Firenze – Si è conclusa, al Cinema La Compagnia, la retrospettiva dedicata al cineasta francese Dominique Marchais con la presentazione della sua ultima e significativa opera, Nul homme n’est une île.
Il film descrive alcuni casi emblematici, nel contesto europeo, di gestione alternativa ed ecologica dell’agricoltura e degli spazi abitativi. Dominque Marchais, per introdurre il suo percorso estetico e politico, sceglie di partire dalla visione del famoso affresco di Ambrogio Lorenzetti, nel palazzo comunale di Siena, allegoria ed effetti del buono e del cattivo governo, presentato dalla nota medievista Chiara Frugoni.
Un incipit che viene proposto allo spettatore come chiave di lettura e di interpretazione dell’idea stessa di Europa. Il grande affresco senese è, nella storia dell’arte, la prima opera di contenuto non più solo religioso, ma politico e filosofico. L’esperienza comunale della prima metà del trecento trova una sua rappresentazione allegorica che celebra la cittadinanza e il lavoro collettivo non più schiacciato dal sistema feudale.
La cinepresa, con una lenta panoramica, rivela nell’affresco un paesaggio umano ricco di relazioni, in piena armonia con la natura. Questa esperienza storica di democrazia e rispetto della natura ci deve essere da guida nell’Europa di oggi, spesso gestita da governi che fanno prevalere logiche neoliberiste e atteggiamenti autoritari.
Dal paesaggio trecentesco senese ci spostiamo nel paesaggio della Sicilia odierna, per conoscere un’esperienza sociale alternativa e originale, quella della cooperativa Le galline felici, un consorzio agricolo vicino Catania che persegue una politica di economia solidale. Roberto Li calzi ci racconta le difficoltà di salvare gli agrumeti dall’inquinamento e di migliorare la vendita delle arance.
Roberto ha salvato un gruppo di galline da allevamento industriale, devastate dal trattamento, per farle vivere liberamente nell’agrumeto, da qui la cooperativa prende il nome Le galline felici. Si tratta di un consorzio che è riuscito negli anni a svilupparsi, a diventare europeo e a far arrivare i suoi prodotti biologici in Belgio, Francia e Austria.
Una resistenza attiva e politica quella del consorzio, che ha creato una comunità di agricoltori che possono lavorare in una campagna ormai abbandonata dai giovani e aggredita da una urbanizzazione selvaggia. Il consorzio mette inoltre in contatto le aziende con i gruppi di acquisto, i cosiddetti GAS, la cui rete, sempre più articolata, può essere presa a modello anche in altri contesti regionali.
Dal paesaggio ancora ricco e fecondo della Sicilia saliamo verso le Alpi svizzere e l’Austria per incontrare architetti e sindaci che lavorano in piccole città di campagna e montagna. Gli intervistati raccontano l’esperienza concreta dell’uso di un’architettura ecologica, l’importanza dell’energia solare e di materiali ecosostenibili.
Falegnami, architetti e politici lavorano tra la Svizzera e l’Austria per garantire e promuovere un modello alternativo di società. Migliorare le condizioni di vita dei luoghi di campagna e salvaguardare i boschi e le foreste, è questo il punto di partenza per un’Europa civile in cui senso etico ed ecologico costruiscono una possibile comunità solidale. Una comunità che possa così riscoprire il senso profondo dei luoghi e dei paesaggi da opporre alle logiche delle metropoli e dei centri commerciali e industriali.
Ma questi tentativi europei riusciranno a resistere di fronte alla globalizzazione e ai disastri ecologici? Vediamo, nel film successivo The fourth estate, presentato da Vittorio Iervese e Roberto Festa, gli antagonisti diretti di questo possibile modello europeo: i primi cento giorni di Donald Trump alla Casa Bianca raccontati da un osservatore speciale, la redazione del New York Times. Trump, appena eletto, sferra un attacco violento contro i media, definendoli “nemici del popolo, nemici della gente”, in particolare riserva un accanimento nei confronti di Cnn e New York Times.
I media sono accusati da Trump di diffondere false notizie e gettare continuo discredito su di lui. La regista Liz Garbus registra il ritmo frenetico degli uffici del New York Times, in cui i giornalisti cercano di rispondere agli attacchi antidemocratici del presidente con professionalità e rigore. Trump attacca l’informazione perché vuole nascondere al popolo americano e ai suoi elettori repubblicani il gravissimo scandalo del Russiagate che vede coinvolti i servizi segreti russi e l’amministrazione Trump.
Mosca sarebbe intervenuta nelle elezioni presidenziali del 2016 per aiutare Trump. Il generale Michael Flynn, consigliere per la sicurezza nazionale si dimette, nel febbraio 2017, travolto dallo scandalo, perché sarebbe stato in contatto con i servizi segreti russi. Nel marzo del 2017 il conflitto tra Trump e l’FBI si acuisce, il presidente licenzia a sorpresa il direttore dell’FBI James Comey, mentre Il ministro della giustizia, Jeff Session, sembra avere contatti con i russi.
Se questi sono alcuni fatti eclatanti dei primi cento giorni della presidenza Trump, oggi, Novembre 2018, constatiamo, dopo le elezioni di midterm, che Trump vuole impedire in ogni modo un chiarimento sull’affaire Russiagate: la prima decisione postelettorale è stata infatti licenziare Jeff Session. I democratici sono riusciti a rimontare, ma Trump non ha perso.
Un nuovo equilibrio politico tra democratici e repubblicani potrà forse permettere alcune varianti alla terribile agenda in mano al presidente americano. Nel dibattito dopo la proiezione di The fourth estate, il giornalista Roberto Festa e il presidente del festival dei popoli Vittorio Iervese hanno fatto notare l’importanza incredibile che assunto nella politica americana l’uso di twitter.
Trump bombarda e impone le sue regole a suon di twitter. Questo tipo di comunicazione, che viene usato anche dai politici italiani, imperversa negli Usa: la politica come campo di mediazione e di incontro civile viene assorbita da un campo mediatico schizofrenico e virtuale che in tempo reale trasforma il messaggio in input, in ordine continuo. Anche noi italiani dobbiamo dunque stare attenti alla politica “twittata” dei nostri governanti.