Firenze – A Firenze si stanno giocando le ultime mosse di una partita che verte intorno alla Fondazione CRF. Il significato, come sempre molto relativo, di “chi vince e chi perde” si è avuto, nelle ultime settimane, con la votazione, da parte del Comitato di indirizzo, del “board” della Fondazione, che ha segnato due “cadute” importanti, Giuseppe Morbidelli (6 voti), Jacopo Mazzei (8 voti).
Se è interessante la vicenda di Morbidelli, che rivela come, tutto sommato, sebbene abbia presieduto la Cassa di Risparmio, il grande professore sia sempre stato considerato un po’ un outsider, fuori dal gruppo delle vecchie famiglie e non agganciato a quello rampante degli “homines novi”, la vicenda di Mazzei è forse ancora più emblematica. Da un lato, perché Jacopo Mazzei è di fatto il detentore della palma delle antiche famiglie che hanno dato lustro all’Ente, che lo hanno sostenuto e il cui nome si è confuso, nei decenni e forse nei secoli con l’istituto stesso; dall’altro, perché a qualcuno era forse sembrato di intravedere, da parte sua, un tentativo di costruirsi un ruolo “ponte” fra il vecchio e il “nuovo” magari attraverso trattative che però, come è risultato evidente dalla “conta” finale, non sarebbero andate a buon fine.
Ma perché la vittoria, ormai data per scontata, di Luigi Salvadori (potrebbe ancora esserci un “interregno” dell’attuale vicepresidente Donatella Carmi) potrebbe significare la vittoria di una linea “diversa” rispetto al passato, rischiando, come temono molti, il mutamento della stessa faccia della Fondazione, portandola verso una sorta di “senesizzazione”?
Una domanda cui si può tentare di rispondere in due modi: partendo dai rapporti di forza e/o dalla posta in gioco. Partiamo dai nomi: intanto, le votazioni del comitato di indirizzo hanno rinnovato nove delle dodici poltrone del Consiglio di Amministrazione. Risultato, noto da giorni: due riconferme, Giovanni Fossi , presidente della Fondazione Comitato Cse Indigenti, e Jacopo Speranza ,imprenditore nel campo assicurativo nonché presidente della Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron. Novità, sette: Bernabò Bocca, presidente nazionale di Federalberghi e Alfonso De Pietro, dirigente scolastico di Grosseto, il pediatra e docente Giampaolo Donzelli, presidente della Fondazione Meyer, Francesco Rossi Ferrini, alto dirigente di JP Morgan a Londra, dunque un esperto di finanza, Luigi Salvadori, presidente di Confindustria Firenze, Maria Oliva Scaramuzzi, fondatrice della Scaramuzzi Team Girovagare Viaggi, indicata dai Georgofili di cui il padre Franco è presidente onorario e Andrea Simoncini, professore ordinario di diritto costituzionale. A questi si aggiungono i tre che non hanno concluso il mandato: la vice presidente Donatella Carmi, Marco Carrai e Duccio Maria Traina.
Di fatto, da un lato un gruppo compatto che ha ricevuto i 12 voti necessari all’elezione, dall’altro fuori i membri dell’ala legata alla nobiltà, nel mezzo, gli almeno sette voti che portano Luigi Salvadori sempre più vicino alla poltrona della presidenza. E il nuovo, compatto gruppo entrante porta in dote la volontà comune di guardare al di là dello “steccato” fiorentino.
In che direzione, però, è da decidere. E a decidere sarà la maggioranza; vale a dire, quella che esprimerà il presidente. Un presidente che potrebbe essere molto vicino all’amministrazione cittadina, che è molto vicino alla nuova visione espressa da Marco Carrai. Un presidente e una maggioranza cui viene incontro la formula “progetto strategico”, dove quell’aggettivo, strategico, non aspetta altro che di essere riempito di significato. Insomma, quand’è che un progetto può essere definito “strategico”? Cosa significa “strategico”? E chi deciderà, si chiedono in molti: la politica? Quale? Quella della maggioranza di governo cittadino, che vede almeno due suoi uomini di riferimento sedere nel board, e dalla parte “vincente”? Ma allora, nonostante “l’autonomia” la regia di scelte decisive che possono cambiare le politiche economiche di Firenze, non tornerebbe di fatto in mano alla politica (di maggioranza) annullando di fatto se non di diritto la pretesa autonomia della Fondazione?
Ed è in questo punto che molto probabilmente si tocca il cuore del problema. Un problema che si chiama autonomia, e che ha richiesto almeno trent’anni di dibattito giuridico, almeno due leggi di svolta (Amato e Ciampi) seguite da un tentativo di “rientro” (legge di bilancio 2002) fino a una chiarificazione decisiva nella veste della sentenza della Corte Costituzionale 300/2003 per essere riconosciuta. Un percorso complicato e lungo per giungere alla conclusione che le fondazioni bancarie sono soggetti di natura privatistica. Il che comporta, fra gli elementi identitari, proprio quello dell’autonomia, gestionale, decisionale, organizzativa. Un’autonomia mai messa in discussione, almeno a livello giuridico, ma che potrebbe rischiare, grazie ai rapporti di forza, di soggiacere a logiche che rischiano di non essere del tutto coerenti con quella natura di “persone giuridiche private dotate di piena autonomia statutaria e gestionale” riconosciuta alle fondazioni dalla sentenza 300/2013 della corte Costituzionale, collocate a pieno titolo tra i “soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali”.
Forse in adeguamento a una contemporaneità che incombe e stringe d’assedio la città e la sua stessa fondazione, sembra che la “forza” sia per ora con quelli che chiameremo il “gruppo innovativo”: un concatenarsi di interessi che guarda fuori da Firenze, che considera importanti i “progetti strategici”, quelli da grandi investimenti, quelli da grossi finanziamenti, come ad esempio, le fontane del Poggi (grande successo dell’amministrazione, con il sindaco Nardella nella veste naturale di padrone di casa) ma anche l’ormai prossima tappa della Smart City, che sottolinea da un lato, come meta, la dimensione “europea” della città, ma dall’altro mette in mano al fortunato gestore (o ai gruppi internazionali che vinceranno la gara, se gara ci sarà, e comunque a chi organizzerà e gestirà l’operazione di digitalizzazione e reti) un patrimonio incommensurabile, il vero “oro” del terzo millennio: i Big Data dell’intera città. Vale a dire, una miniera inesauribile di informazioni che appaiono sempre più come l’approssimazione più reale (nella contemporaneità) del concetto di “potere”.
Foto: Luigi Salvadori