Federico II di Prussia, uno dei padri dello Stato moderno

il primo volume della monumentale biografia di Claudio Guidi

E’ uscito il primo volume della monumentale tetralogia di Claudio Guidi dedicata a  Federico  II di  Prussia   (Federico il Grande. Un re filosofo nel secolo dei lumi  Ediz Il nuovo Melangolo 2023). In questo primo saggio l’autore ne ripercorre la giovinezza, l’ascesa al trono nel 1740 e la conquista della Slesia alla fine dello stesso anno.  Ne scaturisce un grande affresco che delinea i tratti umani, poetici, filosofici, militari e politici del più grande sovrano del suo secolo.

Questa imponente monografia si unisce alle numerose altre opere di Claudio Guidi. Tra le più recenti : Luigi XV. Un regno nel segno della libidine,  Il secolo bello. Il sogno umanitario del settecento francese, Le donne all’ombra dell’Encyclopédie. D’Alembert, Diderot, Helvétius e Rousseau: come complicarsi la vita familiare,Voltaire in salsa amorosa.

I  saggi di Claudio Guidi sono noti per essere  approfonditi, con documenti spesso inediti ( utilizzando quindi fonti primarie) e al tempo stesso agili, che si leggono quasi come romanzi.  E  Federico il Grande apporterà  certamente un rilevante contributo alla storia del  XVIII secolo, un periodo cruciale dell’età moderna soprattutto per l’Europa.   Ne parliamo in questa intervista con l’autore.    

Federico il  Grande, una delle grandi figure della storia. Come è nato il tuo progetto di una nuova e monumentale biografia?

Dalla constatazione che la figura più eminente del suo secolo, il re forse più tollerante, giusto e umano che la storia abbia mai visto, continua per gli storiografi moderni a portare impresso il marchio di sovrano assolutista, aggressore e guerrafondaio. Guardando con lo specchietto retrovisore attuale i fatti accaduti tre secoli fa, quasi tutta la storiografia moderna mette in evidenza soprattutto gli aspetti negativi, gli innegabili errori compiuti, anche se pochi, e la sua inguaribile misoginia, che pure era reale, enorme, ma che andava spiegata. Per i contemporanei di tutto il continente, che allora rappresentava il mondo intero, Federico assomigliava per quello che fece “all’Eterno”, come non esita a scrivere Diderot, che conclude così: “La potenza della Prussia è opera del tuo genio. Sei tu che l’hai creata, sei tu che la sostieni, diventa il benefattore di tutti i popoli. In Europa è risuonato il voto che si faceva da ogni parte per i suoi sforzi. Prima era stato ammirato, adesso sarà benedetto.

Hai definito “ terrificante” la sua adolescenza. Cosa gli impedì di seguire la sua vocazione? Quale era?

Quella del poeta e del musicista. Ha composto un’opera poetica più vasta di quella di Molière, per riconoscimento unanime dei contemporanei suonava il flauto da virtuoso e se fosse vissuto oggi avrebbe riempito da solista le sale da concerto di tutto il mondo. Per questo suo amato strumento ha composto 126 sonate, molte delle quali ancora oggi eseguite, più altre sei sinfonie. Il guaio per lui fu di avere un padre dispotico oltre misura, Federico Guglielmo I, il re sergente, che fece di tutto per togliergli dalla testa queste attitudini innate e farne un soldato, picchiandolo spesso e volentieri in una maniera così brutale da fare inorridire ancora oggi.

E ci fu un addirittura un tentativo di fuga a Londra. Un evento drammatico…

Che per miracolo non gli è costato la vita, poiché il padre pretendeva che venisse condannato a morte per diserzione, ma nove giudici militari con enorme coraggio si opposero. Il risultato fu di obbligarlo ad assistere dalla finestra del carcere alla decapitazione dell’amico Katte, che aveva tentato di aiutarlo a fuggire, una crudeltà che lo fece svenire.

Poi divenne uno dei più grandi condottieri di tutti i tempi… profondamente innovatore nell’arte militare … 

Anche in questo caso si può parlare tranquillamente di un genio, che si guadagnò l’ammirazione incondizionata di Napoleone, il quale vent’anni dopo la sua morte e dopo la vittoriosa battaglia di Jena del 1806 portò i suoi generali davanti alla sua tomba per pronunciare queste parole che spiegano tutto: “Signori, se lui fosse ancora in vita, noi oggi non saremmo qui”. Poi Napoleone rubò la sua sveglia dalla camera da letto e la spada, anche se un solerte prussiano riuscì all’ultimo momento a sostituirla con una copia!

Quindi ben lontano dal modello paterno  

Certamente, anche perché il re sergente, pur amando l’esercito più di ogni altra cosa, ebbe sempre la saggezza e la prudenza di non avventurarsi mai in una guerra. L’esercito gli serviva solo a scopo difensivo, poiché la Prussia era un paese piccolo, con un territorio frastagliato, con nemici ad un giorno di marcia da ogni suo confine e caratterizzati da intenzioni tutt’altro che benevole, a cominciare dagli svedesi a nord, dai russi ad est, dagli austriaci a sud e dai francesi all’ovest. Riuscire a guardarsi le spalle era una necessità di sopravvivenza.

E non abbandonò l’amore per la filosofia e la letteratura

Federico rimase fino all’ultimo un lettore voracissimo, sempre al corrente di tutto quello che si pubblicava in Francia, allora il paese culturalmente dominante. Riusciva a citare a memoria interi atti delle tragedie di Racine, il suo tragediografo preferito, oltre a quelle di Voltaire.  La cosa più sensazionale era quella di essere culturalmente e filosoficamente non solo alla sua altezza, ma di riuscire anche in non poche occasioni a dargli importanti lezioni. Lo stesso avvenne con d’Alembert, con il quale corrispose per tutta la vita. Il segretario di Fritz riferisce sbalordito che alla vigilia di una battaglia lo trova intento a scrivere versi, invece che a riflettere sui piani per sconfiggere il nemico il giorno dopo, cosa che gli riesce spesso in condizioni di inferiorità numerica con metà o un terzo delle truppe a sua disposizione per affrontare quelle soverchianti di austriaci e francesi. Quando il segretario gli dice che nessun altro generale farebbe versi la sera prima della battaglia, la risposta è fulminante: “Se sapessero farli, li farebbero. Ho già preso tutte le mie disposizioni, adesso ho bisogno di distensione”.

Sovrano riformatore, re senza pompa che ascoltava il popolo

Un giorno che Federico passa a cavallo a Berlino e vede una folla radunata davanti a un manifesto, per guardare una caricatura fortemente critica nei suoi confronti, si avvicina, legge il testo e prima di allontanarsi dice a chi lo accompagna: “Fate affiggerla più in basso, così la gente non deve stirarsi il collo per leggere”. Inutile descrivere a quel punto l’esultanza e gli evviva della folla!

Ma  assolutista, spesso anche dispotico…

Dispotico nel senso che riteneva di dover essere lui come sovrano assoluto a dover decidere, anche perché si assumeva ogni responsabilità, senza scaricarla sugli altri. Si definiva il primo servitore dello Stato, faceva pagare tasse comprese tra il 2% e il 10%, esentava gli operai dal loro pagamento, eliminò la servitù della gleba nei latifondi demaniali e non a caso l’elogio maggiore lo ricevette da Marx, quando riconobbe che “fu Federico a distribuire la terra ai contadini”. Luigi XV e Maria Teresa d’Austria erano ben più dispotici di lui, ma la loro gestione faceva acqua da tutte le parti, i sudditi gemevano in un regime di intolleranza, con finanze sempre sull’orlo della bancarotta. Quando Federico muore nel 1786 lascia nelle casse dello Stato un attivo di 50 milioni di talleri, una cifra colossale pari a qualche migliaio di miliardi di euro di oggi. Sul concetto di dispotismo il giudizio più esatto l’ha forse dato Voltaire, in riferimento ad un sistema politico rappresentativo come quello esistente allora in Inghilterra, modello di quelli che conosciamo oggi: “Preferisco obbedire ad un leone con una bella criniera, piuttosto che a 200 ratti della mia specie”.

Anche nel rovesciamento delle alleanze mostrò un grande fiuto politico. 

Nel senso che si era accorto con grande anticipo che la Pompadour voleva indurre l’amante Luigi XV a rompere l’alleanza con la Prussia per gettarsi nelle braccia dell’Austria, nemico secolare della Francia dai tempi del cardinale Richelieu. Il tutto per pura rivalsa delle offese rivoltele da Federico e per guadagnarsi le simpatie di Maria Teresa, che per pura convenienza politica arrivava a definirla “amica mia”, pur disprezzandola sul piano morale. Federico disponeva di un servizio di spionaggio spettacoloso, al confronto del quale quelli moderni fanno quasi ridere”. Scoprì con sei mesi di anticipo che Austria, Francia, Svezia, Russia e Sassonia si apprestavano a saltargli addosso per eliminarlo e distruggere la Prussia. Attaccò dunque di sorpresa per primo e per questo si è guadagnato ancora oggi la patente di “aggressore”, solo perché ha avuto il buon senso di non attendere tranquillo che l’Europa intera venisse a torcergli il collo.

C’ è però la  questione della Slesia

È fuor di dubbio che l’attacco da lui condotto nel dicembre 1740 contro la Slesia, solo sei mesi dopo essere salito al trono, vada considerato come un atto di aggressione. Lo fece per sete di gloria, come ammise lui stesso, ma anche e soprattutto perché riteneva che, se non fosse stato lui ad impadronirsi di quella ricca provincia austriaca, potenze come la Francia e la Sassonia l’avrebbero fatto al suo posto, sfruttando l’inesperienza politica di Maria Teresa, salita al trono anche lei nel 1740 a soli ventitré anni e digiuna totalmente di ogni arte di governo. Forse anche in quel caso Federico aveva visto giusto, ma siccome la storia non si fa con i se e con i ma, se stiamo ai fatti dobbiamo riconoscere onestamente che in quell’occasione si comportò da pirata.

Valoroso, abile e anche fortunato nella guerra dei Sette Anni 

Delle diciotto sanguinosissime battaglie di quella prima guerra mondiale della storia, che causò 700.000 morti tra i soldati e più di 300.000 tra i civili, Federico ne ha perse otto e ne ha vinte dieci, combattute tutte in condizioni di estrema inferiorità numerica e quasi sempre in posizione strategica svantaggiosa. Memorabile nei secoli rimarrà la sua vittoria a Roßbach nel 1757, quando annientò l’esercito francese tre volte superiore, una disfatta che ancora oggi è per i francesi “un’onta” incancellabile..

E’ nota la sua misoginia. Questo influì sui suoi rapporti con la Pompadour e con Maria Teresa d’Austria?

La sua misoginia è una delle note dolenti della sua personalità, soprattutto per il modo in cui ha trattato la moglie Elisabeth Christine, che gli è sopravvissuta, ma che non ha mai avuto il diritto di mettere piede nella reggia di Sanssouci, dove del resto non ha fatto entrare nessun’altra donna. Federico sosteneva che “per rovinare un paese, basta farlo governare da una donna”. Gli esempi al riguardo li aveva sotto gli occhi, Mme de Pompadour, e Maria Teresa. Quanto però l’imperatrice austriaca morì nel 1780, sei anni prima di lui, ebbe  la grandezza di scrivere che “fece onore al trono ed al suo sesso. Le ho fatto la guerra, ma non l’ho mai odiata”.

La Prussia divenne con lui una grande potenza, ma soprattutto moderna

Federico portò un paese povero, da lui già definito “la scatola di sabbia del Brandeburgo”, a diventare una potenza pari alle altre e con un esercito di 200.000 uomini, che incuteva ormai terrore a tutti. L’opera di ricostruzione colossale portata avanti a partire dalla fine della guerra non ha esempi nemmeno nei tempi moderni. Da allora fino alla sua morte Federico percorre ogni anno su un calesse vecchio di trent’anni tutte le sue province, per verificare il rapido avanzamento dei lavori e delle riforme adottate, apre scuole in ogni villaggio, dà addirittura la paghetta ai bambini per incitarli ad andare a scuola.  

Cenni biografici

Claudio Guidi ha iniziato la sua carriera come responsabile dell’ufficio stampa del Teatro Stabile dell’Aquila, poi ha svolto le funzioni di Dramaturg in alcuni grandi teatri berlinesi, prima di trasferirsi per molti anni a Parigi come critico teatrale e corrispondente culturale, per compiervi anche studi approfonditi sui massimi esponenti del movimento enciclopedista. Rientrato in Germania, ha continuato la sua attività giornalistica di corrispondente di agenzie di stampa e di vari quotidiani. Da oltre un decennio si dedica esclusivamente all’attività di storico e sul Settecento francese ha finora pubblicato otto volumi, entrati nelle più grandi biblioteche universitarie e nazionali del mondo. Con scadenza periodica è prevista la pubblicazione dei rimanenti tre volumi della biografia di Federico il Grande, che comprenderà un totale di oltre 2.000 pagine.

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