Fiducia, consumi e crescita economica in Italia


Consumi Per il sesto trimestre consecutivo, il contributo della domanda interna alla crescita dell’economia italiana è risultato negativo, per quasi un punto percentuale. Di questo punto sottratto alla crescita, la spesa pubblica ne spiega uno 0,1%, gli investimenti uno 0,2%, mentre, tra luglio e settembre, il contributo negativo dei consumi privati è stato pari allo 0,6%.

Guardando l’andamento delle singole componenti del prodotto, colpisce la debolezza che interessa con particolare severità la spesa delle famiglie italiane. Nella recessione del 1992-93 la contrazione dei consumi raggiunse il 3,7%, nel 2008-09 si era fermata al 2,5%, mentre nel III trimestre dell’anno in corso si è avvicinata al 5%.

Il forte calo della spesa privata è il risultato del peggioramento delle condizioni generali delle famiglie italiane, con il deterioramento del mercato del lavoro e la conseguente perdita di potere d’acquisto. I consumi risentono, però, anche del sensibile peggioramento del clima di fiducia, che appare anche più intenso di quello immaginabile dato il contesto generale. Negli ultimi nove mesi l’indice di fiducia dei consumatori ha perso oltre 10 punti, stabilizzandosi sui livelli più bassi dal 1996.

Il peggioramento del clima di fiducia e le persistenti tensioni sulla situazione economica delle famiglie italiane segnalano il rischio di un’ulteriore flessione della spesa privata. Nella media del 2012 i consumi potrebbero ridursi di circa il 4%. Si tratterebbe della flessione più ampia dalla seconda guerra mondiale, quando, data la straordinarietà della situazione, i consumi in Italia scendevano con tassi che raggiungevano anche il 40% annuo.

La debolezza dei consumi frena la crescita in Italia

I dati recentemente pubblicati dall’Istat hanno confermato quanto era già emerso nei mesi passati: l’attuale recessione, meno intensa ma più lunga della precedente, trova origine nella debolezza della domanda interna, che interessa gli investimenti delle imprese, ma colpisce con particolare severità i consumi delle famiglie.

Il contributo alla crescita economica proveniente dalla domanda estera netta si è mantenuto positivo, prevalentemente come risultato della flessione delle importazioni. Tra luglio e settembre, le esportazioni sono aumentate dello 0,5% nel confronto con il trimestre precedente, mentre le importazioni sono scese dell’1,4%. Il rallentamento delle esportazioni appare, comunque, evidente. Nei primi nove mesi del 2012, la crescita trimestrale media è stata pari al +0,4%, la metà di quella registrata nel 2011 e circa un ottavo di quella rilevata nel 2010.

Per il sesto trimestre consecutivo, il contributo della domanda interna al netto delle scorte è, invece, risultato negativo, per quasi un punto percentuale. Di questo punto sottratto alla crescita, la spesa pubblica ne spiega uno 0,1%, gli investimenti uno 0,2%, mentre il contributo negativo dei consumi privati è stato pari allo 0,6%. Tra luglio e settembre, la spesa delle famiglie italiane si è ridotta dell’1% in termini reali nel confronto con i tre mesi precedenti. Il calo degli investimenti è stato pari all’1,4%. Al netto delle variazioni dei prezzi, i consumi sono tornati sui valori del 2000, indietro di dodici anni, gli investimenti sono caduti sui livelli del 1997, indietro di quindici anni.

Nonostante ad una prima lettura dei dati la flessione degli investimenti appaia più ampia, ponendo quanto sta accadendo alle componenti del Pil su un orizzonte di lungo periodo, quello che colpisce è prevalentemente la debolezza che interessa la spesa delle famiglie. Nel caso degli investimenti, flessioni maggiori di quelle attuali sono state, infatti, registrate in tutte le più recenti recessioni. Nel 1993 il calo degli investimenti si fermò poco sotto il 13%, mentre nel 2009 si era avvicinato al 14%, a fronte del -9,8% registrato tra luglio e settembre di quest’anno.

Diverso il confronto storico per i consumi. Nel 2009 la flessione della spesa delle famiglie aveva toccato il punto di minimo nella prima parte dell’anno, con un calo su base annuale del 2,5%. Nella recessione del 1992-93 la contrazione raggiunse il 3,7%, mentre tra luglio e settembre dell’anno in corso su base annuale la flessione si è avvicinata al 5%.

Consumatori sempre più sfiduciati

Il forte calo dei consumi è senza dubbio il risultato del peggioramento delle condizioni generali delle famiglie italiane. Pesa prima di tutto il deterioramento del mercato del lavoro, con la conseguente perdita in termini di reddito disponibile. Il tasso di disoccupazione ha superato l’11%. Il numero degli occupati, sebbene negli ultimi mesi si sia stabilizzato su valori inferiori a 23 milioni, rimane oltre 600mila unità al di sotto del massimo raggiunto nei mesi precedenti l’inizio della recessione. Ad un tasso di occupazione che si mantiene su livelli bassi si aggiunge una dinamica salariale particolarmente deludente. Nei primi dieci mesi dell’anno i salari orari sono cresciuti dell’1,5%, meno della metà dell’aumento che ha interessato il tasso d’inflazione.

Come conseguenza, il potere d’acquisto dei consumatori italiani continua a ridursi. Dopo essere sceso tra il 2007 e il 2011 di circa 5 punti percentuali, secondo le stime della Banca d’Italia, il reddito disponibile reale registrerebbe quest’anno una flessione maggiore di quella del 2009, quando si era ridotto del 2,5%. Alla fine del 2012, le famiglie italiane avrebbero, dunque, perso oltre 8 punti percentuali di potere d’acquisto nel confronto con gli anni precedenti la crisi.

Ad una situazione reddituale alquanto precaria si affianca, inoltre, una condizione patrimoniale divenuta complessa. Tra il II trimestre 2012 e il corrispondente periodo dell’anno precedente, la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane si è ridotta di oltre il 2%, con un perdita di valore prossima a 100 miliardi di euro.

Oltre agli aspetti reddituali e patrimoniali, i consumi risentono, però, anche di un sensibile peggioramento della fiducia, che appare anche più intenso di quello immaginabile dato il contesto generale appena descritto. Ponendo il 2007 come base di riferimento uguale a 100, i consumi hanno perso circa 5 punti percentuali, una flessione prossima al 60% di quella sperimentata dal reddito reale, ma pari a solo un terzo di quella registrata dalla fiducia.

Il peggioramento del clima di fiducia dei consumatori appare ancora più evidente confrontando l’andamento degli ultimi mesi con quanto accaduto in passato.

Durante la recessione precedente, la fiducia aveva registrato un peggioramento meno intenso. Il calo dell’indice era inziato prima dell’entrata dell’Italia in recessione, ed il punto di minimo era stato raggiunto mentre l’economia stava ancora proseguendo la sua fase di contrazione. In poco più di un anno, da marzo 2007 a luglio 2008, la fiducia aveva perso 15,5 punti, passando da 108,3 a 92,8. Dopo aver recuperato interamente, l’indice ha iniziato nuovamente a flettere, prima gradualmente, per poi registrare una brusca caduta. Negli ultimi nove mesi la fiducia ha perso oltre 10 punti, stabilizzandosi sui livelli più bassi dal 1996. Una flessione così significativa era stata registrata solo nel 2002.

La particolarità della situazione attuale delle famiglie italiane appare con chiarezza nel confronto con quanto sta accadendo al comparto delle imprese. Ovviamente, anche la fiducia del settore manifatturiero sta risentendo delle condizioni economiche generali, ma il peggioramento appare meno intenso. A novembre, l’indice di fiducia è rimasto sostanzialmente stabile intorno a 88, un valore circa 15 punti più basso del massimo raggiunto ad aprile dello scorso anno, ma quasi 20 punti più alto del minimo toccato durante la precedente recessione. Il comparto delle imprese, forse beneficiando di un contesto internazionale che presenta una domanda ancora in crescita, sembra subire con minore intensità il peggioramento delle condizioni economiche generali.

Consumatori con poca fiducia alla ricerca di lavoro

Il deterioramento del clima di fiducia dei consumatori interessa tutte le componenti dell’indice, sebbene con intensità differenti.

Emerge prima di tutto una piena consapevolezza delle difficili condizioni che interessano il nostro Paese. Negli ultimi mesi, i giudizi sulla situazione economica dell’Italia sono rimasti stabili su valori in linea con i minimi degli ultimi 15 anni, toccati durante la precedente recessione. Le valutazioni dei consumatori italiani mostrano, però, soprattutto una profonda incertezza sulle prospettive future per il nostro Paese. Le attese sulla situazione economica dell’Italia si mantengono su livelli storicamente bassi.

Dalla lettura dell’indice emerge, inoltre, con particolare chiarezza la grande preoccupazione dei consumatori italiani per la situazione economica della propria famiglia. Sia i giudizi sulle condizioni attuali, sia le attese sulle evoluzioni future, sono scesi rapidamente negli ultimi mesi, posizionandosi sui minimi dal 1996, valori ampiamente inferiori ai livelli toccati durante la precedente recessione. Anche il giudizio sul bilancio familiare è peggiorato rapidamente, perdendo in un anno quasi trenta punti.

Una conferma della particolarità dell’attuale situazione emerge anche dal confronto tra l’andamento dell’indice di fiducia e l’evoluzione delle condizioni del mercato del lavoro. Negli ultimi mesi, il peggioramento del clima di fiducia si è accompagnato ad un brusco calo del numero degli inattivi. Questa relazione appare in contrasto con quanto normalmente accade. Generalmente, un miglioramento delle condizioni economiche si accompagna, infatti, ad un progresso della fiducia e a migliori attese sul futuro, portando coloro che fino a quel momento erano rimasti fuori dal mercato del lavoro ad entrarvi per cercare un’occupazione. Al contrario, la maggiore sfiducia sul miglioramento delle condizioni economiche porta normalmente le persone ad abbandonare il mercato del lavoro, entrando nell’inattività, data la difficoltà nella ricerca di una nuova occupazione. In questo periodo è accaduto esattamente il contrario.

Persone sempre più sfiduciate entrano nel mercato del lavoro, uscendo dall’inattività, ma, data la criticità delle condizioni economiche, entrano nella disoccupazione. Questo processo ha interessato oltre 600mila persone nell’ultimo anno. Tra ottobre 2011 e ottobre 2012, il numero degli inattivi si è ridotto di 611mila, mentre quello dei disoccupati è cresciuto di 644mila. L’aumento del tasso di disoccupazione sperimentato nell’ultimo anno è, quindi, spiegato quasi interamente da questo fenomeno. Senza il passaggio di 600mila persone dall’inattività nel mercato del lavoro il tasso di disoccupazione sarebbe rimasto sostanzialmente invariato sui livelli inferiori al 9% registrati alla fine dello scorso anno. Le motivazioni dietro questo radicale cambiamento nei comportamenti delle persone risiedono proprio nel peggioramento delle condizioni economiche e patrimoniali delle famiglie italiane. La riduzione dei redditi e la perdita di ricchezza spinge molte persone ad entrare nel mercato del lavoro, non potendo più permettersi di rimanere nell’inattività.

Il sensibile deterioramento del clima di fiducia, congiuntamente al persistente peggioramento della situazione economico-finanziaria delle famiglie italiane, segnala il rischio di un’ulteriore flessione della spesa privata. Nella media del 2012 i consumi potrebbero ridursi di circa il 4%. Per trovare una caduta più ampia nella spesa delle famiglie italiane bisogna tornare indietro agli anni della seconda guerra mondiale, quando, data la straordinarietà della situazione, i consumi scendevano con tassi che raggiungevano anche il 40% annuo.

Paolo Ciocca
economista, esperto di economia italiana ,s ettori industriali, finanza pubblcia

copyrght www.firstonline.info

 

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