Filosofia per tutti. Facciamola facile / Prima puntata
L’etica kantiana
Immaginiamo un mondo in cui il rispetto per il prossimo sia un valore inviolabile, in cui l’onestà regni suprema, in cui ognuno si rapporti con l’altro nello stesso modo in cui vorrebbe essere trattato. Immaginiamo un mondo in cui nessuno salti la fila alle poste, in cui nessuno ti rubi quel parcheggio che stavi cercando sotto il sole da mezz’ora, in cui tu possa (anzi, debba) sentirti libero di essere sincero anche quando normalmente temi di esserlo per le conseguenze che potrebbe avere.
Stiamo forse pensando a un’utopia? E’ un vaneggiamento idilliaco?
Sembra folle persino porsi la domanda, ma nell’ottica di Immanuel Kant- uno dei filosofi più influenti degli ultimi 300 anni- la risposta non è così scontata. L’etica di Kant, sistema per eccellenza deontologico (cioè basato sul dovere in senso etico), pone i presupposti per la realizzazione del mondo che ci siamo appena immaginati. Infatti, se tutti applicassimo nelle nostre azioni quotidiane la legge dell’imperativo categorico kantiano, una parte della nostra realtà sarebbe diversa da quella che è oggi. Ma sarebbe davvero una realtà migliore? Vediamo come e perché.
– Partiamo dal principio…
La Fondazione della Metafisica dei Costumi, 1785, e La Critica della Ragion Pratica, 1788, sono le opere di fondamentale esplicazione dell’etica kantiana, a cui faremo riferimento in questa sede.
La domanda con cui inizia la riflessione etica kantiana è la seguente: come può l’uomo intendersi come non condizionato nella pratica di porsi mezzi-fini?
Ovvero: siamo in grado di porci un fine da raggiungere, senza che questo sia condizionato dalle circostanze esterne (politiche, sociali, culturali) in cui viviamo? E se sì, che tipo di fine è?
Il fine che stiamo cercando, in quanto non condizionato, ha valore in sé stesso: in quanto tale è da preferire rispetto ciò che è condizionato, che non trova valore in sé stesso ma possiede solo un valore relativo (ovvero un prezzo). Se le condizioni esterne sono condizionanti e stiamo cercando l’incondizionato, dobbiamo necessariamente ammettere che l’incondizionato, se esiste, è qualcosa IN noi.
Kant riconosce l’unico fine incondizionato nella capacità più specifica dell’essere umano: l’agire razionalmente, l’agire secondo ragione, secondo quello che la ragione vuole.
Qui è necessaria una piccola e fondamentale digressione: la ragione è in Kant una capacità a priori di cui l’essere umano dispone. Qualcosa è conoscibile “a priori” se può essere conosciuto senza riferimento all’esperienza, cioè senza alcuna investigazione empirica su come le cose sono di fatto nel mondo. Al contrario, se è necessaria una ricerca, la conoscenza è detta “a posteriori”. Ad esempio: “questo tavolo è marrone”, se è vera, è una verità a posteriori, ho cioè bisogno di guardare questo tavolo per verificarla. Questo per arrivare a dire che l’a priori, per definizione, è qualcosa che nulla ha a che fare con i condizionamenti del mondo esterno. Se la ragione è capacità a priori, l’agire razionalmente è necessariamente incondizionato nella pratica di porsi mezzi-fini.
La ragione diventa una capacità pratica in questo senso: è in grado di determinare la nostra volontà e di imporsi come fine. Agendo da ragione siamo quindi incondizionati nella pratica di porci mezzi-fini, ma condizionatissimi dalla legge morale che la ragione ci propone. Agire da ragione coincide infatti con “l’agire da dovere”, in quanto la legge morale viene imposta alla nostra volontà. Il concetto di legge presuppone un dover aderire a questa, di qui il concetto di dovere. Il dovere della legge morale è un dovere del tutto particolare: come le leggi civili vuole dare limitazione al perseguimento dei fini personali, ma è un dovere che viene “aus” dall’agente stesso (letteralmente: fuori da), non è imposto dall’esterno.
L’imperativo categorico è quella legge morale che la ragione richiede di dover essere: “agisci in modo che la massima della tua azione possa diventare una legge universale”.
In pratica, un’azione è moralmente accettabile solo se si accorda con una regola che si possa universalmente applicare a sé stessi e agli altri. Potremmo agire secondo una massima che implica il mentire, ma se tutti mentissero nessuno crederebbe più a nessuno, e sarebbe del tutto irrazionale desiderare che la menzogna diventi legge universale.
Di qui l’importanza del fondamento razionale delle nostre azioni, che proprio per il loro fondamento sono azioni di rilievo per l’intera umanità.
La legge morale è una legge di tipo formale: essa non ha un contenuto specifico di applicazione reale a casi reali, essa è formula. Kant demanda all’antropologia pratica lo studio dell’applicazione dei principi morali nella quotidianità. L’etica non può e non deve occuparsene, in quanto non suo ambito di competenza.
Quando l’essere umano attiva la ragione comprende come può dare a sé stesso un fine con un valore superiore a tutti gli altri: può agire secondo quell’unico principio supremo della moralità che gli consente di pensarsi Libero e non più unicamente condizionato dal meccanismo naturale e sociale.
L’uomo razionalizzato, agendo da dovere, da essere umano diventa Persona. Persona è l’essere umano libero: la libertà esiste solo nella moralità, nel seguire la legge morale. L’agire etico è un agire culturalmente specifico, non naturale, che porta l’uomo a diventare la versione migliore e superiore di sé stesso. La Persona non è solo consapevole del proprio valore e del valore del proprio agire, ma anche riconosce essenziale importanza agli altri agenti liberi e autonomi.
Kant propone una nuova formula dell’imperativo categorico, volta a sottolineare questa fondamentale scoperta: “Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, mai semplicemente come mezzo, ma sempre allo stesso tempo come fine”.
L’umanità qui diventa suprema condizione limitativa alla libertà di ogni essere umano e, contemporaneamente, la possibilità di realizzazione di quello che è il “Regno dei fini”, in cui il rapporto tra persone è basato sul Rispetto.
– Caso di riflessione: esperimento mentale dell’assassino
Tu sai che X vuole uccidere il tuo amico Y. Sai dove è nascosto Y. Un giorno incontri X, che ti domanda se sai dove sia nascosto Y. Se menti, dicendo che non lo sai, permetterai ad X di sopravvivere. Se dici la verità, X morirà. Dovresti seguire l’imperativo categorico?
La coscienza comune vorrebbe un ragionamento più o meno del tipo seguente: le conseguenze di dire la verità sarebbero terribili, si può dire una menzogna per una degna causa.
Kant, però, come abbiamo visto, traccia un percorso saldamente ancorato al concetto di dovere e di imperativo categorico, che non prevede eccezioni. è dovere morale di chiunque essere sinceri in ogni occasione, anche nei confronti di un’assassino. L’etica del dovere kantiana non ha mai, in nessun caso attenzioni per le conseguenze delle azioni: l’agire etico è delineato unicamente dall’aderenza al principio del dovere della nostra volontà.
Il sistema etico kantiano sopra delineato e gli altri sistemi etici deontologici si oppongono radicalmente ai sistemi morali basati sulla valutazione delle conseguenze (perciò denominati “consequenzialisti”).