Firenze, città di bar e ristoranti, calano i negozi al dettaglio

Firenze  – Dal 2008 a oggi, come rivela una ricerca dell’Ufficio studi di Confcommercio, Firenze, in particolare nel centro storico, assiste a una crescita tumultuosa di bar e e ristoranti, oltre che di strutture ricettive, mentre è sempre più difficile, per i residenti, trovare un negozio dove comprare uno scolapasta o un elettrodomestico. Dunque, centro storico sempre più a misura di turisti e sempre meno a misura di residenti. Anche se, avvertono da Confcommercio, “il declino commerciale che attraversa Venezia qui è ancora lontano”.

L’indagine condotta dall’Ufficio Studi di Confcommercio è stata diffusa a livello nazionale nel febbraio scorso, condotta su un campione di 120 città medio-grandi e su un arco di tempo di dieci anni compreso fra il 2008 e il 2017. A presentare i dati specifici per Firenze è ora la Confcommercio fiorentina.

“Se a Firenze nel 2008 i negozi al dettaglio (alimentare e non) erano 5.092, distribuiti fra centro storico (1.851) e periferie (3.241), a fine 2017 si sono ridotti di 76 unità in centro storico (1.775) e di 50 fuori dal centro (3.191). Perdite ancora contenute, rispettivamente nell’ordine di un -4% e un -1,5%, dunque molto minori rispetto alla media del -10,9% (-36mila unità) registrata a livello nazionale”.

 Ma non c’è da stare allegri, avverte Confcommercio, che spiega come questi numeri indichino pur sempre “una progressiva riduzione della rete distributiva che, soprattutto in centro storico, va tenuta d’occhio”.

“Va decisamente peggio in altre città italiane come Genova, Venezia, Reggio Calabria, Messina o Bari dove i centri storici sono in declino commerciale potenziale o conclamato –  sottolinea il direttore di Confcommercio ToscanaFranco Marinoni – Firenze è per fortuna ancora molto vitale dal punto di vista distributivo, deve però stare attenta a non fare passi falsi e a proteggere la sua rete di vicinato”.

Le perdite maggiori del commercio fiorentino riguardano negozi tradizionali come quelli di alimentari, abbigliamento e prodotti per la casa. Va meglio invece per gli esercizi legati all’Ict e alla telefonia (+25 unità nel centro storico, +1 fuori) e le farmacie (+6 unità in centro e +17 fuori), segno di un maggiore attenzione dei consumatori verso la tecnologia e la salute. Ad aumentare di più è però il commercio ambulante, che segna un +203 imprese rispetto al 2008.

“Tra le ragioni per cui molti commercianti hanno preferito lasciare il cuore della città per spostarsi in periferia ci sono i canoni di locazione molto alti – spiega Marinoni – ma va tenuta in considerazione anche la differente composizione sociale: in centro storico ci sono sempre meno residenti e sempre più turisti. Logico che sia più facile vendere una pizza che un elettrodomestico. A rimetterci, però sono i residenti, che rischiano di trovarsi le vicinanze sguarnite di negozi utili, se non essenziali”.

 Da metter nel conto, anche l’impatto della crisi, che comunque ha apportato molte trasformazioni, specialmente in settori particolari. Fra questi, l’abbigliamento, che vive “una grossa trasformazione, vuoi per  la crisi che ha spinto molte famiglie della classe media a tagliare i costi superflui come quelli per il rinnovo del guardaroba, vuoi per la crescente competizione del commercio on line – continua ancora il direttore della Confcommercio toscana – anche in questo caso c’è da capire come si evolverà il mercato. Per alcuni imprenditori sarà decisivo cambiare rotta puntando sulla qualità o, al contrario, su prodotti di facile consumo ma con margini di guadagno ridottissimi”

 Alcuni settori però non sono per niente in diminuzione, anzi: si registra una crescita del 25% ed oltre per bar, ristoranti e alberghi. Nel 2008, si legge nella nota di Confcommercio, “gli alberghi, bar e ristoranti erano 1.174 in centro storico e nel 2017 sono diventati 1.459, con una variazione assoluta di +285 unità. Fuori dal perimetro del centro storico sono passati dai 1.394 del 2008 ai 1.760 del 2017, con un aumento di 366 unità”. Una crescita impetuosa che secondo la Confcommercio potrebbe nascondere ombre sulla qualità media dell’offerta. “Ed è stato il motivo per cui l’Amministrazione Comunale, giustamente, ha messo un freno alle nuove aperture legate alla somministrazione nell’area vincolata dall’Unesco. Ma di locali ne sono nati tanti anche nelle periferie, perché il settore dei pubblici esercizi ha dato possibilità di auto impiego negli anni difficili della crisi occupazionale. Il problema è che non tutti i nuovi imprenditori avevano la vocazione e la professionalità giuste per entrare sul mercato”, commenta il direttore Marinoni.

 

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