Fine del mito del lavoro: cambiano le strategie della rappresentanza

Da che cosa viene sostituito il principio che ha unito ogni tipo di sinistra?

Siamo cresciuti, sul piano politico come su quello filosofico, nella ferma convinzione che il lavoro rappresenti la fonte primaria della ricchezza e della democrazia, nonché la peculiare attività (insieme al linguaggio) che distingue gli umani dalle entità del mondo naturale. L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro, dice la Costituzione; e marxismo e liberalismo convergono almeno nella convinzione che è il lavoro a produrre i beni di sussistenza, a garantire il «ricambio organico fra uomo e natura», e che dunque è attorno alle relazioni di lavoro che si organizzano le relazioni sociali (e, per il marxismo, i conflitti di classe come motore della storia). I partiti della sinistra, come li abbiamo conosciuti, si presentano come rappresentanti degli interessi dei lavoratori.

Ma tutto questo è ancora vero? Già a Marx non sfuggiva che è la tecnologia, e non solo il lavoro umano, a produrre ricchezza: ma interpretava questo fattore come «lavoro incorporato nelle macchine». Così come, nel processo di produzione del valore, le risorse naturali apparivano come una sorta di bene a disponibilità illimitata, che contava solo per il costo del lavoro necessario a estrarle. Ma nella società tardo-industriale e consumistica di oggi le cose sembrano mutare radicalmente.

Intanto, il «ricambio organico tra uomo e natura» cambia volto, e si configura come uno sfruttamento del lavoro sulla natura. Ma soprattutto l’automazione produttiva, combinata con l’informatizzazione, ha sempre meno bisogno del lavoro umano. Quest’ultimo si sposta progressivamente dalle mansioni direttamente produttive a quelle relazionali e di cura. Oppure resiste laddove è ancora più economico della produzione meccanizzata – il che spiega però la sua crescente devalorizzazione e l’ampliamento della sfera della gig economy.

Da qui la tendenza alla sostituzione del reddito da lavoro con un reddito di cittadinanza – qualcosa di più che una misura di welfare, in paesi nei quali il PIL è ormai prodotto da una minoranza della popolazione potenzialmente attiva, mentre le mansioni «manuali» sempre più degradate sono affidate a una minoranza in condizioni quasi-schiavistiche, composta in misura crescente da immigrati. È chiaro come tutto ciò cambi la natura degli schieramenti politici e le strategie della rappresentanza.

Aldo Schiavone, in un pamphlet dedicato alle sorti della sinistra[i], ha di recente sostenuto in modo esplicito che essa non può più trovare fondamento – nell’era della «fine del lavoro» – nelle contraddizioni sociali presenti al cuore del modo di produzione, vale a dire nella lotta di classe. Il principio che ha unito a lungo ogni tipo di sinistra, rivoluzionaria e riformista, è stato quello della classe lavoratrice universalista, che emancipando se stessa liberava tutti e creava un mondo migliore. Nel momento in cui questo diventa un mito o una nostalgia del passato, da cosa viene sostituito?

[i] A. Schiavone, Sinistra!, Einaudi, Torino 2023.

Il testo di Fabio Dei è pubblicato sulla rivista Testimonianze “Anche gli anni Duemila hanno un’anima?” n.550-551

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