Festival dei Popoli: Sergei Polunin un grande artista del nostro tempo

Firenze –  Sono sempre la Russia e i suoi vicini che dettano le regole della storia del balletto classico. Lo hanno inventato nell’Ottocento, al tempo degli zar, con Marius Petipa  che ha canonizzato la tradizione francese rendendola l’arte principale dei paesi della steppa e degli urali.  Nel primo ventennio del Novecento lo hanno riportato in Francia con Diaghilev e Nijinski dandogli la connotazione moderna che conosciamo.

Gli ultimi grandi ballerini maschi di quella tradizione sono stati Nureyev e Barishnikov, ma oggi  un’altra star prepotente sta dettando le regole del balletto rivisitato con la sensibilità contemporanea. Una star consacrata da 25 milioni di utenti che hanno cliccato il video della sua coreografia sulla musica di Hozier: Take me to church.

E’ lui dunque il danzatore, the Dancer , da conoscere e capire e il documentario che ha aperto ieri la 58esima edizione del Festival dei Popoli dedicato al “James Dean, il Bad Boy della danza”, come è stato chiamato dalla stampa internazionale, lo mostra in  tutta la sua genialità.

Sergei Polunin, ballerino ucraino, è un predestinato. Dotato di un fisico e di un fuoco interiore che lo rendono un  perfetto artista da palcoscenico, Polunin ha assistito al disfacimento della famiglia che si è metaforicamente “suicidata” per permettergli di emergere nella sua carriera.

Parte dal venir meno della catena degli affetti che lo sosteneva la  crisi di identità che ha portato lui eccezionale primo ballerino della Royal Ballett Academy di Londra a soli 19 anni, ad andarsene dal corpo di ballo che lo stava lanciando fra le principali étoiles mondiali e poi a cercare smarrito e incerto nuove strade.

Il film di Steven Cantor, regista e produttore americano, che ha aperto la 58esima edizione del Festival dei Popoli, racconta questa storia di smarrimento, caduta e ritorno con grande maestria narrativa e cinematografica, attraverso interviste degli amici e colleghi, dei familiari e di tutti coloro che, con quello stupore che si prova di fronte al grande talento, hanno accompagnato o condizionato questa storia del nostro tempo.

Dagli eccessi autodistruttivi, le droghe e i tatuaggi, alla ricerca di una nuova casa all’altezza di ciò che sentiva dentro, trovando  in Igor Zelenski, il ballerino principale del New York City Ballett per cinque anni, coreografo direttore artistico della compagnia di ballo del teatro dell’Opera di Novosibirsk, l’uomo che  lo ha aiutato a rialzarsi.

Nasce così un artista del tutto innovativo che ha rifiutato la leziosità e gli stereotipi del balletto classico per creare un linguaggio che assume movimenti e gesti della danza moderna e li armonizza con quelli della danza classica liberandola dal formalismo dell’accademia e della routine.  La rinascita è stata sancita dal video, diretto da David LaChapelle: una coreografia inventata da lui sulle note blues –  indi rock di “Take Me to Church” del cantante irlandese Hozier.

Il video racconta di lui. “Sono nato malato, portami in chiesa, pregherò come un cane al tempio delle tue bugie, ti confesserò i miei peccati e potrai affilare il tuo coltello, offrimi quella morte immortale”, canta Hozier. Una musica che è nello stesso tempo un grido di dolore e una dichiarazione d’amore. Per la danza.

 

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