Firenze – Per parlare di Fiorentina-Sassuolo ho aspettato il posticipo del Torino. Le ragioni sono chiare: Fiorentina e Torino, due società da anni vicine nelle ambizioni e negli impegni finanziari, hanno fatto quest’anno una campagna acquisti mirata a rinforzare la squadra titolare in tutti i reparti (Vojvoda, Rodriguez, Linetty, Gojak e Bonazzoli il Toro; Amrabat, Bonaventura, Callejon, Biraghi, Quarta la Viola).
La Fiorentina, dei titolari del precedente campionato, si è privata di Chiesa, il suo giocatore più prezioso; il Toro, di Berenguer e Iago Falque. Scelte tecniche per il Toro, scelta morale (ed economica, anche se curiosamente ha portato più soldi nelle casse del Toro Berenguer che non Chiesa!) per la Viola.
Le due squadre si ritrovano ora inopinatamente a lottare in zona retrocessione con il conseguente immancabile scoppio di rabbia dei tifosi verso le società, verso i giocatori, verso i DS… Sono anche scattati, da parte delle società, provvedimenti disciplinari e licenziamenti. La Viola ha fatto fuori Iachini per Prandelli, il Toro sta mettendo da parte giocatori che sulla carta sembravano fondamentali (Sirigu, Verdi, Ansaldi, Nkoulou, Izzo, Rodriguez, Rincon, oltre al convalescente Baselli) e per ora non discute il tecnico Giampaolo.
Cosa ci dicono le due strategie societarie adottate per uscire dalle rispettive crisi? Che in un calcolo utilitaristico complessivo è di gran lunga più vantaggiosa e a mio avviso redditizia la “politica” del Toro, che curiosamente somiglia alla politica della Viola quando l’anno scorso confermò Montella dopo aver scongiurato la retrocessione all’ultima di campionato (salvo poi contraddire il progetto tecnico-tattico di partenza e fare scelte in direzioni contrarie).
Largo ai giovani! E viva chi li sa valorizzare! Non solo perché i giovani fanno sempre plusvalenza, ma perché, ora nel caso del Toro, possono scendere in campo più motivati e meno sovraccarichi di “colpe”. Ieri sera contro la Roma, in una partita sfortunata e condizionata da un arbitraggio penalizzante, il Toro ha giocato bene in dieci contro undici, mettendo in mostra giovani baldi e incoscienti q.b. a non rendersi conto di star correndo sull’orlo dell’abisso (cosa che quasi sempre paralizza i più esperti e blasonati).
Le prove di Milinkovic-Savic, Buongiorno, Gojak, Segre, Edera, oltre a quella del povero Singo, sono state di gran lunga più convincenti di quelle dei “nazionali” accantonati. E il gioco, rimasto quello chiaramente marcato Giampaolo, è fluito organico, veloce e ficcante. Conclusione: se per un caso (un caso che potrebbe fare la fortuna della Viola!) il Torino dovesse retrocedere in serie B, si ritroverebbe una squadra fatta per il futuro, con un gioco che si attaglia ai giocatori in rosa, ricca di valori morali che assecondano una tendenza oggi resa necessaria dalla crisi profonda (e forse irreversibile) del calcio in tempi di pandemia.
Oltretutto, credo che quella politica sia l’unica che alla fine scongiura davvero la retrocessione, perché assicura impegno e dedizione che spesso menti svagate (e distratte dai procuratori) non assicurano. Ho ricordato diverse volte che l’anno scorso, quando fu licenziato Montella, il Sassuolo dei giovani era in piena bagarre retrocessione. Oggi, con gli stessi giocatori, è in zona Champions!
Alcuni spunti interessanti ad avvalorare queste nostre considerazioni sul presente e il futuro del calcio ce li offre oggi su Repubblica Rumenigge. Il calcio di oggi concede meno ai simboli e agli eroi solitari, tende a non pagare pegno alla tradizione, a non rispettare più di tanto i “grandi nomi” e incoraggia l’innovazione tattica e strategica, che va di pari passo con l’età dei protagonisti. Nel mondo si licenzia un tecnico quando ci si rende conto di un errore di valutazione da parte della società su come la sua “filosofia” di gioco si attagli ai giocatori in rosa. Non ci sono tecnici “in assoluto” più bravi di altri, ma senz’altro ci sono quelli più adatti e più consoni agli obiettivi che ci si pongono e ai giocatori che si hanno.
Per questo in genere si vanno a cercare tecnici in sintonia con la società e l’ambiente, non “dei ex machina” che devono in tutti i modi far “vincere”. Arteta dopo Wenger all’Arsenal, Lampard dopo Chiesa e Sarri al Chelsea, Solskjaer dopo Ferguson e Mourinho allo United, Flick (il vice di Kovac) dopo Kovac al Bayern; ma anche in Italia, tra Gotti, Liverani, Inzaghi, Pirlo, De Zerbi, Gattuso vediamo sbocciare figure che cambiano il calcio a vista d’occhio, non solo per le loro innovazioni tecnico-tattiche, ma per come si rapportano ai giocatori: tramite una didattica “orizzontale”, si direbbe oggi, condividendo contenuti e responsabilità, e non pontificando da una cattedra.
Dico questo perché si faccia una analisi più terrestre e meno idealistica di quello che è successo, sta succedendo e dovrà succedere a Firenze. Sono sicuro che in molti avrebbero la tentazione di cambiare allenatore se, come è possibile, le prossime partite con Verona e Juve dovessero portare un misero punticino come quella di domenica col Sassuolo. Ma guardiamoci in giro. Solo un Mourinho, o un Guardiola oggi possono cambiare miracolosamente una mentalità e una squadra (e forse neanche Guardiola è più così raccomandabile).
Facciamo lavorare in pace Prandelli, che intanto si è corretto sull’impostazione della difesa (finalmente tornata a tre) e sta verificando soluzioni per l’attacco tenendo fermo Vlahovic (e io plaudo!). Sul mercato di gennaio cercherà una punta, che io spero sia una “seconda” punta. Il resto c’è, e chissà se aiutato da Aquilani Prandelli pescherà, come Giampaolo, qualche giovane…salvifico!