“Basta con i proclami e anche con il buonismo”. E' così che Laura Grandi, nuova segretaria provinciale del Sunia fiorentino, comincia la chiacchierata con Stamp circa le prospettive che si aprono sulla questione casa a Firenze. Una questione che secondo Grandi deve “essere riaperta da capo. Anche perché da noi arrivano sempre più situazioni di vite spezzate, di casi disperati a cui raramente si riesce a dare risposta”.
La ricetta, se di ricetta si può parlare? “Un nuovo inizio, da zero” risponde Grandi. “Sarebbe bene anche cambiare il linguaggio – propone la segretaria del Sunia – iniziamo ad analizzare il problema e a renderci conto delle criticità reali. A Firenze ci sono circa 130 sfratti al mese. In contrasto, la graduatoria per le case popolari è decresciuta, passando da cinquemila domande a tremila. Perché? Si tratta di una decrescita niente affatto positiva: le famiglie non ci credono più. Non credono più alla possibilità di avere un alloggio passando attraverso a questo canale. La verità è che le case assegnate sono pochissime rispetto alla domanda e tutte provenienti dalla graduatoria dell'emergenza, che a sua volta è costituita per la maggior parte da sfratti per morosità incolpevole”.
Insomma, la situazione è sostanzialmente lo specchio di una macelleria sociale che con la crisi non ha fatto altro che acuirsi, e che colpisce, con la perdita di lavoro, sia italiani che stranieri. “Il problema presenta due facce – continua Grandi – a fronte di un parco case assegnabili ridotto, ci troviamo con, dal lato pubblico, circa 150 alloggi sfitti o di risulta (erano 250 anno scorso), mentre dal lato privato gli alloggi sfitti risultano circa 40mila a Firenze. Di questi, bisognerebbe verificare quanti sono effettivamente vuoti e quanti “godono” di affittuari al nero. E poi, è necessario avanzare un patto sia per il settore pubblico che privato, mettendo allo stesso tavolo i soggetti sociali, politico-istituzionali, rappresentanti della società civile. Tutti, nessuno escluso. Non vedo altra soluzione”.
Un problema, quello dell'alloggio e dell'alloggio popolare in particolare, che presenta risvolti nuovi, legati al mutare delle circostanze storiche. “Sgomberiamo subito il campo da questo, importantissimo, tema – dice Grandi – il mutamento più evidente è l'entrata nel “giro” delle assegnazioni, di tantissime famiglie extracomunitarie. Il rischio è quello di assegnare un'abitazione lavandosi poi le mani dei problemi sociali e di relazione che comportano il confronto nello stesso spazio fra abitudini e modelli culturali diversi e spesso confliggenti. E' per questo che non è più possibile assegnare alloggi e lavarsene poi le mani. E' necessario un percorso di accompagnamento che riesca, ad esempio, a far comprendere l'importanza di un istituto storico e che funziona bene come l'autogestione nelle case popolari. Un istituto vero e proprio che rischia di non essere compreso o addirittura avversato da chi non coglie, per ragioni culturali, le ragioni di una gestione “comune” o che guardi al “collettivo” delle problematiche che possono insorgere in una comunità come il condominio”.
Ma i tempi, secondo la segretaria del Sunia, sono particolarmente favorevoli a un ripensamento generale che si ponga davanti alle reali criticità. “Tutto parte dalla revisione che è necessario fare, a cui stanno già mettendo mano, della legge regionale sulla casa, la legge 96/96, una legge che peraltro ha già circa vent'anni di vita, e che sconta ovvi ritardi di fronte al tumultuoso cambiamento di questi decenni. Si tratta della legge che regolamenta l'edilizia pubblica. Ebbene di fronte a questo passaggio, non esito a dire che sarà fondamentale per capire se l'edilizia popolare avrà un futuro o rimarrà schiacciata e inutilizzabile. Le criticità sono evidenti: da rivedere sono tutte le varie categorie “filtro”, vale a dire i criteri di assegnazione, decadenza, mobilità, accesso. Anche perché con i vecchi modelli si rischia di non intercettare più i bisogni veri. Il vero tema è: come rilanciare l'edilizia residenziale pubblica futura? Vogliamo farne ghetti o vogliamo riorganizzarli secondo la storica realtà fiorentina, che ha sempre visto la commistione abitativa delle classi sociali? Questo è il momento per capirlo. Se intraprendiamo la strada del “ghetto” si rischia di ricreare uno strumento inutile votato all'autodistruzione. In altre parole, se le case popolari verranno intese come uno strumento per i bisogni estremi e basta, non ci sarà futuro”.
Se questi sono i rischi del futuro, come uscire dall'impasse? “Appurato che in questo momento ottenere una casa popolare è vincere al lotto, a mio parere bisognerebbe essere in grado di afferrare al volo le pur risicate possibilità aperte dal piano casa governativo. Mi sto riferendo ad esempio al finanziamento per gli alloggi sfitti, o all'housing sociale, per cui ci sono 100milioni. Il Patto che proponiamo dovrebbe servire anche a questo, ad agganciare il poco che ci viene proposto. E poi, non temere di riaprire l'altra partita, quella del mercato privato. A Firenze il campo d'azione è enorme. Chiediamo la possibilità di riaprire gli accordi territoriali con un ulteriore sgravio fiscale sui contratti concordati. La possibilità di reimmettere in circolo ameno una parte dei 40mila alloggi che risultano vuoti e in mano ai privati può davvero far ripartire il mercato immobiliare abbassando i prezzi. Altro punto, dare nuova linfa all'Agenzia della locazione, che per ora è semplicemente inutile, e che invece potrebbe essere davvero quel punto di raccolta e disimpegno fra finanziamenti in aiuto alle morosità, indicazioni di politiche abitative, lotta all'illegalità”.
E fra le varie facce che assume l'emergenza e per cui è necessario che “soprattutto la politica – dice Grandi – non faccia orecchie da mercante” ce n'è una che spesso viene tralasciata. Ed è quella “della famiglia con un reddito basso che è costretta a lasciarne il 60% al canone”.
“Facciamo un esempio concreto? – aggiunge e conclude la segretaria del Sunia – mi dovrebbero spiegare se non è emergenza la vicenda sempre più comune di una famiglia con reddito, poniamo, di 1400 euro al mese, che paga 800 euro d'affitto, più spese condominiali e ovviamente le bollette. E' per questo che dico che sulla legge 96/96 ci giochiamo l'Erp. E' ovvio infatti che bisognerà prevedere un punteggio maggiore anche a chi lascia nelle mani del proprietario il 60% del proprio reddito. E anche se è vero che il proprietario privato non può assumere il ruolo di surroga dei servizi sociali, è necessario che le priorità e le scelte della politica comincino a tener conto anche di questo”.