Nel suo nuovo libro La nascita del femminismo medievale. Maria di Francia e la rivolta dell’amore cortese (Einaudi Editore 2024), un lavoro di ampia portata e scritto in modo incisivo , la storica e saggista Chiara Mercuri rileva che quella innestata da Maria di Francia avrebbe potuto essere una “rivoluzione” culturale e sociale per certi versi paragonabile a quella del 1789.
Ma non è raccontata nei manuali, perché è una rivoluzione in buona parte fallita. Avrebbe voluto imporre una visione femminile del mondo e non vi riuscì. Ma – aggiunge l’autrice di questo saggio innovativo – ebbe tra i suoi effetti la nascita dell’amore cortese, l’astro luminoso del Medioevo, oscurato poi dai livori inquisitoriali della prima Età moderna.
Come per una sorta di damnatio memoriae, perfino l’identità di Maria, allora, si perse o si confuse. Fu una scrittrice, ma soprattutto un’intellettuale capace di radunare attorno a sé altri autori, cui affidare la promozione delle proprie idee. Idee nuove e progressiste sull’amore, sulla sessualità, sui rapporti coniugali, sulla vita di coppia. Idee che avrebbero potuto – e dovuto sottolinea Chiara Mercuri – mille anni prima della rivoluzione sessuale del Novecento segnare un nuovo corso della storia femminile, e quindi del mondo.
Per cogliere alcuni aspetti peculiari abbiamo parlato con l’autrice in questa intervista
Ha dedicato una capitolo all’amore feudale. Come lo possiamo definire ?
Il feudalesimo si basava su una rigida struttura patriarcale, che a ricaduta doveva garantire il controllo degli uni sugli altri. Le strutture centrali di difesa e di controllo – come si diceva – erano inesistenti, perlopiù garantite dalle armi di alcune famiglie gentilizie, legate tra loro in una rete di relazioni tenute insieme dalla soggezione e dall’omaggio. Tale sistema verticistico è tipico delle società di guerra. In tale assetto la donna, insieme ai bambini e ai fragili è l’ultimo anello della catena. Non ci si chiede, pertanto, come essa si rappresenti il mondo, cosa senta o desideri. L’amore feudale è un amore di «guerra», tutto maschile, tipico di società militarizzate.
Perché neI primi secoli del Medioevo l’immagine della donna subì una deformazione grottesca?
La società nei primi secoli del medioevo si chiuse, a causa dell’emergenza militare e della polverizzazione delle strutture seguita alla caduta dell’impero romano e allo stanziamento delle popolazioni “barbariche”. In tale contesto assunsero rilievo soprattutto la figura del monaco e quella del guerriero, l’uno e l’altro in fuga dal femminile: il primo impegnato nella lotta alle pulsioni della carne, il secondo impegnato nella guerra. Restare concentrati sulla battaglia era il comando, mentre le rivendicazioni materiali e morali di mogli e di amanti, di figlie e di figli, avrebbero condotto fuori strada. Sembrò quindi più intuitivo serrare la porta d’ingresso di ogni monastero e di ogni scuola militare, piuttosto che mantenerla in dialogo con il mondo femminile che vi stava all’esterno. Ciò che essi spiegavano era come fare a meno della donna, perché è sempre più facile educare a fuggire qualcosa piuttosto che insegnare a conviverci. Da Pacomio a Bernardo di Cluny, la letteratura monastica medievale non fece che propagare l’immagine della donna infida, nemica dell’uomo.
Qual è stata la “banalizzazione romantica dell’amor cortese? E perché ha parlato di “un libro nello scaffale sbagliato” ?
“Scaffale sbagliato” perché le storie di Maria sono finite nello scaffale di genere sentimentale da sempre considerato vacuo e femminile. Già nel Medioevo, un contemporaneo di Maria, il monaco e poeta Denis Pyramus aveva demolito i Lais di Maria (la sua «recensione» negativa si è conservata, perché contenuta nella Vita di sant’Edmondo). Egli accusava la materia di Maria di essere frivola, costruita ad arte per dilettare la corte con ‘favole’ e ‘menzogne’ . I Romantici recepirono questo tipo di lezione, considerandole storie adatte al riposo dei guerrieri e al gioco di corte delle dame. Un gioco che si giocava al contrario con le donne in posizione dominante e gli uomini in veste di cavalieri serventi. Poi ci fu anche chi parlò di ‘amore simbolico’, platonico, puramente intellettuale o spirituale. Con grande fatica, al contrario, Maria aveva provato a rivendicare il diritto, anche per le donne, di amare col corpo seguendo il desiderio. La realtà – che lei descrisse – era altra: sposate a forza, costrette a generare figli maschi, picchiate o uccise se scoperta non più vergini o adultere. La paura costante che esse macchiassero l’‘onore’ maschile legittimava la loro reclusione. Se Maria raccontò tutto questo conferendo alle sue storie un andamento favolistico è solo perché cercò di cospargere i bordi della coppa, che conteneva la medicina amara della verità, con il miele della storia avvincente.
A proposito di Maria di Francia si può Si può parlare di femminismo ante litteram ?
Impiegare tale termine per il Medioevo può sembrare anacronistico, in quanto non esisteva all’epoca, neppure nelle donne, la consapevolezza che esse avessero diritto ad occupare le stesse posizioni degli uomini. Ogni volta in cui le donne hanno però preteso un loro spazio nella contrattazione della relazione erotica, nella costruzione del mondo, nella Storia, lì dobbiamo parlare di femminismo, nonché impegnarci a difendere e a valutare quanto hanno detto.
Poetessa, fu ispiratrice di alcuni importanti autori Lei scrive addirittura dettò il finale della storia Lancillotto e Ginevra . Perché ?
Non sono io a sostenerlo è l’autore del Lancillotto, Chretien de Troyes. Nel Prologo dichiara che la trama e le idee espresse nel libro non sono sue, ma della contessa Maria di Champagne. A confermarlo sembra proprio il finale dell’opera: un adulterio né scoperto né punito. Un finale che solo una donna poteva concepire così, perché nella società feudale l’“onore” dell’uomo coincideva con la condotta sessuale della donna, ed era quindi inammissibile che rimanesse impunito. Che il Lancillotto di Maria fosse una narrazione indigesta per gli stomaci degli uomini medievali è provato del resto anche dal fatto che, nei decenni successivi, nel XIII secolo, si fece in modo di riscriverlo con un finale pedagogico: la trasgressione sessuale di Ginevra porterà alla condanna al rogo dei due amanti e alla distruzione di Camaalot.
Maria di Francia. Un’identità ancora incerta. Ma qual è l’ipotesi più probabile ?
L’identità di Maria di Francia è destinata a creare problemi non risolvibili in via definitiva, in quanto non disponiamo di dati documentali sicuri, a parte ciò che essa stessa ci dice: che il suo nome è Maria e che viene dalla Francia. Nei secoli, di ipotesi ne sono state avanzate moltissime, le più disparate, persino che si trattasse di un uomo: cosa impossibile perché in chiusura delle sue Fables, lei insiste – con atto consapevole – a lasciarci la sua firma, denunciando che senza quella firma la sua opera sarebbe a rischio: un uomo potrebbe intestarsela («clerc» è la parola che usa, che all’epoca indicava un intellettuale maschio, non necessariamente un religioso). I miniaturisti, che corredavano i libri con immagini, iniziarono subito – a motivo di questo suo risentito appello – a rappresentare, alla fine dell’opera, una donna seduta allo scriptorium intenta a scrivere. Fu così difficile, nei secoli a venire, negare che l’opera fosse sua.
Quali le ipotesi che oggi considera ancora in piedi, come possibili piste identificative ?
Sono essenzialmente tre: che si trattasse della sorellastra di Enrico II Plantageneto, divenuta badessa nel convento di Shaftesbury; che si trattasse di Maria sorella di Tommaso Becket, entrata in monastero dopo la morte del marito; che si trattasse di Maria di Champagne, figlia di Eleonora d’Aquitania e di Luigi VII.
Per ciò che riguarda la prima ipotesi, si tratta della figlia illegittima di Goffredo IV d’Angiò, e per me è difficile immaginare che una monaca – per di più una figlia illegittima, quindi di fragile condizione – avesse la libertà di esprimersi, come Maria si espresse, su temi tanto scabrosi e urticanti, e che per giunta riguardavano le sole laiche. Se accettiamo inoltre l’ipotesi, come la critica è concorde nel fare, che il re «prode e cortese» a cui Maria dedica i suoi Lais sia Enrico II Plantageneto, dobbiamo anche rilevare che il tono non appare quello di una parente di sangue.
Fra le altre due, lei per quale propende ?
La seconda identificazione, quella con Maria Becket, è per me davvero complicata da accettare, in quanto contrasta con uno dei due soli dati che possediamo su di lei, che si chiama Maria e che viene dalla Francia. Sorella dell’arcivescovo di Canterbury, essa nacque in Inghilterra e, rimasta vedova, fu nominata, nel 1273, badessa del monastero di Barking. Trascorse quindi – tranne un breve periodo di esilio in Francia – l’intera vita in Inghilterra. Mi convince invece – come sostengo nel libro – la terza ipotesi: l’identificazione con la contessa Maria di Champagne, avanzata dal filologo Emil Winkler. Nell’Ottocento, egli lavorò a lungo sulla materia arturiana in antico-francese, in particolare sui trovieri Raoul di Soissons e Thibaut di Champagne (Emil Winkler, Die Lieder Raouls von Soissons, Halle, Niemeyer, 1914; Franzosische Dichter des Mittelalters, 2, Vienna 1918). Thibaut di Champagne era nipote di Maria e, analizzando il loro comune ambiente di formazione, Emil Winkler arrivò a stabilire che la contessa non si fosse limitata ad un ruolo di semplice committenza, ma che la sua vicinanza con la produzione in lingua d’oïl avesse comportato anche un coinvolgimento di tipo autoriale.
L’audacia dei temi dei Lais, le rivendicazioni di natura sessuale che essi contengono, come il diritto per le donne di amare liberamente e di non essere punite per la perdita della verginità o per aver commesso adulterio, mi fanno ritenere che solo una donna nella posizione di Maria di Champagne – figlia al contempo del re di Francia e della regina d’Inghilterra – avrebbe potuto scriverli, beneficiando di una libertà di espressione, impensabile – all’epoca – per una donna di condizione appena inferiore. L’identificazione con Maria di Champagne, inoltre, è tra quelle ritenute probabili da Giovanna Angeli, traduttrice e curatrice dei Lais per la versione italiana (cf. Maria di Francia, Lais, a cura di G. Angeli, Carocci 2017, p. 8).
Chiara Mercuri storica, saggista e traduttrice. Insegna Esegesi delle fonti medievali all’Istituto Teologico di Assisi, Pontificia Università Lateranense. Si è specializzata in Francia in Storia medievale. Ha lavorato con prestigiosi enti di ricerca italiani e francesi, tra cui l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres di Parigi, che le ha conferito, nel 2012, il premio per la monografia Saint Louis et la couronne d’épines.