Firenze – Nella sua ultima giornata il festival dei Popoli ha dedicato un omaggio al giurato Sebastian Mez con la proiezione del suo ultimo film Postcards from the Verge. Mez è un giovane cineasta sperimentale tedesco che vive e lavora a Berlino, durante un lungo viaggio in Israele ha deciso di creare un’opera sperimentale, per raccontare in modo personale l’esperienza.
Il film è diviso in cinque capitoli, attraverso un paesaggio desolato, in bianco e nero, viene svelato lentamente il muro che separa Israele dalla Cisgiordania. Nei primi capitoli del film il regista arriva a Gerusalemme dove un giovane palestinese racconta che, cercando spesso di superare i checkpoints, ha avuto dagli israeliani l’invito a diventare loro informatore.
Il film ci ricorda inoltre che gli israeliani e i palestinesi sono entrambi interessati alla grande moschea di Al-Aqsa ma con obiettivi diversi: gli uni vogliono conquistare il tempio, gli altri invece vogliono pregare nel tempio. Gli ultimi capitoli del film assumono una forma sempre più sperimentale: le immagini mostrano i ricordi soggettivi del viaggio dell’artista. Il territorio del conflitto si dissolve in immagini che svelano l’angoscia e lo smarrimento dell’autore. Mez crea un’immagine audiovisiva ibrida tra la fotografia in bianco e nero e il cinema sperimentale.
Le immagini sembrano diventare dei landscapes in cui si perde il senso reale del territorio. In Postcards of the Verge, usando la pellicola, il regista “incide” il territorio mediterraneo della Westbank in un fotogramma grandangolare, per poi passare a un’immagine che perde i suoi bordi e si frammenta, percossa da un suono inquietante che mette in evidenza lo spaesamento di fronte a un conflitto che non sembra mai risolversi.
Mez esprime una poetica del viaggio che nella cultura tedesca, dai romantici a Wim Wenders, vuole rivelare una metamorfosi interiore: il viaggio è essenziale per una trasformazione esistenziale e spirituale. La trasfigurazione soggettiva del paesaggio sonoro israelo-palestinese sembra svelarci una perdita del punto di vista e dello sguardo del cineasta. Il ricordo, la memoria soggettiva, scivola in un paesaggio rarefatto che ha perso la sensibilità dello sguardo umano per restare una percezione senza soggetto. Il viaggio può allora diventare un percorso à rebours, “archeologico”, che risveglia il rimosso di una storia, quella israelo-palestinese, che si è costruita seguendo obbiettivi geopolitici, con una logica astratta che non ha mai preso in considerazione la convivenza di due popoli in un territorio che ha una sua specificità culturale. Il grande faro vicino al mare che alla fine del film lancia verso il pubblico una luce abbagliante e intermittente diventa il simbolo di un Mediterraneo sempre in allarme, tra conflitti e terrorismo.
Ecco tutte le pellicole premiate alla 58esima edizione del Fesstival:
È “Also Known as Jihadi” (Francia, 2017), il documentario del regista francese Eric Baudelaire che ricostruisce la genesi di un jihadista nelle periferie d’Europa a partire dagli atti di un processo, ad aggiudicarsi il Premio Miglior Lungometraggio del Concorso Internazionale al 58/mo Festival dei Popoli, che annuncia i titoli vincitori di questa edizione stasera, lunedì 16 ottobre ore 20.30, al cinema La Compagnia di Firenze.
Il premio (8.000 euro) è stato assegnato dalla giuria internazionale composta da Sebastian Mez (regista e video artista, Germania), Andréa Picard (direttrice artistica del festival Cinéma du Réel di Parigi, Canada) e Madeline Robert (produttrice e programmatrice per Visions du Reel, Francia) con la seguente motivazione: intelligente e concettualmente ricco, il film ha una struttura formale che sfuma abilmente i limiti del discorso usando immagini, suoni e documenti testuali. Opera straordinaria che si inserisce in una tradizione non solo cinematografica, ma anche di attivismo, questo film dimostra l’ambiguità del pregiudizio con strumenti complessi, appellandosi all’immaginazione, alla conoscenza (e alle sue lacune), e all’assurdità che spesso caratterizza la gestione sociale della giustizia –provocando così una meditazione quanto mai necessaria sulla paura e sulla xenofobia.
Il Premio per il Miglior Mediometraggio (4.000 euro) è andato a “On the Edge of Life” di Yaser Kassab (Siria, 2017). Allo stesso tempo lirico e personale – questa la motivazione della giuria – il film racconta un’esperienza urgente e oggi fin troppo comune, usando un linguaggio cinematografico unico che crea un importante spazio per la contemplazione. Storia di sopravvivenza in una contemporaneità di incertezza, il film unisce aspetti e immagini che testimoniano l’esilio e la lotta ma anche la loro rappresentazione. Generoso, aperto, sottile e pieno di una fiduciosa poesia, il film dimostra come l’arte, il cinema e le relazioni umane siano parte integrale dell’esistenza anche nelle situazioni più tragiche.
Il Premio per il Miglior Cortometraggio (2.500 euro) è andato a “Duelo” di Alejandro Alonso Estrella (Cuba, 2017) con la seguente motivazione: Creando un’intera cosmologia a partire da una forma precisa e elegante, il film racconta una vicenda familiare sullo sfondo di un antico rituale, unendo alla vita quotidiana un senso di grandezza e mistero. L’opera emana un’atmosfera potente, costruita su un’appropriata economia visiva.
La Targa “Gian Paolo Paoli”, premio al miglior film etno-antropologico, è andata a “Maman Colonelle” di Dieudo Hamadi (Repubblica Democratica del Congo/Francia, 2017) con la seguente motivazione: un film la cui forza, il cui impegno e la cui empatia riposizionano la ricerca antropologica dall’interno. Il gesto coraggioso, da parte del regista, di osservare una persona straordinaria nel contesto della sua comunità e il suo tentativo di curare le ferite e combattere la stigmatizzazione delle donne vittime di violenza traccia un ritratto urgente – un ritratto che nasce dalla cultura, dall’esperienza e dal desiderio di giustizia sociale a livello locale.
Menzione speciale della giuria per “Good Luck” di Ben Russell (Francia/Germania, 2017). La menzione speciale va a un film che crea un’esperienza cinematografica intensa e viscerale, sia attraverso scelte artistiche e formali che grazie alla curiosità nei confronti della questione del lavoro, della precarietà e della comunità, attraverso un abile binomio. Osservando da vicino i corpi al lavoro nell’era del capitalismo globale, e allo stesso tempo approfondendo la forza dei vincoli comunitari e delle possibilità della speranza collettiva in diverse parti del mondo, il film pone lo spettatore in un viaggio che è allo stesso tempo sensibile, aperto, maestoso e toccante.
Il Premio “Lo sguardo dell’altro. La sfida del dialogo tra culture e religioni” (1.500 euro),assegnato dall’Istituto Sangalli per la Storia e le Culture Religiose di Firenze, va a “Duelo” di Alejandro Alonso Estrella (Cuba, 2017). “Una cicatrice sul volto, indizio di una ferita ancora aperta nell’anima; il senso di vuoto per la perdita o per l’assenza di una figura fondamentale nella crescita psico-fisica di ognuno; la veglia continua come sintomo di un dissidio interiore irrisolto. Cosa può fare la religiosità per scacciare i demoni interiori? E poi, quale religiosità? Quella sincretica che unisce giaculatorie cristiane, riti animistici arcaici ed esorcismi? Questo film ci restituisce, nell’arco di pochi minuti, una rappresentazione contratta ma ‘felice’ di un rapporto intenso con il proprio sé, con la figura materna, con una natura desolata ma partecipe. L’Istituto ha assegnato anche una Menzione speciale per “Boli Bana” di Simon Coulibaly Gillard (Belgio, 2017) – Per lo sguardo intenso e icasticamente denso che viene gettato sulle tradizioni di una popolazione nomade africana, i Fulani: oppressori (di altre tribù, quando costituirono un impero, tra Sette e Ottocento), e poi oppressi dalla colonizzazione franco-britannica, rivestirono un ruolo importante nella diffusione della religione islamica in Africa. Il film insegue nascita e infanzia di alcuni di loro: bimbi che velocemente si fanno adulti nel custodire le mandrie, che la sera, intorno ad un falò, rievocano storie e pregano; quegli stessi adulti-bambini che, tra pochi anni, potrebbero approdare sulle nostre coste, e di cui è pertanto importante conoscere riti, tradizioni, cultura.
Il Premio Cinemaitaliano.info – CG Entertainment del Concorso Italiano, che consiste nella pubblicazione e distribuzione del film nella collana dvd “Popoli doc” edita da CG Entertainment, è stato assegnato a “L’ultima popstar” di Claudio Casazza, Stefano Zoja e Carlo Prevosti. La giuria, composta dalla redazione di Cinemaitaliano.info, ha motivato così la scelta: Partendo da un’osservazione pura e distaccata, la macchina da presa si insinua tra la brulicante folla fino a mescolarsi completamente, diventando essa stessa spettatrice di un atteso evento epocale. Tra lo storytelling di un apparente rock concert e il doc antropologico, “L’ultima popstar” mostra la morbosa venerazione di un popolo nei confronti del suo leader, icona di cui tutti bramano portare a casa un ricordo, sia esso una benedizione o una t-shirt con la riproduzione del volto sorridente del Pontefice.
A “Le allettanti promesse” di Chiara Campara e Lorenzo Faggi (Italia, 2017) è andato il Premio “Gli Imperdibili” del Concorso Italiano, che offre la possibilità di includere il film vincitore nella programmazione del cinema La Compagnia di Firenze per una settimana. Per l’originalità del soggetto e per il modo in cui viene raccontato il curioso incontro tra il passato, il presente e il futuro di una piccola realtà italiana. Siamo convinti che questa storia susciterà interesse e curiosità nel pubblico di tutte le età. Il riconoscimento è assegnato da una giuria composta da rappresentanti di Toscana Film Commission e “Quelli della Compagnia” e promosso da “Quelli della Compagnia” di Fondazione Sistema Toscana.
Il Premio MyMovies.it – Il cinema dalla parte del pubblico quest’anno va a “La convocazione”di Enrico Maisto (Italia, 2017) per la sezione Concorso Internazionale e ancora a “Aperti al pubblico” di Silvia Bellotti per la sezione Concorso Italiano.
Foto: Also Known as Jihadi (Francia, 2017)