Non cammina, incede; non parla, pontifica; non è presente, presenzia; non è abbronzato, è dorato; non è bello, è canonico. Non ha un’età, è transeunte; non ha un’espressione, è ineffabile, come la Sfinge. Una sorta di Giocondo; avesse visto lui, Leonardo avrebbe liquidato Monna Lisa con un “prego s’accomodi” ed oggi al Louvre potremmo ammirare il ritratto enigmatico di Monna Arpe.
L’enfant prodige della finanza italiana, al secolo Matteo Arpe, pure lui bocconiano doc, è tornato ospite del Rotary reggiano questa volta non più in veste di padrone di casa (quando furoreggiava in qualità di amministratore delegato Capitalia traghettando l’ingresso di Bipop nella banca di Cesare Geronzi) bensì di dispensatore di idee e consigli. Specie ai giovani, naturalmente. Per la verità la platea rotariana reggiana (da oggi a 114 membri) non è propriamente composta da bebè ma insomma la carta d’identità, con gli attuali miracoli della scienza, non è più un problema.
D’altronde è lo stesso Arpe, oggi a capo del gruppo Sator-Banca Profilo, a capitanare un’elite di eterni giovani, nel corpo e nello spirito. Non a caso il Time lo tratteggiò col titolo “Fresh Dna in the italian finance old boy’s body”, che più o meno suona così “Sangue Vivo nella marcescente carcassa del sistema finanziario italiano”, passateci la libera traduzione. Prima del convivio, con l’ouverture sulle note degli inni del Rotary, dell’Italia, dell’Europa e pure di San Marino, un momento informale: Arpe ed il presidente Enrico Zini in un fitto e ricco tete-à-tete, chiusi in uno stanzino dell’Astoria, probabilmente per il reale motivo della visita.
Tralasciando nel dettaglio le pompose (si stava per scrivere “pallose”) domande della stampa locale su Borsa (per restare in tema) ed economia, Matteo Arpe si è lasciato andare, seppure con la dialettica di un diplomatico vaticano, a giudizi poco lusinghieri sull’effetto Monti e sui cordoni tirati delle banche. Alla domanda di un cronista con evidenti segni di squilibrio sul fatto se credesse o meno in Dio, la maschera arpica si è sciolta in un semi-sorriso: “questa sì che è una domanda economica!”. Allusione a Mammona, il dio-denaro? O al dio-tempo, Kronos?
Tra i più pagati super-manager d’Italia, forte di una liquidazione da Capitalia (si dice) tra gli 80 e i 100 milioni di euro, Matteo Arpe non è solo conti e matematica. Ma anche studioso di numeri primi e, s’è scoperto l’altra sera a Reggio, coltivatore di sapere esoterico. La sua nuova società si chiama Sator, cioè seminatore in latino, tutto un programma. Il quadrato del Sator, ricorrente iscrizione latina in forma di geometria magica, dà luogo a un palindromo: Sator, arepo, tenet, opera, rotas, ricco di simboli e di non facile comprensione ma certamente riferibile all’immagine di un creatore che guida correttamente un carro. Ed al suo interno si estrapola una sorte di croce con la frase Pater noster…vuoi vedere che Arpe è pure religioso?