamento dell’iniziativa da sostenere – anche la partecipazione a un corso finalizzato a creare proprio le competenze, si potrebbe dire anche manageriali, all’interno delle organizzazioni. Un corso di capacitazione, utile a fare un ulteriore salto di qualità per capire l’impatto sul territorio dell’intervento, come del resto rientra nelle logiche dei bandi comunitari. Un altro degli obiettivi che ci poniamo è la creazione di sinergie che portino a generare una fondazione di comunità, spazio in cui si possa effettivamente realizzare un partenariato fra tutte le realtà che si occupano di questi temi, siano esse pubbliche o private, per avere la corretta individuazione dei bisogni del nostro territorio. Il welfare pubblico va calato nella realtà con la partecipazione di tutti, per individuare i bisogni presenti e prevedere i futuri, e poi co-progettare insieme l’intervento.

Cosa spinge una persona – e nello specifico Lorenzo Zogheri – a proporsi come presidente della Fondazione Caript?

È stato tutto molto casuale… ma prima di tutto voglio manifestare il mio ringraziamento a Luca Iozzelli, è per lui che sono qui. Prima mi chiese di far parte del consiglio di amministrazione, e quando – per motivi statutari non avrebbe potuto essere riconfermato nel mandato – chiese a me di farlo, convinto che avrei continuato il lavoro secondo il percorso progettato insieme. Ma oltre ad aver sempre condiviso in modo molto partecipato le iniziative portate avanti sotto il suo mandato, ho anche riflettuto – sulla base dell’esperienza fatta – che la fondazione può essere uno strumento per realizzare tante cose, buone. Quindi… è vero che sono molto impegnato anche con la mia professione, però mi dissi che siamo bravi a lamentarci, a incolpare gli altri per le cose che non vanno. Allora ho pensato che poteva essere per me l’occasione per portare anche io il mio contributo, limitatamente a quella che sarà la mia esperienza da qui al 2024, nel miglior modo possibile, perché ritengo sia proprio un dovere civico impegnarsi in una struttura fondamentale per lo sviluppo del nostro territorio. Ho validi collaboratori, insieme speriamo di avere le idee migliori e di realizzarle nel miglior modo.

Foto: Lorenzo Zogheri

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