Firenze fra ‘800 e ‘900, la Fortezza da Basso nel sistema dei giardini fiorentini

Firenze – Continuano le passeggiate di Stamptoscana con il professore fiorentino, esperto di giardini storici, Mario Bencivenni. Prossima tappa, saltando il parcheggio interrato a ridosso delle mura della Fortezza provenendo da viale Belfiore, su cui tanto si è detto e scritto e da cui, a furor di popolo, venne eliminata la galleria commerciale ( eloquenti le immagini delle cose promesse in occasione della sua realizzazione e di ciò che è stato realizzato), sono i giardini, piccoli e grandi, che accompagnano il dipanarsi del viale fino alla vasca dei cigni. Essi costituiscono sicuramente uno dei  più importanti episodi della sistemazione a verde dei viali circondari progettati da Poggi per la Firenze capitale e realizzati da un grande tecnico giardiniere come Attilio Pucci. Purtroppo oggi a malapena si possono  definire giardini , dal momento che fra abbattimenti, utilizzi di vario tipo, parcheggi e tramvia rimane ben poco.

Fortezza, i lavori per realizzare il parcheggio interrato

Il problema di fondo – dice il professor Bencivenni – è continuare a utilizzare la Fortezza da Basso come polo congressuale. Una scelta che espone l’intero complesso a delle offese irrimediabili, oltre a congestionare e rendere difficoltosa non solo la mobilità cittadina, ma la stessa logistica per chi proviene da fuori”. Insomma, una scelta infelice per Bencivenni, che non tiene conto di un elemento che dovrebbe essere dirimente: il fatto che  l’intero complesso della Fortezza, compresi i giardini, è vincolato, come le Cascine, “in quanto bene di particolare importanza storico-artistica e culturale; è monumento nazionale, non solo le mura della Fortezza, voglio ribadirlo, ma l’intera area. Il perimetro contemplato dal vincolo non sono le mura, bensì tutto ciò che è all’intero del perimetro dei viali, comprsi i giardini che fanno parte dell’area vincolata”.

Il primo giardino che si incontra, lasciandoci alle spalle il pratone della Fortezza, quello che copre il parcheggio interrato, è un parterre sul lato delle mura con la Porta a Mugnone, delimitato da lecci e da tigli con presenze anche di altre varietà, che ormai da tempo svolge sempre la funzione di logistica per le varie iniziative fieristiche. “Quando ci sono le fiere – dice Bencivenni – questo giardino, o meglio quel che ne è rimasto, diventa un’area di carico-scarico per gli operatori. E’ chiaro che questo lo distrugge, come dimostrano ad esempio i cordoli delle aiuole divelti, o gli alberi, fra cui alcuni di recente ripiantagione, piccoli e stenti”. I lecci, in parte, sono rimasti e i platani sono stati ripiantati. Quelli più piccoli sono dovuti al reimpianto in conseguenza dellamsentenza del tribunale che condannò, per l’abbattimento, l’ex sindaco Domenici. “Si tratta di un esempio di manomissione drammatica del verde storico vincolato – continua Bencivenni – che avviene ai nostri giorni, a partire dal 2000 in avanti”.

Rendering della sistemazione a verde della copertura del parcheggio prevista e mai realizzata

“Per questo episodio – continua il professore –  qualcuno potrebbe obiettare che questo spazio ultimamente non è più usato come giardino pubblico. Ma questo non vuol dire che debba essere stravolto e di fatto annullato. Almeno si abbia il coraggio di dire che deve diventare un’area della logistica per il polo espositivo della Fortezza”.

L’uso improprio del verde pubblico di particolare pregio monumentale, secondo quanto dice lo storico, si rivela anche negli episodi piuttosto recenti del montaggio e dello smontaggio della pista per il pattinaggio sul ghiaccio al giardino della Fortezza. Una grande struttura, anzi, la pista sul ghiaccio più lunga d’Europa, come fu a suo tempo sottolineato, con il corredo di infrastrutture e baracchini di servizio che un tale installazione comporta. Questa pista ha invaso per oltre tre mesi il giardino della grande vasca ellittica realizzato fra il lato est della Fortezza e il viale Filippo Strozzi al termine del viale Lavagnini. Si tratta sicuramente di uno degli episodi più importanti di giardino pubblico paesaggistico realizzato a Firenze dopo l’Unità di Italia. La sua raffinata composizione fatta di aiuole, parterre e vialetti attorno alla grande vasca/laghetto centrale di forma ellittica presenta anche una ricca e ben studiata presenza di alberature ornamentali. Nonostante la sempre minore manutenzione e il ripetersi di usi impropri, ancora oggi è possibile comprendere come questo giardino sia stato progettato e realizzato con grande sapere compositivo e senza lasciare niente al caso. 

Il lago con la fontana del giardino della Fortezza

Entrando nell’area del grande giardino con la fontana e il lago, scavalcando le grandi ferite arrecate dall’installazione della pista ancora aperte nonostante il passare dei mesi, che hanno segnato la terra asportando il prato e aprendo grandi buche che, a seconda della stagione, sono riempite di acqua e fango, lo sguardo si allarga percorrendo uno spazio scandito da vari elementi.

“Ecco come il Poggi lo aveva concepito: la forma ellittica riproduce la curva ellittica dei viali circondari realizzati all’esterno della Fortezza. Si tratta della riproposizione della figura geometrica della curvatura che il Poggi studia per i viali. All’esterno, caratterizza di nuovo il tratto di viale con il platano, mentre, nella prima alberatura di rinterzo all’interno del controviale, mette i tigli, che riprendono l’alberatura di viale Lavagnini. Procedendo verso l’interno, si passa ai lecci, mentre dall’altro lato del giardino prossimo alle mura troviamo una cortina di cedri. Il disegno della vasca è ancora una volta ellittico, e intorno ad esse le aiuole, che diventano parterre. Questi spazi all’epoca del Poggi erano state tenuti alcuni a prato, con sistemazioni a fiori al centro, mentre altri erano coperti da delle spiaggette di arbusti sempreverdi. Non il solo prato dunque, come si vede ora, ma anche spiaggette di viburno, lentaggine, che costituivano una macchia  a una certa altezza, soprattutto vicino agli alberi”.

Una sorta di sottobosco che conduceva alla vasca, o meglio, al lago. “C’è un disegno ben studiato – spiega il professore – anche per la parte centrale del giardino: la vasca è ellittica e riproduce la curvatura dei viali esterni, ma i fuochi dell’ellisse non sono nella vasca, ma sono collocati nelle due aiuole adiacenti, simmetriche, opposte l’una all’altra, e coincidono con le due magnolie grandiflora messe qui a dimora da Attilio Pucci, il noto tecnico giardiniere che realizzò il progetto del Poggi”.

La pianta ellittica del giardino

Ma è la vasca che, date le dimensioni, creò al Pucci un problema di difficile soluzione. “Il getto centrale della vasca, ovvero l’elemento più bello e distintivo, aveva un sistema di scarico all’antica, cioè c’era un punto centrale di uscita dell’acqua. Per cui succedeva che i getti dell’acqua nuova, quelli che la rinnovano, non si diffondevano su tutta la superficie della vasca a causa della sua grandezza, ma uscivano velocemente senza riuscire a compiere il ricambio dell’acqua. Questo meccanismo produceva dei ristagni con conseguente marciume della flora acquatica, con il conseguente cattivo odore che, in particolare d’estate, diventava intollerabile. Ci furono varie proteste, anche molto accese, dei cittadini al riguardo. Perciò, Angiolo, il figlio di Attilio Pucci, quando subentra al padre negli anni ’80 dell’800, riprende in mano la situazione realizzando un nuovo sistema di uscita dell’acqua, un sistema moderno che nel frattempo era stato inventato, che permetteva il ricambio generale dell’acqua e quindi evitava il ristagno di acque maleodoranti”. All’interno dei giardino erano stati realizzati vari parterre decorati con fioriture che venivano continuamente ricambiate.

I cedri posti nel giardino nello stato attuale

“Altra importante curiosità  – continua il professore – è il sistema dei cedri posto fra il giardino e le mura della Fortezza, che purtroppo ormai sembra ridotto adun’arcata dentaria con pochi denti. I cedri in origine erano molto più fitti e coprivano in parte le mura”. La grande alberata parte dal fondo verso l’ingresso della Fortezza arrivando fino alla parte opposta ricollegandosi al sistema di tigli e lecci di cui si è dato conto. ” La particolarità dell’impiego dei cedri in questo giardino è che qui sono usati come una spalliera. Una delle controindicazioni all’impiego di una varietà di cedri come spalliera  era sicuramente quella dell’effetto monotonodella composizione – continua Bencivenni – perché il cedro viene sempre usato come elemento centrale, in mezzo ad un prato, mai come spalliera, in quanto si rischia di creare un muro uniforme e poco piacevole. Attilio Pucci, ben conoscendo questa caratteristica dei cedri, e comunque, in virtù della loro bellezza ornamentale, determinato ad impiegarli per delimitare il giardino verso la Fortezza, nel 1870-71, li va a prendere alla Villa Reale di Monza. Perché? Perché i giardinieri di quel parco avevano degli ibridi particolari, la cui caratteristica morfologica è quella di non essere mai uguali fra loro. Così, Pucci risolve il problema: crea una spalliera che non è uniforme, in quanto aveva il fine di creare sì una separazione fra il giardino e la Fortezza e che, nella sua varietà, non dà l’idea di una cesura assoluta”. Insomma, non un muro, ma una cortina con cui l’occhio possa piacevolmente intrattenersi scorgendo al di là il caldo colore del paramento in cotto dei bastioni della Fortezza. “Una testimonianza di questo genere – commenta il professore – dovrebbe essere accudita, coltivata, preservata con grande passione e affetto”. Il movimento dei cedri, che consente di vedere le mura pur schermandole, è accompagnato dal movimento di terra che crea una sorta di onda che porta poi a un viale interno, in un gioco visivo di grandissimo effetto fra coprire e scoprire. Insomma un giardino questo che dovrebbe essere tenuto come quello Boboli.

 

Lo stato dei giardini della Fortezza in una planimetria aerea del 1972

“L’asse del giardino non è viale Lavagnini – spiega Bencivenni – ma gli edifici di fronte. Al giardino giungevano infatti due importanti vie, l’attuale via Lorenzo il Magnifico, e viale Lavagnini. La continuità per il verde delle alberature è costituita però con il viale Lavagnini i cui  tigli sono riecheggiati nelle alberature interne dei controviali del giardino“. 

Eppure, ascoltando e osservando, una domanda sorge spontanea: forse tutto ciò non è conservato, custodito, riproposto perché gli uffici sono ignari della cura, della ricerca, della funzionalità ornamentale che impiegarono Poggi e Pucci per ricostruire col verde le mura abbattute della città?

“Non si può invocare l’ignoranza – dice Bencivenni – a parte il libro sui giardini pubblici di Firenze da me curato e scritto assieme a Massimo de Vico Fallani, pubblicato nel 1998 grazie al patrocinio del Comune di Firenze che ne comprò qualche centinaio di copie e che credo si trovi in tutti gli uffici dell’assessorato all’Ambiente e del servizio giardini  di Firenze, ci sono poi i documenti dei progetti e delle realizzazioni di questi giardini conservati negli archivi storici fiorentini anche recentemente esposti e illustrati in occasione della mostra allestita presso l’Archivio di Stato per le celebrazioni dei 150 della Firenze capitale; ma non basta, nel 2016 è stato finalmente pubblicato presso la Casa editrice Olschki il secondo volume della monumentale opera sui giardini di Firenze scritta da Angiolo Pucci, che è dedicato ai giardini pubblici e descrive con estrema precisione le opere realizzate dal padre Attilio. Forse si tratta di arroganza. Ma l’arroganza in questo caso manda in malora un patrimonio storico, artistico, culturale, identitario che sarebbe impossibile ricostruire una volta perduto”. Una spada di Damocle continua ad essere, tra l’altro, la pista più lunga del mondo, il cui contratto, dice Bencivenni, ha durata triennale. “Altri due anni di danni”. Anche se ora, forse, il problema coronavirus ridimensionerà anche l’ondata della folla. Questa mancanza di attenzione verso le conseguenze che producono questi usi impropri non fa minimamente pensare a come l’occupazione delle aree a prato, ad esempio con vari stand e baracchini, produca ampie zone di “giallo” cioè di morte del manto erboso anche  in periodo invernale; l’idea prevalente è che d’inverno la natura sia in “letargo” o addirittura “morta“.

La pista per il pattinaggio sul ghiaccio

“E’ una supposizione assolutamente errata- dice il professore – d’inverno la vita si rintana sotto la superficie della terra, e prepara la primavera. Se viene coperta e compattata con strutture invasive, si compromette il lavoro paziente ed intenso che le radici sotto terra continuano a svolgere anche e soprattutto durante il periodo invernale, si impoverisce qell’humus che è vita, con conseguenze che saranno ben visibili nel momento della primavera, quando la vita degli esseri vegetali riapparirà prepotentemente anche al di sopra della terra. L’idea che d’inverno i giardini siano morti è profondamente errata”.

Girando attorno al lago, ci si imbatte nell’altra aiuola circolare che rappresenta uno dei due fuochi esterni alla vasca, con la grande magnolia grandiflora al centro.

Fra le particolarità di questo giardino che ancora oggi è un monumento/documento di una storia orticola e giardiniera di Firenze, è interessante la storia di questa magnolia. “L’albero, che fa da contraltare all’altra magnolia, sull’altro lato della vasca – continua Bencivenni – fu presa da Pucci da un giardino privato che fu espropriato per la costruzione del mercato di Sant’Ambrogio.  La magnolia, che era già grandicella, fu espiantata e trasportata in questa aiuola, fuoco dell’ellissi del giardino  dal lato verso il viale Lavagnini”. E saranno proprio le alberature del viale e il viale stesso la prossima tappa delle nostre passeggiate, con l’avvertenza che, come sottolinea Bencivenni,  “le alberature sono a serio rischio di sopravvivenza, se saranno realizzati  i nuovi tratti di tranvia già annunciati per raccordare la linea 1 a piazza della Libertà e alla linea 3.2.” .

 

C’è anche un altro risvolto che riguarda gli usi impropri di un giardino pubblico, come quello di cui abbiamo appena parlato: “Una delle cose più scandalose è che uno spazio pubblico, pensato per il diletto e lo svago gratuita dei cittadini, venga concesso e occupato da soggetti per realizzare attività o servizi  a pagamento, privatizzando per un arco di tempo più o meno lungo un bene e uno spazio della collettività, cioè dei cittadini – conclude il professor Bencivenni –  la vera cultura è potere camminare e godere di queste bellezze, informare e far capire la bellezza di questo giardino, tramandarne la memoria alle generazioni future. Altro che piste del ghiaccio, qui bisognerebbe ci tornassero squadre di giardinieri, a lavorare d’inverno per potere far godere della bellezza del giardino in primavera ed estate”.

Foto di copertina e foto d’epoca interna: Foto-depoca-da-A.-Pucci-I-giardini-di-Firenze-v.II-Olschki-2016

 

Giardino della Fortezza, veduta dal lago verso i viali

 

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