Periodo nero. Partite mal giocate, infortuni a catena, malasorte. Che la cosa sia preoccupante lo si evince dall’insolito nervosismo di Montella, che alla fine della partita di Cagliari se l’è presa con l’arbitro (e pensare che in passato ha glissato signorilmente su rapine a mano armata perpetrate ai nostri danni, e ora gli dà noia un arbitro che spezzetta troppo il gioco!). Che interpretazione dare? La versione più ottimistica è quella che ci parla di una Fiorentina in calo fisiologico, che riprenderà i suoi ritmi normali nei mesi caldi di primavera, dove potrebbe aver da giocare contro la Juve in Europa League e dove le partite per il piazzamento Champions non ammetteranno più appelli. Del resto, anche l’anno scorso ci fu un calo di rendimento invernale, calo che sembra tipico delle squadre di Montella. In questo caso non resta che aspettare fiduciosamente, e con pazienza.
La versione pessimistica, invece, ci parla di una squadra che non riesce a ritrovare un vero equilibrio dopo la forzata rinuncia all’attacco titolare (in questi giorni, poi, è mancato anche Cuadrado). E qui non si tratta solo di adeguatezza dei sostituti, ma di gioco. Matri è bravo, sa fare quello che ha sempre mostrato di saper fare. Purtroppo la Fiorentina, nella gestione Montella, non ha mai lanciato un giocatore sul filo del fuorigioco, e non ha mai dato spazi da attaccare in profondità. Semmai ha chiesto al “centravanti” di giocare spalle alla porta, di duettare con i centrocampisti che si inseriscono, cose che Matri si adatta a fare, ma che non sono il suo pane. Ilicic stesso è rimasto vittima di una posizione in campo innaturale, troppo esterna, e che gli richiede un gioco quasi da fermo, con l’uomo addosso, mentre lui è abituato agli spazi e alla corsa in progressione. Se il problema fosse il gioco, allora è doveroso riflettere. Si è detto e ridetto che Montella, a organico al completo e con questo Vargas, avrebbe optato per un 3-5-2; schema che avrebbe consentito a Gomez e Rossi di giocare ravvicinati e agli esterni di centrocampo di giocare dalla metà campo in su (e a Pasqual di star buono in panchina!), potendo contare su tre difensori in copertura. Ma di attaccanti veri, dall’infortunio di SuperMario, Montella ne ha sempre avuti uno. Prima Rossi; una seconda punta, un quasi “numero dieci”, che è stato costretto a giocare da prima punta, anche se con licenza di tornare e dialogare coi compagni di linea e a favorirne l’inserimento in area. Un po’ come l’anno scorso, quando giocavamo senza centravanti, con Ljajic e Jovetic, che prime punte non erano. Ora, dopo l’infortunio di Rossi, Matri; che però, come dicevamo, non può giocare alla Pepito e non può essere il terminale di una sorta di “tiqui taca”, ma deve poter scattare e essere servito in verticale, magari anche con lanci lunghi. Questo, a mio vedere, è il problema. Questo gioco la Fiorentina non l’ha mai fatto, e le verticalizzazioni, ancorché spesso imprecise, finiscono per provocare quello che la squadra non regge: a palla persa, le ripartenze degli avversari, che in velocità diventano imprendibili per i nostri centrocampisti (che tra l’altro, vedi Udine, sono anche troppo cavallereschi nel concedere agli avversari l’azione pulita!). Temo che l’interpretazione giusta dell’attuale “crisetta” della Viola sia questa. Non è un caso che sia cominciata dalla partita col Genoa, dall’esordio di Matri; dopo che la squadra stava addirittura inseguendo il record d’inviolabilità della propria porta. Certo, quello di prima non era un gioco esaltante, ma era redditizio, e la squadra lo sapeva interpretare al meglio. Quel fitto palleggio era la nostra difesa; intanto impediva agli avversari di avvicinarsi alla nostra porta, perché la squadra restava sempre corta, e l’uomo che ti aiutava, quando eri in difficoltà, lo trovavi sempre; e poi teneva sempre dieci avversari dietro la linea della palla, rendendo difficile il contropiede. Mancava però qualcosa all’attacco, e Montella ha creduto di ovviare al problema scegliendo una via di mezzo: un 4-3-3 che lascia praticamente intatto il tipico gioco della squadra a centrocampo, e che chiede le giocate in velocità, i tagli rapidi e magari i cross, a due ali. Ritengo che questa soluzione sia fallita. Un po’ perché Matri non è Gomez, e non si giova più di tanto del gioco sulle fasce; un po’ perché gli uomini di fascia sono in visibile calo e non ci sono i difensori che possono dettare i tempi della sovrapposizione andando loro a offrirsi per l’affondo (bocciato Roncaglia, anche Diakité non sembra proprio esterno che garantisce sortite di qualità). Una soluzione: tornare al 3-5-2, e mettere accanto, o dietro, a Matri Ilicic o un centrocampista (Mati Fernandez o Anderson, per un 3-5-1-1). Quando tornerà Gomez potrà affiancarsi a Matri, se la squadra mostrerà di reggere le due punte fisse, oppure prenderà il suo posto nello stesso schema. È l’unico modo per non snaturare troppo le attitudini dei singoli. Direi di rassegnarsi a questo, a partire da sabato alle sei.
Alessandro Pagnini