Firenze – Questa foto è stata effettuata dalla finestra della mia casa di Settignano. E’una immagine come tante altre. Forse anche più suggestive, sicuramente più nitide e incise.
C’è un particolare però, che la rende insolita, o peggio, inquietante. Ed è la sera in cui è stata scattata, ovvero il 28 marzo scorso, all’indomani del Decreto governativo anti Covid-19.
Che cosa rivela questa immagine? Niente altro che la intatta bellezza del suo profilo: i fasci luminosi che inquadrano le grandi architetture del passato e ne scandiscono i contorni, la basilica francescana, la sinagoga, il palazzo del governo, l’antico loggiato delle granaglie, la cattedrale metropolitana e, su tutto, il globo aerostatico della cupola brunelleschiana. E ancora, i tetti a falde, i lampioni dei viali collinari, lo sfavillare dei candelabri delle altane, delle terrazze, dei belvedere. Questa è la città notturna, come la vede il teleobiettivo da quattro chilometri di distanza.
Ma non è così! Se tu la potessi scrutare a perpendicolo scopriresti la vera essenza della città di questa sera, un tempo radiosa e brulicante di cittadini e di turisti, ovvero la città infetta: la piazza vuota, la via solitaria, l’incrocio deserto, una fugace ombra che rasenta il muro di casa, un cane abbandonato che vaga nel giardino pubblico, un lembo di bandiera appeso alla persiana che sbatte, la rete di plastica che ciondola dalle impalcature di ferro arrugginito sulla facciata screpolata, il semaforo che segnala inutilmente il giallo, l’insegna scintillante del negozio di moda dagli sporti sbarrati, il consesso di ombrelloni che fluttuano come fantasmi nella notte, il lamento ossessivo delle sirene delle ambulanze, i lampeggianti delle auto di polizia…
Se provassi, poi, a penetrare nel suo corpo di pietra e cemento un’altra città ti apparirebbe: una città di abitanti sbigottiti, rintanati nei propri alloggi, rannicchiati nei cuscini di un divano, ammucchiati davanti a videoschermi, incollati a ricetrasmittenti, ripiegati sulle tastiere, tra convertitori, stampanti e monitor luminescenti; dove si riflettono volti tesi, si incrociano sguardi fissi, risuonano voci concitate, echeggiano brani d’opera.
La città e il suo doppio. Dentro la città visibile, fatta di strade e di piazze, di palazzi e di loggiati, di chiese e di teatri, di orti e di giardini, di torri e di campanili, scorgeresti dunque un’altra città, nascosta dietro le pareti di pietra e di mattone, relegata in caseggiati anonimi, segregata in camere e cucine, dove ogni tanto rintronano latrati, strilli di bambini, urla e piatti rotti. E se le relazioni che ora si intessono non sono più quelle del mercato rionale, delle scale del fabbricato, della bottega sotto casa, del chiosco dei giornali, della bettola e della partita a carte, altre relazioni si saranno escogitate: attraverso fili eterei, lungo ragnatele di rapporti intricati che attraversano i muri, avvolgono l’aria, inviluppano i corpi; filamenti di nessuna materia che si tendono da un capo all’altro della città, che si espandono oltre i suoi confini, che allacciano gli esseri e che al tempo si disfano per intrecciare altri legami, per disegnare nuove trame.
Ma nei volti dei suoi abitanti leggeresti sempre lo sgomento che l’autoreclusione non lenisce, consapevoli che quello che imperversa nella città visibile, desertifica lo spazio, recide gli scambi, confina i malati, occulta i morti, cancella la storia, è anche ciò che infetterà la città nascosta, ne avvelenerà le relazioni interne e ne scatenerà le pulsioni più aggressive, intossicando le comunicazioni, ammorbando le trasmissioni, degradando le immagini, sconnettendo i collegamenti, contagiando i registri di memoria.
Ti chiederai perciò quale forma urbana riuscirà a sopravvivere.
Quella dove lo spedizioniere della rinomata ditta di confezioni made in Italy provvederà come al solito alle consegne del giorno. Il bottegaio che continuerà ad esporre sul marciapiede la sua mercanzia. Il cliente che uscirà dal monte dei pegni con il denaro necessario per gli acquisti. Il garÇon che sulla piazza addobbata di ombrelloni apparecchierà il tavolo per il contabile. Le due ricche signore d’oltreoceano, che dopo aver assaporato una tazza di cioccolata calda si avvieranno sulla carrozza a cavalli appena affittata. La guardia municipale che, intenta a sorvegliare il corteo di protesta in procinto di attraversare la strada, ammonirà la colonna di scolari che non cammina sul marciapiede dove il bottegaio avrà esposto la sua mercanzia? Una città che si dilata all’infinito con i suoi multiformi affari e le sue vite che si srotolano e si estendono come i cerchi concentrici nell’acqua di uno stagno senza sponde.
O quella in cui gli abitanti, asserragliati nei palazzi e nei condomini delle periferie, sapendo che la loro esistenza si concentrerà definitivamente fra le quattro mura di casa, saranno costretti a contrarre gli spazi vitali sfruttando le residue possibilità delle superfici disponibili e delle risorse tecnologiche in uso. Cosi che nella città nascosta si rimpiccioliranno volta volta gli androni, si scorceranno le scale, si ridurranno le corti e i porticati. Si ridimensioneranno camere e toilette per duplicare riposti dove sistemare nonni e zii; si assottiglieranno i muri per realizzare nicchie e incavi; si scaverà nelle cantine per costruire ricoveri sanitari; si sfrutteranno i sottotetti per ospitare i sospetti di infezione.
Per aumentare i posti letto si installeranno brande a castello su più piani, le cucine saranno sostituite da contenitori centralizzati, refrigeranti e riscaldanti, riforniti dall’esterno tramite unità di vicinato sotterranee, allocate per lo stoccaggio dei beni di prima necessità e dei beni di consumo correnti, ma anche per la produzione di alimenti, il riciclaggio dei rifiuti, la cremazione dei cadaveri. Per intensificare la comunicazione si dovrà infittire la rete delle teletrasmissioni, i bambini compiteranno su schermi a parete tattili, i notiziari saranno diramati ininterrottamente tramite diffusori a soffitto, le immagini si riprodurranno sui divisori a cristalli e su video pareti.
Paventando tuttavia che l’organizzazione sociale coatta potrà comportare attriti e conflitti di varia natura e sempre meno controllabili – per un attacco di hacker, un programma contaminato, una perdita di segnale, una interruzione di energia – o che in certe ore la tensione prodotta da eventi accidentali – una zuffa tra cani, uno spazio conteso, un amore infedele, una crisi di astinenza, una morte improvvisa – potrà risultare insostenibile. Dovendosi attivare a questo scopo unità speciali di prevenzione o di conciliazione e, nei casi più gravi, di repressione che a sua volta richiederà spazi di attività giudiziaria e di detenzione. Mentre i tentativi di evasione, la fuga notturna sopra i tetti o attraverso tunnel sotterranei, o ancora nei cassonetti della spazzatura verranno sempre più interdetti e perseguiti con l’impiego di vigilanti dotati di cani lupo e di pitbull.
La città nascosta, come puoi dunque immaginare, continuerà a comprimersi all’infinito, stipata per l’aumento della densità abitativa e scossa dagli accessi di violenza e dalla diffusione della psicosi nella popolazione. Le gazzette locali annunceranno probabilmente episodi cruenti, femminicidi, vendette sanguinose, suicidi. Uno scenario angoscioso che il prefetto del municipio prima o poi accerterà di persona registrando i cadaveri sparsi sul pavimento degli androni, schivando cestelli e saliscendi che pendono dai ballatoi, facendosi largo tra loschi figuri seduti sulle scale, scavalcando ginocchia e gomiti, scansando il grappolo di bambini che ciondola dalle brandine, districandosi tra monitor, pannelli video e trefoli di cavi sparsi per ogni dove, cercando di raggiungere i capifabbricato che se ne stanno più in alto circondati da una folla implorante di mamme e di vecchi paralitici.
Sebbene anche tra loro c’è chi ragionevolmente auspica che una pandemia informatica di colonie di retrovirus scatenata da fenomeni elettromagnetici imprevisti e imprevedibili, contaminando l’intera rete di relazioni, li costringerà, senza più alcuna probabilità di sopravvivenza, a riversarsi in massa nella città visibile. Dove il bottegaio sta esponendo la mercanzia sul marciapiede attraversato da una colonna di scolari che la guardia municipale ha appena ammonito per consentire il passaggio di un corteo di protesta sul selciato di pietra scura della piazza addobbata di ombrelloni sotto i quali il garÇon apparecchia per due ricche signore d’oltreoceano arrivate su una carrozza a cavalli per sorseggiare una tazza di cioccolata calda al tavolino occupato poco prima da un contabile del monte dei pegni che aveva appena concesso del denaro ad un cliente del bottegaio che sta esponendo la mercanzia consegnatagli poco prima dallo spedizioniere della rinomata ditta di confezioni made in Italy.
Una città che continua a infettarsi e a dilatarsi all’infinito con i suoi multiformi affari e le sue vite che si srotolano e si estendono come i cerchi concentrici nell’acqua di uno stagno senza sponde.