Firenze – Dilovan, una giovane donna curda, riesce a creare una stazione radio nella città di Kobane, in Siria, distrutta dall’Isis. Durante il film, legge alla radio una lettera inviata a un bambino non ancora nato, con la speranza che possa nascere in una città libera e ricostruita.
La giovane giornalista racconta tramite la sua radio la difficile ricostruzione della città. Il regista curdo Reber Doski, che vive nei Paesi Bassi, in Radio Kobanî, come nei suoi film precedenti (Le ragazze Yezidi (2016), il cecchino di Kobane (2015) e La chiamata (2013)), affronta la guerra che funesta il suo paese di origine. Radio Kobanî sembra però un inno di speranza: attraverso la voce femminile di una futura madre, tra le macerie, la morte e la devastazione della guerra, viene evocata la rinascita, il ritorno alla vita e alla libertà.
La radio ospita nei suoi programmi quotidiani un musicista soldato e altri abitanti di Kobane che raccontano le loro esperienze della guerra. La giornalista assiste inoltre all’interrogatorio di un soldato dell’Isis che è stato fatto prigioniero da parte di una comandante curda. Il soldato vorrebbe parlare con la sua famiglia e spiega di essersi arruolato con le milizie dell’Isis per motivi legati alle sue povere condizioni di vita. Lo stato islamico riesce infatti ad assoldare molto spesso giovani ignoranti e poveri che subiscono il plagio da parte del fondamentalismo religioso.
Il popolo curdo sembra invece poter dar vita a una politica democratica con uno spirito rivoluzionario, ben rappresentato nel film, dove è una donna a raccontare la guerra. Dilovan alla fine del film si sposa con un ragazzo arabo. Il messaggio al figlio che nascerà e al pubblico internazionale sembra essere: per sconfiggere la paura e il terrore dobbiamo conquistare la libertà e la pace.