Farfalle, miracoli di bellezza e adattamento

Firenze – Miracoli. Sembra questa, la definizione più opportuna dopo aver fatto un viaggio straordinario nel mondo della farfalle, reso possibile da una guida d’eccezione, il dottor Antonio Festa, e dalla disponibilità dell’Istituto Don Orione, che ha “prestato” la sede per questa iniziativa senza esagerare fantastica, che ha preso il via oggi. Il luogo dove potere imparare tutto sulle farfalle e sulla loro vita incredibile è in via Capodimondo 34 a Firenze.

Intanto, il dottor Festa è laureato in tutt’altro, in Scienze delle Comunicazioni, ma la sua passione, quella che lo accompagna da una vita, sono gli insetti. Un incontro che avviene nell’infanzia e che, dopo la laurea, dopo vari lavori anche presso aziende importanti, vede maturare l’occasione per fare della passione un lavoro senza eguali: una nipotina ha bisogno di un aiuto per una ricerca sulle farfalle, lo zio presta competenze e materiali e la maestra chiede se sia possibile avere anche una lezione in classe. “E così scoppia l’idea – dice Antonio – perché non costruire un museo itinerante?”. Detto, fatto: si comincia con pannelli di legno e illustrazioni, fino ad arrivare a questo straordinario percorso in 3D, con esemplari vivi dentro una tenda climatizzata, bozzoli e nascite in diretta, il tutto con la scrupolosa ricostruzione dell’habitat naturale, con teche che preparano all’incontro “dal vero”.

Dunque insetti in generale, ma la fascinazione principale è quella delle farfalle. Ne esistono 170mila specie, si tratta di uno dei gruppi di animali più numerosi al mondo dopo i coleotteri. “Sono diffuse in tutto il mondo – spiega Festa – si trovano anche in Groenlandia, dove esiste una farfalla che riesce ad ibernarsi come bozzolo anche a -50°, superando l’inverno in una forma di autoibernazione indotta”. Già, perché una delle doti che gli insetti hanno a livello evolutivo, sviluppata in centinaia di milioni di anni, è la capcità di ibernazione a tempo indeterminato. “Esiste un episodio di cronaca entomologica in cui uno studioso afferma di avere avuto un coleottero schiuso, dopo che era stato messo in condizioni non ottimali di temperatura e umidità, dopo 42 anni dall’acquisizione della crisalide – ricorda il nostro esperto – il coleottero, che era stato posto in una cantina fredda e non adatta alle sue esigenze vitali, ha aspettato con disumana pazienza il momento giusto in cui le condizioni per permettere la sua esistenza si verificassero, ovvero l’aumento della temperatura. Lo scienziato lo ha posto accanto a una fonte di calore, e l’insetto si è schiuso quando il suo “manipolatore” è diventato anziano”.  Inspmm,a gli insetti hanno già le capacità di mettere in atto un antico sogno dell’uomo, affidato ad ora alla più alta fantascienza: interromper le funzioni vitali, entrare in stand-by per poi riprenderle quando le circostanze ambientali diventano, o tornano, favorevoli.

“Le farfalle non sono la forma di insetto più antico, ma comunque, rispetto all’uomo, provengono da decine di milioni di anni prima della comparsa dell’uomo. Ad esempio, esiste una falena europea che abita i boschi di pini dei Pirenei, che risale all’Era Terziaria: 80, 90 milioni di anni fa – spiega Festa – forse le farfalle non hanno visto i dinosauri, ma le zanzare sì”. Insomma, a significare che gli insetti hanno una lunga, lunga storia… del resto, i dinosauri si sono estinti, ma le zanzare le abbiamo ancora qui.

Del resto, gli insetti e le piante si sono sviluppati l’uno con l’altro, comprendendo reciprocamente l’utilità dei loro ruoli: le piante capiscono che possono utilizzare gli insetti come vettori, così sviluppano i fiori per attirarli; gli insetti trovano particolarmente appetitosi i fori e si prestano volentieri a trasportarne pollini fecondando le piante. Per capire il ruolo di questa sinergia, “il 70% dei vegetali dipendono dagli insetti impollinatori”. Se non ci fosse stato questo scambio di “utilities”, “avremmo un pianeta con il 70% in meno di piante e senza neppure l’ossigeno per respirare”.

Storia antica dunque, anche quella delle farfalle. E l’adattamento e l’evoluzione genetica si rispecchiano in ogni parte della loro bellezza. Bellisimi i colori? Ebbene, “uno potrebbe leggere queste bellissime ali come delle mappe. Ad esempio, la famosa falena europea che vive nelle foreste di pino dei Pirenei, si è evoluta creando delle ali che con le nervature più scure su un pallido verde diviene pressoché omogenea al fogliame dei pini. E il suo bruco? Addirittura riproduce nella sua livrea gli aghetti giovani del pino”. Stiamo parlando della ormai rarissima Graellsia isabellae, una farfalla che si trova nelle pinete dei Pirenei e nelle Alpi francesi.

E la farfalla cobra? Si tratta di una farfalla asiatica fra le più grandi al mondo, che si è evoluta riproducendo, con un’ala ricurva,

esattamente la testa di un serpente, vale a dire, del cobra, riproducendone persino il piccolo occhio da rettile. Dunque, non è la bellezza fine a se stessa, “ma rappresentano i risultati di un’evoluzione di adattamento e di difesa. Ad esempio, gli occhi che si trovano quasi ovunque sulle ali delle farfalle, hanno una funzione rappresentativa di un ostacolo per i predatori, “sgranando” davanti all’assalitore un viso molto più grande e intimorente. O, per esempio, le lunghe “code” di cui sono dotate le ali di alcune specie, che, spiega  Festa, “servono per ostacolare alcune specie di pipistrelli che predano queste farfalle, “scombinando” i loro segnali di individuazione della preda, vale a dire gli ultrasuoni,  dal momento che offrono più superficie di rimbalzo in realtà nascondendo al predatore il loro piccolo corpo, la vera parte vitale”. Si tratta di una specie di farfalla che proviene dal Madagascar, che sacrifica una parte del proprio corpo (di ala), salvandosi così la vita.

Adattamento, genio naturale. Come le farfalle che brillano come specchietti fra la vegetazione tropicale, avendo le ali coperte non di pigmenti bensì di piccole scaglie catarifrangenti, dando l’informazione ai predatori di essere tossiche. O quelle che si rivestono di vivaci e allarmanti colori, il giallo, il verde, l’arancione, che in natura significano morte, veleno, tossicità. O quelle nere come splendide fanciulle a lutto, per confondersi con le tenebre della foresta tropicale. E che pensare della famosa sfinge testa di morto, diffusa fra Europa, Asia e Africa, dal corpo possente, migratrice nella sua forma africana, che si intrufola fra le api, buca le cellette e ruba il miele, che reca tatuato sul suo corpo rigato un vero e proprio piccolo teschio umano?

Ed è sempre all’evoluzione che è dovuto un altro elemento che caratterizza gli insetti, e dunque le farfalle, rispetto ai mammiferi, vale a dire, le dimensioni dei generi. E’ la femmina, nella maggioranza assoluta dei casi, a essere la più grossa, la più possente, e anche la meno colorata. Quanto a quest’ultimo punto, la ragione è che la preziosa portatrice dei nuovi individui che perpetueranno la specie è bene sia meno visibile e dunque meno individuabile dai predatori (una legge piuttosto diffusa in natura) mentre il maschio, più colorato, deve risvegliare il gradimento del gentil sesso. Ma sono le dimensioni a svelare la lege dell’adattmento: corpo grande per contenere più uova. Non 50, non 100, ma in alcune specie (ad esempio la ben nota e dannosissima processonaria del pino) addirittura 10mila.

E così, avviandoci alla fine di questo affascinante viaggio fra esseri viventi che sopravviveranno sicuramente anche a un mondo che potrà fare a meno della razza umana, si giunge a un altro aspetto che da sempre intriga noi umani: queste splendide creature hanno pochissimo tempo di vita, si va da alcune ore a qualche giorno. Eppure, spiega la nostra guida, anche questo non è altro che un’assicurazione sulla perpetuità della razza: poco tempo per vivere, più generazioni assicurate. Un dato che si coglie appieno, ancora una volta, ai tropici, dove, grazie alla condizioni favorevoli, ci sono faraflle che riescono a mettere in campo in un breve lasso di tempo anche sette generazioni, moltiplicando così le possibilità di sopravvivenza della specie. Tutto questo, unito alla straordinaria capacità di autoibernazione, ne fa dei fantastici esseri viventi “alieni”. Alla fine, come spesso accade, i due estremi si toccano: è la caducità dell’esistenza singola ad assicurare l’eternità della razza collettiva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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