Firenze – Seconda parte della passeggiata numero cinque col professor Mario Bencivenni, sulle tracce della città otto-novecentesca che rischia di essere cancellata dalle novità di una modernità purtroppo spesso non al passo con le infinite possibilità dell’innovazione, che permetterebbe, il professor Bencivenni ne è convinto, di salvaguardare a un tempo anima e estetica della città romantica, liberty e razionalista coniugandola con la funzionalità necessaria alla contemporaneità.
Tornando dunque sul viale da piazza Savonarola, si affacciano, al posto delle mura che vennero abbattute, due giardini importanti, il primo appartenente a un convento di monache che si collega a quello Della Gherardesca. Quest’ultimo giardino venne riprogettato dal Poggi. Attraverso le cancellate che lasciano a vista le essenze, il verde privato crea un continuum dialogante con le grandi alberature del viale, secondo la precisa disposizione del Poggi. “E’ vero che col Poggi, su preciso ordine amministrativo, le mura di Firenze vennero abbattute – spiega Bencivenni – ma l’impianto del Poggi prevede il dialogo fra il vere storico della città, anche privato e quello nuovo, pubblico, delle grandi alberate e dei campi che si estendevano , a quell’epoca, oltre le mura. Prevedendo le espansioni della città, il Poggi creò piazze, punti di verde, cercando di rendere ariosa e vivibile la città che stava sorgendo. C’è da chiedersi invece quali siano le addizioni di verde di cui è stata dotata la nuova città cresciuta a macchia d’olio dopo il primo dopoguerra. Le Cascine, che rimangono il più grande polmone verde della città, sono ancora le Cascine del Poggi. Nell’area dietro il nuovo teatro dell’opera, vale a dire nello spazio delle ex officine delle ferrovie, si vuole creare un nuovo quartiere. Un quartiere, a detta dell’assessore all’urbanistica Del Re, “anticoronavirus”. Ma la soluzione migliore anti coronavirus sarebbe una bella addizione di verde al parco delle Cascine…”.
Continuando nella passeggiata verso piazza Beccaria, sfilano le case “del Poggi”, con la sistemazione dei Della Gherardesca. Una gioia per gli occhi, perfettamente dialogante con i marciapiedi enormi del viale, controviali, originariamente tutto a sterrato e a terra battuta. “Anche le piante avevano una situazione molto diversa da quella odierna – ricorda il professore – in quanto non soffrivano la costipazione cui sono costrette ai nostri giorni. Dovremmo tornare, ora che le innovazioni in tema ce lo consentono, verso questa “nuova storicità”. Questa sarebbe la innovazione vera”.
Invece, controviale occupato da auto, cemento e parcheggi, strozzano le piante e la vivibilità della città. “Tanto più- continua Bencivenni – che è previsto il passaggio della tramvia, che andrà fatalmente a congestionare ulteriormente i controviali, utilizzati sempre più come arterie di scorrimento. La tramvia comporterà la sparizione di due corsie di traffico. Inoltre, pensiamo ai lavori per i sottoservizi. Questi alberi, è lecito chiedersi, che fine faranno?”. Alberi, ribadiamo, che sono la memoria storica monumentale della città, alcuni sono addirittura risalenti al primo impianto ottocentesco. E si vede: chiome meravigliose, forme stupende, tronchi da scultura vegetale. Abbatterli o farli morire priverebbe la città dei suoi abitanti più longevi, delle sue memorie più care e di un apporto di ossigeno, ombra, bellezza insostituibile. Oppure sì, sostituibile in circa due secoli. Vale la pena?
Arrivati a piazzale Donatello, ci troviamo di fronte a uno snodo importante, quello dell’immissione di borgo Pinti sul viale, e del Cimitero degli Inglesi.
“Intanto, anche in questo punto c’era una porta importante, Porta a Pinti. Perché il Poggi non la salva, dal momento che ha sempre cercato di salvare almeno le vecchie porte? – spiega il professore – La porta in questione era molto attaccata al tessuto interno della via, in un contesto di edifici privati che arrivavano fino a ridosso stretto delle mura. Per ripetere ciò che aveva fatto in piazza della Libertà o a Porta al Prato, Poggi sarebbe dovuto entrare molto all’interno con espropri consistenti. Uno dei motivi per cui imposero a Poggi l’abbattimento delle mura era stato proprio quello di evitare, il più possibile, la pratica costosa dell’esproprio di proprietà private. In considerazione del fatto che accanto sorgeva l’altra importante realtà del Cimitero degli Inglesi, ci si trovava di fronte a situazioni di dislivello di campagna piuttosto complicate”. In effetti, anche al giorno d’oggi, il Cimitero degli Inglesi sembra sorgere su una montagnola, ma, come ricorda il professore, all’epoca del Poggi la quota di campagna limitrofa al Cimitero era pressappoco alla stessa altezza. La strada poi tendeva a scendere.
“Quando il Poggi inglobò il cimitero degli Inglesi, che era più esteso di quanto appare al giorno d’oggi, dovette costruire un muro di contenimento, che servì a raccordarlo al piano nuovo dei viali che doveva scorrere a una quota più o meno omogenea. L’invenzione geniale del Poggi fu questa grande Isola dei Morti, che divenne una sorta di grande aiuola centrale, biforcando anche in questo caso i viali, mentre se fossero rimaste le mura e i viali fossero stati esterni, tutto ciò non sarebbe servito”.
Il recupero del sistema del Cimitero degli Inglesi fu molto attento: la cancellata di ghisa permetteva di apprezzare e godere degli alberi e piante interni, secondo lo schema già seguito con i giardini privati. Dal momento che il cimitero era già allora caduto un po’ in disuso e trascurato (altre sepolture non potevano essere aggiunte) la comunità protestante inglese lo diede in affitto a un giardiniere-custode, che dentro ci realizzò anche uno stabilimento orticolo di una certa fama. Secondo la tradizione dell’800, il giardiniere poteva infatti produrre piante e venderle.
“Il sistema di viali in cui fu inglobato il Cimitero – continua Bencivenni – vede il richiamo di varie specie arboree: esterno, platani, interno tigli, il tratto successivo, celtis, con cui si arriva fino a piazza Beccaria. Piazzale Donatello nasce in uno spazio di risulta, che prima non esisteva, dove nascono i fronti degli studi di artisti che furono fatti successivamente. Questo spazio all’inizio non è molto curato. Le cose cambiano all’inizio del ‘900, quando gli viene dato una forma che tutt’ora conserva, con l’ombra intensa dovuta ai tigli, cedri e varie sophora japonicha. I cedri sono tradizionalmente nel mezzo come elemento decorativo”.
Nel mezzo, accanto alle piante enormi ombrose, spuntano dei capitelli di origine medioevale, che furono posti in loco per volontà del sindaco Piero Bargellini, “dal momento che all’epoca l’ufficio del verde era afferente all’assessorato alle Belle Arti, e questi elementi provenivano dai magazzini comunali”. Nuova vita dunque per i capitelli e un tocco romantico a un giardino che tutt’ora strappa il plauso per la sua bellezza.
Inoltre, proprio nel giardino alle spalle del Cimitero degli Inglesi, la devastazione si unisce alla bellezza. Ad esempio, accanto al pezzetto dove esemplari di Sophora centenarie mostrano forme meravigliose, ci sono tratti devastati, con ceppaie scoperte e mai ripiantate: giù tutto, erba secca e desolazione. Poco più in là, le Sophorae ci accolgono con rami e tronchi, oltre a foglie stupende, che sembrano scolpite dalle mani di un artista. Fra la siepe di laurus, ecco un fontanello, elemento artistico tipico della cultura dell’epoca fra ‘800 e ‘900. L’ultimo tratto del viale verso piazza Beccaria ha dei bagolari centenari. Uno spettacolo senza pari. “Com’è possibile che si pensi di potere buttare giù e ripiantare, sic et simpliciter, diffondendo l’errata idea che si possa recuperare in pochi anni, 1o o 15, un tesoro di questo genere?”.
Oltre piazza Beccaria, dove il mistero della non presenza di alberature è stato spiegato dal progetto del Poggi di installare un vasto parterre verde fino all’Arno con tanto di bagni di balneazione pubblica, si arriva al lungarno del Tempio. “Il Lungarno del Tempio risale nella sua veste attuale a circa 120 anni fa – dice Bencivenni – la sistemazione principale doveva essere attuata con gli oleandri, perché i residenti avevano chiesto alberature non di grande impatto come dimensioni. Il Pucci racconta che scartarono l’oleandro in quanto si può potare anche ad alberello, non solo a cespuglio, ma purtroppo ad alberello non resiste agli inverni rigidi. Quando infatti l’oleandro secca per il gelo, se si taglia alla base ributta facilmente come arbusto ma impiega molti anni a riprendere le forme di albero”.
Nel triangolo fra viale Segni e viale Mazzini, c’è un giardinetto. Un triangolo che purtroppo è stato trascurato, ma che ultimamente ha ripreso un po’ di decoro, ma che tuttavia rientra nella logica dello spazio pubblico per il decoro e il diletto dei cittadini. Un po’ più ad est ancora la bella sistemazione a verde di, piazza Oberdan. Tutto un sistema di slarghi, verdi, piazzette e piazze che davano ossigeno e sostenibilità all’espansione della nuova città.
Tornando sui viali, ecco che torna anche il discorso alberature tradizionali- tramvia. Infatti, i celtis che costeggiano il viale sono stati piantati e pensati dal Poggi in modo da non entrare con le loro chiome straordinarie “dentro” l’area dei palazzi residenziali che si affacciano su di loro. Distanze pensate e rispettate, che vanno a incrinarsi col progetto di tramvia, dal momento che l’alimentazione elettrica aerea andrà sicuramente a impattare con le magnifiche fronde centenarie. “Il problema non è la tramvia in se’ – dice il professore – ma il progetto di tramvia messo in atto. Molto diverso l’impatto su queste alberature storiche di una tramvia che avesse, ad esempio, l’alimentazione a terra e dimensioni non da metropolitana di superficie ma di tramleggero. L’innovazione tecnologica offre varie soluzioni, perché non approfittarne per salvaguardare le parti storiche della città ottocentesca?”.
“Non si è pensato un progetto che capisse dove ci si inserisce – conclude Bencivenni riferendosi alla tranvia – ma si è dato vita a un progetto che vede la città monumentale costretta ad adattarsi a un’idea che è vecchia rispetto ai progressi della stessa tecnologia”. Tutto questo veniva lucidamente additato come distruzione del patrimonio monumentale in nome di una falsa idea di progresso già 100 anni fa da un grande teorico della tutela del patrimonio monumentale, Max Dvořák nel suo Catechismo per la tutela dei monumenti, pubblicato nel 1916 e riproposto tradotto dal tedesco proprio a Firenze nel 1971 a “Paragone Arte” diretta Da Roberto Longhi e rimbalzato l’anno dopo da Giorgio Bassani come supplemento al «Bollettino di Italia Nostra». “Possibile che chi amministra Firenze si sia dimenticato di tutto questo?”.
Foto di copertina: Viale Matteotti foto d’epoca, da Pucci vol.II